2017 / L’ANNO DELLA GIUSTIZIA CALPESTATA E DELLA MEMORIA TRADITA

Oliviero Beha

Oliviero Beha

2017, l’anno in cui la giustizia muore. E l’Italia perde sempre più memoria. L’anno dei buchi neri sempre più neri, dei misteri di Stato che pesano come insopportabili macigni, delle vittime senza lo straccio di una giustizia, uccise due volte, dei familiari oltraggiati nelle loro richieste regolarmente senza risposta.

Come diceva spesso il grande Olivero Beha, “un Paese senza più memoria non è più un Paese”. E la nostra memoria resta affidata, di tanto in tanto, al blaterare di un Presidente dell’Ovvio, di un capo dello Stato ectoplasma che, alle rituali scadenze, chiede di far luce sulla strage di Ustica o su quella di Bologna. Mattarella, ma ci faccia il piacere.

SIGNORA, MI DICA LEI CHI DEVO INTERROGARE

L’anno che ci lasciamo alle spalle ha il volto segnato dal dolore di Luciana Riccardi, la madre di Ilaria Alpi, trucidata 23 anni fa in Somalia con Miran Hrovatin. E il volto truce del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone che mesi ebbe la faccia di bronzo di suggerire alla signora Alpi, “mi dica lei chi devo interrogare”. Un’atroce presa in giro per quella madre coraggio e per la memoria della figlia.

Il capo dello Stato Sergio Mattarella

Il capo dello Stato Sergio Mattarella

Roma in questo modo torna ad essere quel porto delle nebbie che è sempre stato: la procura arriva a chiedere l’archiviazione del caso Alpi dopo che una sentenza a Perugia ha messo nero su bianco un chiaro “depistaggio”: basta ora andare a prendere mandanti e assassini, un gioco quasi da ragazzi dopo quella illuminante sentenza perugina.

Invece niente, il buio più totale. L’inerzia più assoluta.

Il depistaggio è entrato, come un cancro, nei processi Borsellino, siamo arrivati al quater – incredibile ma vero – e nessuno osa far pagare il conto a quei magistrati con tanto di nomi, cognomi e indirizzi, i quali hanno inventato a tavolino il pentito Scarantino per depistare meglio ed evitare che luce venisse fatta su quel chiaro omicidio di Stato, come fu anche quello di via Capaci.

Perchè quei due magistrati “dovevano morire”.

Come “Doveva morireAldo Moro, secondo il profetico libro scritto da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato: e adesso la commissione d’inchiesta, presieduta dall’ex Dc Beppe Fioroni, chiude i battenti senza aver prodotto neanche l’ombra di un topolino. Come del resto capita, storicamente, a tutte le commissioni parlamentari d’inchiesta, autentiche sceneggiate e prese per i fondelli dei cittadini.

Luciana Riccardi, madre di Ilaria Alpi

Luciana Riccardi, madre di Ilaria Alpi

Il porto delle nuove nebbie, la procura di Roma, produce altri aborti. Come la manifesta non volontà di far luce sul caso di Emanuela Orlandi, proprio quando – come per Ilaria Alpi – ci sarebbero tutti gli elementi giusti per arrivare ad una conclusione. E’ venuto infatti alla luce, un paio di mesi fa, che Emanuela aveva alloggiato a Londra, in un collegio femminile, per circa un anno: e le spese vennero sostenute dal Vaticano. Che quindi sapeva ed era perfettamente a conoscenza delle trame. Perchè mai, ora, la procura di Roma non vede, non parla, non sente, non alza un dito e non fa il becco di un’indagine?

LE PROCURE STANNO A GUARDARE

Stesso copione per il giallo Pasolini. Esattamente un anno fa il legale della famiglia presenta delle inoppugnabili prove del DNA, che attestano come sulla scena del crimine ci fosse almeno un altro ‘protagonista’, un Ignoto 2 (e forse anche un Ignoto 3). Mentre appare ormai chiaro anche ai non vedenti che il motivo di quell’assassinio di Stato aveva una matrice ben precisa: i buchi neri dell’Eni, quel Petrolio bollente che avrebbe rischiato di mandare in tilt la nomenklatura di allora.

E la procura di Roma, oggi, a oltre un anno di distanza da quelle prove schiaccianti, resta solo a guardare.

Come sta a guardare, da quasi un anno e mezzo, la procura di Napoli, che ha un fascicolo aperto (sic) sul caso di Marco Pantani, al quale la camorra sottrasse il Giro d’Italia 1999, comprandolo a suon di minacce e corruzioni, facendo alterare il suo campione di sangue. La Direzione distrettuale antimafia partenopea da agosto 2016 dovrebbe far luce e, invece, fino ad oggi non ha prodotto neanche lo straccio di un documento: eppure le verbalizzazioni di parecchi pentiti sono lì, sul tavolo delle prove, a sostenere che quel Giro d’Italia venne taroccato. Cosa si aspetta, l’intervento di San Gennaro?

Giuseppe Pignatone

Giuseppe Pignatone

Da un suicidio-omicidio all’altro il passo è breve, ed eccoci a Siena. Dove la Procura per ben due volte, nonostante la mole di prove dica esattamente il contrario, ha chiesto l’archiviazione per la morte di David Rossi, il responsabile per la comunicazione del Monte dei Paschi di Siena volato giù dal quarto piano di palazzo Salimbeni. Solo il coraggio della moglie di David e della famiglia fa sperare ancora in qualcosa. Per le toghe di casa nostra, invece, tutto chiaro: suicidio. Per saperne di più, leggete l’illuminante “Morte dei Paschi”, appena uscito in libreria e firmato da Elio Lannutti e Franco Fracassi. Anche per capire come i Bankster uccidono i risparmiatori.

Calpestata quest’anno, ancora una volta, la memoria delle vittime di Ustica: mandanti mai. Ora spunta un marinaio della Navy a stelle strisce, smemorato per quarant’anni. E magistrati sempre sotto coperta, a non vedere ed esaminare neanche un documento choc filmato e firmato Canal Plus di mesi fa, che ricostruisce quell’atroce scenario di guerra, con una portaerei francese (Foche o Clemanceau) protagonista. Perchè nessuno indaga, pur con una pista così precisa? I soliti misteri della (non) giustizia di casa nostra.

L’anno che arriva potrà portare ad una sentenza-sentenza, autentica, in grado di far giustizia dopo oltre vent’anni per la strage del sangue infetto? C’è solo da sperarlo. Il processo, cominciato a Napoli nella primavera 2016, è andato avanti per tutto quest’anno, e il verdetto dovrebbe essere pronunciato tra febbraio e marzo 2018. Un strage di cui nessuno osa parlare, i media regolarmente tacciono (solo il Fatto ha scritto alcuni articoli): una strage da 5 mila vittime e passa. Nessuno vuol disturbare lorsignori, i pezzi da novanta di Big Pharma, i vertici delle aziende che lavorano e commerciano sangue, come da noi il gruppo Marcucci, storico oligopolista nel settore fin dai tempi di Sua Sanità De Lorenzo e oggi ancor più in sella per l’amicizia di ferro tra uno dei rampolli di casa Marcucci, il senatore Andrea, col suo capo, l’ex premier Matteo Renzi.

MA ECCO LE FAKE NEWS E IL NUOVO BAVAGLIO  

Con una magistratura così assonnata, sarebbe il caso di poter contare su un giornalismo che faccia il suo dovere, un vero giornalismo d’inchiesta, capace di svelare trame e connection, soprattutto sul versante degli storici – e sempreverdi – rapporti fra mafie, politica e imprese.

Andrea Orlando

Andrea Orlando

Invece che succede? Il vero problema sono le Fake News! Si guarda la pagliuzza in rete e non la trave di un giornalismo carta e tivvù ormai omologato, cloroformizzato, genuflesso davanti al Potere. Per una serie di motivi, non ultimo quello della via giudiziaria alla normalizzazione dei media: le querele inventate di sana pianta, le citazioni milionarie utilizzate al solo scopo di intimidire – come un revolver puntato alla tempia – quel raro giornalista che voglia ancora fare il suo mestiere. Spesso un free lance.

Ma chissenefrega. Lotta alle Fake news è il nuovo cavallo di battaglia in casa Pd, che ha da tempo ormai mandato in soffitta la libertà di stampa e il diritto dei cittadini ad essere informati.

Ciliegina sulla torta, vera strenna natalizia, ora, la nuova normativa sulle intercettazioni e soprattutto sulla loro divulgazione: un vero, nuovo bavaglio come neanche Berlusconi si sarebbe mai sognato. Vero è che le intercettazioni, per i giornalisti, devono rappresentare uno strumento in più a corredo di inchieste che si basino su una corposa acquisizione di dati, notizie, documenti e informazioni.

Ma non è possibile, come succede adesso, sotto il vigile sguardo del guardasigilli Andrea Orlando, che intende la lotta alle mafie come un esercizio da scout, mettere una simile pietra tombale sull’uso delle intercettazioni nei media. Chi decide cosa sia rilevante o meno? Cosa vuol dire mai che sono riproducibili solo alcuni ‘brani essenziali’? E via di questo passo, tanto per seppellire una volta per tutte quei pochi brandelli della libera informazione.

Era proprio uno scout, il Venerabile Licio Gelli

Sandro Provvisionato

Sandro Provvisionato

 

P.S. Il nostro abbraccio più forte va a due amici dei quali sentiamo una tremenda mancanza, Oliviero Beha e Sandro Provvisionato. Non solo due penne rare nel panorama del giornalismo italiano, ma due uomini di raro coraggio, capaci di lottare nella giungla dell’informazione sempre con la schiena dritta e con rara intelligenza. Ciao.

 

 

 

 

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Un commento su “2017 / L’ANNO DELLA GIUSTIZIA CALPESTATA E DELLA MEMORIA TRADITA”

  1. bruno fedi ha detto:

    Quello che volevo dire è che non solo i grandi casi sono criticabili. La mia personale esperienza mi porta a credere che anche tutta l’infinita serie di piccole vertenze sia condotta in modo assolutamente e manifestamente ingiusto. E’ questa montagna di grandi e piccole ingiustizie che rende invivibile il paese. B Fedi

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