IL FUNERALE DELLA GIUSTIZIA / BORSELLINO, REGENI, MOLLICONE: VERGOGNA IN AULA  

  In appena tre giorni si sono celebrati i solenni funerali della giustizia italiana.

La sentenza assolvi-tutti al processo sul depistaggio per la strage di via D’Amelio – sono trascorsi 30 anni fa esatti, guarda il destino   – in cui furono trucidati il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Ennesimo ceffone (anche) alla Memoria.

Il clamoroso NO della Cassazione al ricorso dei pm che chiedevano semplicemente di poter identificare (ai fini della notifica degli atti giudiziari) gli agenti dei servizi segreti egiziani che – secondo l’accusa – torturarono e uccisero Giulio Regeni.

La totale assoluzione, al tribunale di Cassino, degli imputati per l’assassinio(“concorso in omicidio” il pesantissimo capo d’imputazione) di Serena Mollicone, uccisa 21 anni fa. Le parolette magiche che hanno salvato Marco Mottola e i suoi genitori? “Non aver commesso il fatto”.

A questo punto non resta che ‘rileggere’ i tre casi, alla luce delle sentenze appena pronunciate.

Partiamo da via D’Amelio.

 

DEPISTAGGIO BORSELLINO, TUTTA UNA FARSA

Vincenzo Scarantino

Di tutta evidenza Borsellino s’è fatto saltare da solo, con l’aiuto dei militari della scorta.

Nessuno ha ‘taroccato’ il pentito

Vincenzo Scarantino, che ha da solo, senza imbeccate di poliziotti e pm, ha deciso un bel giorno di inventarsi tutto, forse dopo un bel sogno nel quale ha visto le facce dei feroci killer. Senza giocarsi numeri al lotto, ha pensato bene di raccontare il suo ‘dream’ agli inquirenti che hanno preso – giustamente – il tutto per oro colato. Senza inutili ‘riscontri’ che fanno solo perdere tempo, senza verificare se Scarantino era un picciotto attendibile o no – ma chissenefrega – bastava sbattere qualche mostro in prima pagina e chiudere il caso. Tutti felici e contenti.

E’ arrivato poi un altro pentito, Giuseppe Spatuzza, a smontare il castello dei sogni? E ri-chissenefrega.

E’ arrivata quindi un’inchiesta della procura di Caltanissetta secondo la quale si è verificato “il più grande e vergognoso depistaggio della nostra storia giudiziari”? E di nuovo: chissenefrega.

S’è allestito un processucolo che comunque tirava in ballo tre poliziotti accusati di aver ideato il copione che Scarantino doveva imparare a memoria per recitare al processo il suo ruolo da protagonista?

Anche questo è praticamente finito in beata prescrizione, il solito miracolo che San Gennaro riesce a tirar fuori dal suo magico cilindro anche per i non partenopei.

L’avvocato Fabio Trizzino

Neanche mai sfiorati, in tutta la ‘sceneggiata’, gli inquirenti, i magistrati che – lo capisce anche uno studente delle medie – hanno condotto le indagini e impartito le direttive, come prevede la più elementare ‘catena di comando’. Due, Annamaria Palma e Carmelo Petralia – ossia i primi togati che hanno indagato sulla strage di via D’Amelio – sono stati appena sfiorati da un’inchiesta messinese che ha subito archiviato tutto. Il terzo, subentrato mesi dopo nelle indagini sull’eccidio, Nino De Matteo, non è stato neanche sfiorato dall’ombra del più lontano sospetto: immacolato come un giglio candido.

E a nulla sono serviti i pesantissimi j’accuse rivolti ai magistrati, nel corso degli anni, da Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, e in aula – con le sue coraggiose arringhe – dal legale della famiglia, Fabio Trizzino, che ha sposato l’altra figlia del giudice, Lucia Borsellino.

La giustizia processuale è ormai una sbiadita utopia. Riusciremo a far vivere con sempre maggior forza la ricostruzione storica e, soprattutto, la Memoria?

 

CASO REGENI / VINCONO GLI AFFARI CON L’EGITTO

Passiamo al secondo caso di giustizia clamorosamente calpestata, stavolta con ogni probabilità per ‘ragion di Stato’.

Il Palazzaccio romano, ossia la suprema corte di Cassazione, ha respinto una elementare richiesta avanzata dai pm capitolini che indagano sulla fine di Giulio Regeni. Si trattava cioè di poter avere semplicemente gli indirizzi per poter notificare a tre 007 egiziani i decreti di comparizione al processo che li vede imputati nella efferata uccisione del giovane studioso friulano. Un atto dovuto. Senonchè, le autorità egiziane hanno eretto un vero e proprio muro di gomma: non vi forniamo i loro indirizzi, i loro riferimenti: in modo tale che quelle notifiche non possano mai andare a buon fine.

Una autentica, vergognosa, presa per il culo. Come dire: me ne fotto delle autorità italiane, mi sento in una botte di ferro, io quei dati non ve li fornisco.

Sarebbe bastata una presa di posizione dura e forte del nostro premier, Mario Draghi, e del nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, per ottenere senza troppi problemi il risultato dovuto.

Abdel Fattah el-Sisi

Ma con ogni probabilità i nostri Eroi – l’ex capo della BCE e il fresco transfuga da quei 5 Stelle che aveva cofondato – erano in altre faccende affaccendati: l’allestimento, cioè, di un’altra maxisceneggiata, quella andata in onda giorni fa, con l’uscita dell’ex steward del San Paolo dai pentastellati, la formazione di un gruppicchio; quindi, in rapida successione, la presa di posizione di Giuseppe Conte, l’esternazione meroliana (ricordate il re della sceneggiata Mario Merola?) del premier che non ne può più dell’ex premier (e del quale sollecita a Beppe Grillo la cacciata dal vertice del movimento un giorno sì e l’altro pure) e la frittata è servita.

Il Salvatore della Patria incontra in tempo reale il presidente robot Sergio Matterella, il quale ovviamente respinge le dimissioni, per cui la sceneggiata è destinata a durare nel tempo: primo atto mercoledì prossimo quando finalmente Re Draghi si degnerà di spiegare in un Parlamento ormai ridotto in uno stato comatoso le ragioni del suo no alle richieste di Conte, quel minimo sindacale che il movimento di Grillo aveva sempre chiesto (e mai ottenuto) fin dal primo momento,  perfino depurato dai tanti rospi amari ingoiati dai 5 Stelle per le innumerevole retromarce rispetto al programma originario.

Una lunga digressione per chiarire appena il farsesco contesto politico in cui matura il vergognoso NO pronunciato dagli ermellini della Cassazione alle legittime richieste dei pm.

Perché, of course, è impossibile, nell’attuale contesto di guerra alla quale l’Italia partecipa con convinzione (quella di Draghi e dei suoi tanti lacchè) e armi a volontà, sbattendo tutte le possibili porte in faccia al dialogo con la Russia, precludersi ottimi partner commerciali, anche sotto il profilo energetico. Ben compreso l’Egitto del dittatore Abdel Fattah al-Sisi che ha sulla coscienza la morte del nostro Regeni. Ma anche stavolta, chiudiamo un occhio, anzi tutti e due, e chissenefrega!

Del resto, cosa ha fatto il Capo dei Capi, il presidente degli Usa Joe Biden nel suo gran tour mediorientale a caccia di petrolio & consensi, e soprattutto per ‘invitare’ quei paesi a rompere con la Russia del macellaio Vladimir Putin? Ha perfino salutato con gran calore il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa’ud, il mandante (perfino per la CIA!) dell’omicidio del giornalista arabo-americanizzato Jamal Ahmad Khashoggi. In un’intervista rilasciata a botta calda, la compagna di Khashoggi ha così commentato: “Le mani di Biden grondano sangue”. Da raggelare: eppure, avete sentito un notiziario di un qualunque Tg, privato o di Stato, raccontare l’accaduto?

Niente, un silenzio tombale.

Vince sempre, of course, la Ragion di Stato.

 

SERENA MOLLICONE / TUTTI GIGLI CANDIDI

Eccoci al terzo giallo, quello meno conosciuto ma non meno eclatante: l’omicidio di Serena Mollicone avvenuto 21 anni fa ad Arce, nel frusinate.

La ‘Voce’ ne ha scritto diverse volte (potete trovare i link in basso), perché tra l’altro rimanda ad un altro caso per certi versi simile, quello di Marco Vannini. La somiglianza è dovuta al fatto che al centro delle storie ci sono dei militari, in particolare dei carabinieri.

Ma veniamo alle ultime sul caso Mollicone.

Tutti assolti “per non aver commesso il fatto”, al processo che si è appena svolto davanti alla Corte d’Assise di Cassino, gli imputati: il ‘fidanzato’ e ‘presunto’ killer di Serena, Marco Mottola, il padre Franco, ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce, e la madre Anna Maria. Assolti “perchè il fatto non sussiste” anche il maresciallo Francesco Quatrale (accusato di concorso esterno in omicidio e per il quale erano stati chiesti 15 anni di galera) e l’appuntato dei carabinieri Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento.

Una sentenza che ribalta totalmente la ricostruzione e le richieste dell’accusa: 24 anni per Marco Mottola, addirittura 30 per il padre, 21 per la madre e 15 per Quatrale.

 

La mole di prove raccolta in questi anni dai pm, quindi, s’è sciolta come neve al sole, una autentica bolla di sapone. Compresa – per citarne una sola – la perfetta compatibilità tra il cranio di Serena e la porta sfondata della caserma.

Il Tribunale di Cassino

Secondo la ricostruzione dei pm Beatrice Siravo e Carmen Fusco, era stato Marco Mottola a sbattere la testa di Serena contro una porta della caserma. La ragazza sarebbe rimasta ferita e si sarebbe potuta salvare ma – stando sempre all’accusa – dopo ore di agonia venne soffocata dal padre. La madre, poi, si sarebbe occupata di ‘preparare’ il cadavere prima di abbandonarlo, con l’aiuto di suo marito Franco nel bosco di Anitrella.

Da rammentare che la tragica vicenda vede anche la morte per ‘suicidio’ di un giovane brigadiere, Santino Tuzi, che nel 2008 raccontò agli investigatori di aver visto entrare Serena in caserma    e di non averla più vista uscire. Accuse riconfermate agli inquirenti ma poi – secondo il pm Siravo – per le ‘pressioni’ esercitate dai colleghi il povero Tuzi si tolse la vita: motivo per cui Quatrale venne anche indagato per ‘istigazione al suicidio’.

E ovviamente la Corte d’Assise ha negato anche questa ipotesi.

Al termine dell’udienza, la figlia di Tuzi ha inseguito Suprano per urlare: “Francesco, devi dire la verità”. E ha poi aggiunto: “Ci sono altri carabinieri che non parlano”.

Qualche parola, invece, la dice un innocente che s’è fatto 17 mesi di galera perchè ritenuto il killer della prima ora, secondo il copione dello ‘sbatti subito il mostro in prima pagina’. Si tratta di un carrozziere della zona, Carmine Belli, che così ora commenta: “Mi sento uno schifo. Desideravo un po’ di giustizia per Serena e il padre. Quando la polizia mi fermò sul posto di lavoro a Ceprano per dirmi che ero accusato di omicidio, non capii più nulla”. Belli fino ad oggi non ha ricevuto un euro dallo Stato come risarcimento per la sua ingiusta detenzione.

 

Al termine della narrazione delle tre vicende, sorge spontanea la domanda: ma esiste oggi, nel nostro Paese, ancora uno straccio di Giustizia?

Varrebbe la pena di chiederlo agli italiani, soprattutto a quelli che, entrati in un’aula di tribunale, vedono campeggiare a caratteri cubitali la scritta: “LA GIUSTIZIA E’ UGUALE PER TUTTI”.

Non pensate che quello della Giustizia (un fondamentale tema inutilmente sprecato con un referendum farlocco) sia uno dei temi clou della – si spera più vicina possibile – campagna elettorale?

 

 

LINK

 

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