MA QUANTO CI COSTEREBBE L’ASSISTENZA SANITARIA

Da tempo si discute tra gli operatori, i politici e i mass media del definanziamento della sanità. Il governo nega affermando di aver sostanzialmente aumentato la quantità di risorse, ma dimentica di dire che quell’aumento è di fatto annullato dall’inflazione, dall’aumento del costo di farmaci, attrezzature sanitarie e delle tecnologie. Non bastano, tantomeno, a coprire i costi della ricerca, dalla necessità di aggiornare le tecnologie utilizzate e nemmeno a coprire i bisogni minimi di reclutamento del personale. Infatti, quello ancora in servizio, diminuisce vertiginosamente per il flusso dei pensionamenti, per improvvide minacce del governo, ma anche a causa della fuga di operatori (i più giovani e bravi) verso il privato, se non verso l’estero. Questi fatti – oltre a precisi interessi – orientano molti decisori a praticare sempre più le esternalizzazioni di servizi e prestazioni, affidandoli alla sanità privata.

Peccato però che questo privato si rivela essere poco imprenditoriale e molto parassitario. Non ha nessuna voglia di investire risorse e sfugge dal farsi carico delle prestazioni più complesse e costose, lasciandole sistematicamente in capo a un servizio pubblico boccheggiante. Così come tutte le prestazioni considerate poco remunerative. Al privato non conviene gestire le patologie più gravi e invalidanti, né tantomeno investe in nuove terapie. Le moderne terapie innovative hanno bisogno di grandi investimenti, come abbiamo visto durante la pandemia e di tempo per sperimentare risultati accettabili. La ricerca, come è noto, costa molto e i nuovi farmaci hanno bisogno di lunghe fasi di sperimentazione. Bisogna inoltre disporre di strumenti, tecnologie e moderne attrezzature. La ricerca è un’attività che può anche esitare in fallimenti e produrre risultati incerti. Il privato offre prestazioni costose, né tantomeno si fa carico di pazienti molto gravi e con bassa aspettativa di vita. Di conseguenza ha sempre bisogno di selezionare rigorosamente la sua clientela, e lo fa sulla base della loro disponibilità economica, perché tutto è a pagamento; ma anche in base all’aspettativa di vita, perché ha bisogno di tempo per fornire molte prestazioni e coprire così i costi. È per questi due motivi che non può esistere una vera competizione tra sanità pubblica e privata. La prima è, per statuto, universale e gratuita, la seconda, tranne qualche raro caso di privato religioso (come, per esempio, la rete ospedaliera vaticana o evangelica), è spesso radicata in un mercato tutto privatistico, capace di offrire buone prestazioni ma per persone benestanti e a caro prezzo. Garantisce un’eccellente accoglienza alberghiera ed è generalmente dotata delle più moderne tecnologie diagnostiche. Sottrae al servizio pubblico ingenti risorse economiche, proprio mettendo a disposizione le sue tecnologie diagnostiche e convenziona i migliori professionisti sottraendoli al servizio pubblico, li seduce con mirabolanti offerte economiche attirando così i loro clienti più facoltosi.

E i pazienti più poveri? Quelli non li vuole nemmeno vedere, e non solo perché non potrebbero mai sostenere le spese. I nostri cittadini più poveri, come in America, dovranno continuare ad affollare gli ospedali pubblici, rivolgersi ai cronicari, alle residenze per lungodegenti. Strutture spesso maltenute, senza strumentazioni e con poco personale di assistenza.

Molti hanno da tempo segnalato l’insostenibilità delle lunghe liste d’attesa per ottenere una prestazione specialistica, un’indagine radiodiagnostica o di laboratorio.

Pochi sanno però sono consapevoli di quanto costerebbero le cure sanitarie se dovessero pagarle di tasca loro. Non possono immaginarlo se ci pensano quando sono sani. Soprattutto per cure che si riveleranno lunghe e costose, come quelle oncologiche, quelle cardiologiche e persino quelle finalizzate al monitoraggio di patologie croniche o che richiedono continue ospedalizzazioni o una residenzialità prolungata nel tempo.

Ci ha pensato il sindacato medico ANAAO Assomed a fare i conti. Dal suo report risulta che servirebbero circa 1200 euro al giorno per un ricovero in un qualunque ospedale privato, senza contare poi la parcella del chirurgo, che può variare da 3000 a 10000 euro per la sua sola prestazione, a cui però bisognerebbe sommare le spese accessorie relative al ricovero, a cominciare dal posto letto e dall’assistenza alla persona.

“Senza il servizio sanitario nazionale, che oggi grava su tutti i cittadini con la fiscalità generale – conclude il report – il conto delle cure sarebbe per ogni cittadino assai salato”. Poi elenca il costo di tutte le prestazioni.

Per questi motivi, e non solo, è imprescindibile che il governo in carica adeguai ogni anno gli stanziamenti finalizzati a mantenere buoni livelli di efficienza e un accettabile funzionamento dell’intero sistema … almeno ai livelli dell’anno precedente. Ma attenzione. Prima di concepire l’ipotesi di rinunciare all’assistenza pubblica per abbattere le tasse dovremmo conoscere quali sarebbero i costi delle cure nel privato. Gli autori della ricerca ‘hanno fatto i conti’ di quanto costerebbero ricoveri, interventi chirurgici, follow up specialistici e check up.

I risultati ci mostrano chiaramente che un ricovero costa da 422 a 1278 euro al giorno, a seconda che si tratti di una bassa o di un’alta complessità assistenziale, ma a questi costi bisogna poi sommare una media di 1200 euro per ogni ora di utilizzo della sala operatoria, altri 600 euro al giorno per una degenza in un reparto chirurgico, oppure 400 per una degenza in medicina o 165 se si tratta di un ricovero ordinario in degenza post acuzie.

L’ANAAO conclude il suo report ponendo quattro domande a Governo, Regioni e partiti politici:

  1. Volete ancora un sistema sanitario pubblico e universalistico, finanziato da tutti i cittadini tramite la fiscalità generale?
  2. Che ruolo riservate alla sanità pubblica nella scala delle vostre priorità programmatiche?
  3. Ritenete che il servizio sanitario nazionale sia un bene comune da difendere? O volete cambiare sistema e optare per sistemi più selettivi?
  4. Infine, quanta parte della ricchezza nazionale prodotta ogni anno (PIL) pensate si dovrebbe destinare alla salute?

Il confronto con l’Europa diventa desolante e si rivela per noi in netta controtendenza. Se continueremo in futuro ad investire insufficienti risorse, dovremo necessariamente virare verso un sistema sanitario fondato solo su un privato speculativo, perché dovremmo rinunciare anche al privato convenzionato. Allora tutti dovremo pensare seriamente a sottoscrivere un’assicurazione sanitaria, ma di quelle buone che non ci molleranno nel caso aumentino i nostri bisogni. Cominciamo a cercarla, e possibilmente prima di ammalarci.

In questo sfortunato caso, difficilmente troveremo un’assicurazione disponibile.

 

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