Antonio Gramsci si sta rivoltando nella tomba. Uno dei portabandiera del giornalismo visceralmente anticomunista, vale a dire l’ex direttore del Giornale e ora numero uno alla Verità, Maurizio Belpietro, firma il giornale fondato, appunto, da Gramsci.
Come se Belzebù fosse incaricato di dar la comunione alla messa della domenica.
Oppure se Dracula venisse promosso direttore dell’Avis anche se solo per un giorno.
Ai confini della realtà.
Ma succede all’Unità, ormai sparita dalle edicole da un paio d’anni, vicende tribolate nelle aule giudiziarie tra fallimenti e crac, tentate vendite e sceneggiate d’ogni sorta.
A guidare il Titanic della carta stampata il mattonaro che si è travestito da editore, Massimo Pessina, il quale ha finito di gettare lo storico quotidiano comunista nel baratro.
La vicenda non trova soluzione. Un paio di mesi fa aveva fatto capolino la sagoma di Michele Santoro, a quanto pare disposto a rilevare la testata. Ma non è successo niente. E i Pessina continuano a prenderla a pedate, calpestando anche la storia e la memoria di tanti comunisti che in quel quotidiano per decenni e decenni si sono identificati.
Mitiche negli anni ’70 e 80 – per citare solo un esempio – le vendite porta a porta degli iscritti al Pci del quotidiano di Gramsci la domenica mattina. Un appuntamento settimanale per parlare e confrontarsi sui problemi del proprio quartiere, della propria città, a livello italiano. Una stupenda ‘usanza’ inghiottita nel mare del consumismo che ha triturato ideali, valori e utopie di generazioni.
La ciliegina sulla torta di tanta vergognosa debacle, ora, è la firma di Belpietro sul numero unico dell’Unità. Lo ha firmato – sottolinea – per spirito di democrazia e per salvare la libertà d’informazione.
Un quotidiano che non esce per un anno intero – si sa – può essere acquistato da chiunque a zero euro: quindi va fatto un numero nell’arco dei 365 giorni, tanto per conservare il diritto alla titolarità della testata. Si è sacrificato Belpietro, su precisa richiesta di Pessina.
Racconta il direttore de la Verità: “L’editore Pessima mi ha chiamato chiedendomi semplicemente se potevo firmare il numero e io ho accettato. In tempo di crisi dei giornali mi è sembrato giusto salvare una testata. Di certo – ha precisato – non ho nessuna intenzione di fare il direttore dell’Unità, di cui peraltro non condivido molto delle cose che vengono pubblicate”.
Ci mancherebbe altro. E quegli articoli ‘venivano pubblicati’, visto che da un paio d’anni il quotidiano è fermo.
Sorge spontaneo l’interrogativo: ma in tutto questo bailamme, Pessina è proprio “uscito pazzo?”
Come gli è saltato in mente di far firmare il numero a Belpietro? Forse Vittorio Feltri non era ‘Libero’? Neanche Francesco Storace, il fascista che dirige il Secolo d’Italia? E caso mai c’era pronta all’uso CasaPound, fresca di edizione dell’intervista-autobiografia dello Sceriffo Matteo Salvini: una chance perduta.
“Si tratta di un gesto gravissimo, un insulto alla tradizione politica di questo giornale e della sinistra italiana prima ancora che una violazione delle norme contrattuali”, scrive il comitato di redazione.
Peccato che lo stesso comitato non brilli per iniziative in grado di resuscitare il quotidiano fondato da Gramsci e che ‘la sinistra italiana’ vivacchi ormai da anni in stato comatoso.
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