Forse non tutti se ne sono resi conto, ma la guerra in Ucraina ha cambiato natura: se prima era una guerra della Russia contro l’Ucraina, ora è diventata una guerra della NATO contro la Russia. Di questo infatti si tratta, e non solo perché ormai le armi con cui l’Ucraina la combatte non sono più quelle “sovietiche” ereditate dall’URSS, ma quelle “atlantiche” attribuitele dalla NATO, ma anche perché, per tacere di tutte le altre forme di cobelligeranza, i capi della grandi Nazioni dell’Occidente ne hanno preso, insieme a Zelensky, la direzione collegiale. E lo hanno voluto fare nella forma più vistosa: mentre Biden dava il via alla fornitura di armi “pesanti” all’Ucraina e il capo di Stato maggiore americano Milley spiegava che gli alleati occidentali le avevano fornito 97.000 sistemi anti-carro, più di quanti carri esistano al mondo, Draghi, Macron e Scholtz, senza che nessun Parlamento gliene avesse dato mandato, sono andati a Kiew per dire a Zelensky che si mettevano nelle sue mani, sia per la condotta della guerra sia sui tempi ed i modi per mettervi fine; “se vogliamo la pace”, secondo le parole di Draghi, “sarà l’Ucraina a scegliere la pace che vuole” ma non l’Ucraina da sola bensì, “inequivocabilmente” come confermato dalla visita dei tre, anche l’Italia, l’Europa e i loro alleati, che appunto sono l’America e, tutti insieme, la NATO.
Proprio questo però è stato il “casus belli”. Come ha rivelato il papa parlando ai direttori delle riviste culturali dei Gesuiti europei: «Un paio di mesi prima dell’inizio della guerra ho incontrato un capo di Stato, un uomo saggio, che parla poco, davvero molto saggio. E dopo aver parlato delle cose di cui voleva parlare, mi ha detto che era molto preoccupato per come si stava muovendo la NATO. Gli ho chiesto perché, e mi ha risposto: “Stanno abbaiando alle porte della Russia. E non capiscono che i russi sono imperiali e non permettono a nessuna potenza straniera di avvicinarsi a loro”. Ha concluso: “La situazione potrebbe portare alla guerra”. Questa era la sua opinione. Il 24 febbraio è iniziata la guerra. Quel capo di Stato ha saputo leggere i segni di quel che stava avvenendo».
La questione è che il cane della NATO ha i denti atomici. Ma la NATO non è una potenza sovrana, dotata dello “ius ad bellum”. Neanche ai sensi della teoria dello Stato di Hobbes la NATO ha un diritto di guerra, e nemmeno perciò ne risponde; ma se la NATO, al di là dei singoli Paesi che vi appartengono, fa la guerra, vuol dire che l’intero ordine internazionale, pur iniquo com’era, è saltato.
Si può sperare che si tratti di una guerra a intensità limitata, grazie a quanto resta del tabù della bomba atomica, ma si può dire che l’insieme di questi avvenimenti trasforma il conflitto in Ucraina in una guerra mondiale, come Pearl Harbour il 7 dicembre 1941 fu il vero inizio della Seconda. In questo caso si tratta di una guerra mondiale con sangue locale, perché se le armi sono universali, il sangue è delle patrie, ucraini e russi; nessuno si deve illudere però che in questo nuovo corso della guerra anche il sangue non diventi universale.
Il segretario alla Difesa americano ha detto che sarà “una lunga guerra d’attrito”, che è proprio quella che ci vuole per stremare la Russia e metterla al bando come “paria”, come vuole Biden. Il che vuol dire però pensare il mondo come diviso in caste, spezzato da differenze e conflitti irriducibili: al di sopra di tutti sono gli Stati Uniti, come lo sono i brahmani in India, poi c’è la casta dei guerrieri che stabiliscono con la forza i rapporti di dominio, poi la casta dei mercanti, ossia multinazionali fabbricanti d’armi e banchieri e infine gli esclusi, gli intoccabili: non solo la Russia, pensata ancora con il marchio dell’Impero e dei Soviet, ma anche i servi, i poveri, i profughi, i fuggiaschi confinati in condizioni di inferiorità irrimediabili, metafisiche, più numerosi delle stelle nel cielo; cento milioni di migranti quest’anno, quasi sei milioni di poveri assoluti in Italia. Non è solo la fine dell’età moderna, come padre Balducci pensò che fosse la guerra del Golfo. Qui siamo al fallimento della ragione e del diritto, al rovesciamento delle speranze dell’89, al disprezzo del mondo e della storia.
Siamo ancora in tempo per scongiurare questo delitto? L’alternativa a questo crimine è una rifondazione della politica, che la sottragga alla sua cattiva identificazione con la mitologia del nemico, e alla sua sublimazione nel sacrificio delle vittime. Al contrario della ideologia vittimaria, l’unanimità violenta stabilita nel sacrificio delle vittime non è in grado di ricomporre l’unità sociale e di stabilire quel deserto che chiamano pace; le risorse sacrificali sono esaurite, la sola speranza è il ritorno della ragione e la conversione dell’amore.