Tutti i segreti, adesso, fanno 29.
Si chiama infatti “29 Leaks” il gigantesco gigabyte che contiene un milione e passa di documenti, molti dei quali top secret, e tanti che concernono le attività criminali di aziende senza scrupoli, spesso e volentieri con paradisi fiscali off shore.
L’enorme database proviene dagli archivi di Formations House, misteriosa società con sede a Londra al civico 29, appunto, di Harley Street, nel cuore finanziario della capitale britannica.
Il leak è stato ottenuto da un gruppo di attivisti che ha deciso di condividere le informazioni con il centro di giornalismo investigativo OCCRP. Da lì è nato il consorzio composto da 20 testate internazionali, di cui per l’Italia fanno parte La Stampa e il centro di giornalismo investigativo Irpi.
Email, contratti, telefonate, documenti riservati. Di tutto e di più in questa enorme mole di file, dove sono (erano) nascosti i segreti di imprenditori di varia razza, spesso e volentieri border line. Al 29 di Harley Street, per la precisione, sono acquartierati i ‘recapiti’ di circa 400 mila aziende, costituite nell’arco di dieci anni.
I leak più famosi di questi anni, come i Panama e i Paradise Papers, hanno permesso ai giornalisti di indagare su come la finanza mondiale, i papaveri della politica e grossi gruppi industriali hanno sfruttato i paradisi fiscali per non pagare tasse, saccheggiando le casse pubbliche di mezzo mondo.
I documenti di 29 Leaks, invece, svelano come chiunque, compresi criminali più o meno organici alle mafie e alla malavita organizzata, abbiano usato Londra come se si trattasse di un’isola caraibica per costruire la propria cassaforte: basta avere una connessione internet e scegliere bene a quale agente rivolgersi.
Ad esempio, a Formations House.
Secondo David Clark, numero uno del Fraudadvisory Panel, agenzie analoghe hanno depositato appena 23 denunce nel 2019 per profili sospetti, mentre invece sarebbero obbligate a denunciare ogni manovra quanto meno dubbia.
Charlotte Pawar, imprenditrice a capo di Formations House dal 2014, afferma che i dati le sono stati rubati e accusa i giornalisti di essere corresponsabili di crimini nei suoi confronti.
Però, non ha mai fornito lo straccio di una prova del furto. E sostiene che in Gran Bretagna di aziende come la sua ce ne sono a centinaia. “Non abbiamo il controllo sulle azioni di aziende e direttori una volta che abbiamo fornito loro il servizio di formazione dell’azienda. Le aziende da noi costituite hanno passato un processo di due diligence”.
Ma sta di fatto che, proprio grazie all’azione e promozione di Formations House, il mercato delle imprese è stato del tutto drogato nell’ultimo decennio, creando una miriade di società di cui non si conosce scopo, assetto societario, provenienza del capitale, fonte degli introiti, sigle collegate. Un gigantesco pozzo nero senza fondo, che rende possibili, anzi agevola, operazioni di ogni specie, dalle frodi ai riciclaggi.
Il fondatore della società, Nadeem Kahn, patrigno della Pawar, è stato indagato per concorso in attività di riciclaggio ma non è stato possibile processarlo perché nel 2014 è morto.
L’autorità antiriciclaggio inglese, nel 2016, ha avvisato l’azienda del rischio di infrangere le norme internazionali sulla provenienza illecita del denaro e i rischi che tutto ciò avrebbe comportato. Parole che non hanno avuto alcun effetto.
Tra i clienti eccellenti che hanno utilizzato i servizi di Formations House c’è l’ex numero uno degli Hell’s Angels (“Angeli dell’Inferno”) svedesi, banda criminale ritenuta dell’Europol particolarmente pericolosa e ramificata in ben 17 paesi dell’Unione europea.
In Australia, Formations House ha aiutato un magnate russo del settore militare, Vladimir Skurikhin, a costruire un sistema di società off shore per ricevere pagamenti dalle Seychelles. Nel 2010 Skurikhin si è aggiudicato un contratto nazionale per la fornitura di elicotteri poi impiegati nella guerra in Afghanistan. Il tutto evitando di legare il pagamento alla Russia, paese fornitore del materiale bellico.
In Camerun, la società ha assistito un cliente di Hong Kong per creare quello che doveva diventare uno dei più grandi bacini di cannabis al mondo, destinato al mercato legale. Dietro tale maxi business c’è lo zampino della stessa Charlotte Pawar, in combutta con un gruppo di imprenditori. Un progetto che prima ancora di decollare in pieno, ha già permesso di far girare centinaia di migliaia di dollari, tutti naturalmente off shore.
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