Signori si nasce… e io nacqui, esclusiva di Totò

Non è un mistero, Bergamo calcistica è razzista e ne sanno qualcosa i napoletani che seguono la squadra ovunque in trasferta, perché vittime  di cori ignobili, riferimenti al colera (argomento scabroso per Bergamo, città esposta più di ogni altra all’aggressività del Covid-19 per mancate misure di contenimento) all’energia distruttiva del Vesuvio. È questione antica: l’intolleranza di frange delinquenziali del tifo, in oscena combinazione con la discriminante razzista della destra è fenomeno incontrollato che non si vuole imbavagliare.

Se i cori razzisti fossero puniti con partite a ‘porte chiuse’ per dieci giornate di campionato, i facinorosi si guarderebbero bene dall’insultare giocatori con la pelle nera e squadre del Sud. Obiezione possibile: ma così sarebbero penalizzati anche i tifosi ‘perbene’. Vero, ma con la prospettiva di godere in pace e in maniera civile lo spettacolo del calcio.

Veniamo al perché di questo prologo. La ‘sparata’ provocatoria di un tifoso napoletano, dopo chissà quanti insulti subiti negli stadi del Nord (quello di Verona è un altro covo di razzisti), ha infastidito il tecnico dell’Atalanta per una domanda, come definirla, di tipo statistico: “’Mister, dopo 10 anni ve la giocate la partita o gliela regalate come al solito? Forza Napoli!” Un uomo dell’esperienza e nel ruolo di Gasperini avrebbe finto di non sentire. Lui, invece, ha ‘ordinato’ al tifoso “Fatti un giro, pedala…coglione”. Se conclusa qui, la stupida querelle non avrebbe comportato strascichi, ma per capire che aria tira anche nello staff di vertice dell’Atalanta, è arrivato a rimorchio l’intervento del team manager che ha rincarato e come la dose: “Testa di cazzo, terrone del cazzo”, leggiadra espressione conclusa con una pesante esclamazione blasfema. In due parole: bestemmia e discriminazione di carattere territoriale o più semplicemente razzista, come l’ha definita Fiore ex capo della squadra mobile di Napoli che condivide l’idea di squalificare lo stadio di Bergamo (o di ogni altro razzista) fino alla fine del campionato. Fiore e un’infinità di napoletani ricordano che dal Sud, Napoli inclusa, Bergamo ha ricevuto solidarietà tangibile con l’invio di denaro, medici e infermieri per combattere la pandemia. Una nota a commento, pubblicata dal mitico Corriere, è un prodigio di equidistanza dai protagonisti dell’episodio. Si chiede se il tifoso napoletano, ha per caso pensato di ricevere leccornie in cambio della provocazione. Eh…no, niente dolcetti, ma neppure ingiurie da trivio, anti meridionali. L’insulto, secondo la tesi citata, rischierebbe di essere considerato una provocazione razzista. Perché, invece cos’altro sarebbe? La conclusione è un capolavoro di equilibrismo, di sentenza sulla non opportunità di provocare Gasperini alla vigilia di Juventus-Atalanta e somiglia molto alla presunzione insita nella canzone dedicata alla ‘Madonnina’ del duomo milanese: “Cantano vedi Napoli e poi muori, ma poi vengono qui a Milano” (città che dovrebbe ringraziare il Sud per il contributo di braccia e intelligenze alla sua dimensione di capitale dell’economia italiana).  Gasperini intervistato a fine partita, probabilmente incavolato per il bugiardo pari e patta con la Juve, a conclusione di una partita dominata dai suoi giocatori e condizionata dai due rigori che hanno consentito ai bianconeri di uscire indenni dalla sfida, si è imbarcato in una poco credibile auto assoluzione. A suo parere, ‘coglione’, rivolto al tifoso, è forse espressione di bon ton? “La questione”, ha dichiarato “non riguarda né lui, né tanto meno l’Atalanta (e chi la Papuasia?): è stato solo un diverbio (diverbio?)”

Detto tra noi: da ieri sera ha subito una motivata inversione di tendenza la simpatia per una squadra che vince e diverte, plasmata per esprimere calcio totale, estraneo a esasperazioni tattiche e non gioco utilitaristico. In questa valutazione non c’è volontà vendicativa.

Ieri sera, la contrapposizione della Rai all’evento sportivo più atteso, la sfida Juve-Atalanta, ha proposto una lunghissima e ricca maratona canora con tanto di numero a cui donare euro per l’impero economico che nel tempo è diventato il rito di Padre Pio, esasperatamente commercializzato e osservato con molta cautela anche dalla Chiesa di Papa Bergoglio, non solo per il giro di affari che ruota intorno a Pietrelcina e alle varie diramazioni del culto al ‘’frate delle stimmate’. Ebbene, se è largamente condiviso il ruolo della Rai nel favorire le donazioni a centri di ricerca e organizzazioni umanitarie, è altrettanto incomprensibile l’appello a finanziarie il giro d’affari alimentato dalla popolarità creata attorno alla figura di Padre Pio.

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