Il rischio di alleanze politiche improprie e quella di governo Pd-Ncd lo esemplifica clamorosamente, produce deviazioni vistose della linea politica di Renzi. Alfano ha ottenuto di cancellare l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori (cinque mesi prima Renzi lo aveva definito intoccabile), impedisce di riconoscere il diritto al matrimonio di coppie omossessuali sancito dall’Europa, ottiene di innalzare a tremila euro il tetto per pagamenti in contanti che agevolano l’evasione fiscale e ora induce il presidente del consiglio a riesumare il progetto per la costruzione del ponte di Messina, bocciato ripetutamente e con motivazioni ineccepibili. Con un tardivo ripensamento Renzi precisa che si farà, ma dopo aver affrontato la priorità delle emergenze: acqua, depuratori, bonifiche, strade e ferrovie. Un colpo al cerchio, uno alla botte. Per dichiarare “il ponte si farà” il capo del governo e segretario del Pd, storicamente contrario all’opera faraonica, ha scelto in chiave elettorale le pagine dell’ultimo libro di Vespa (solo un caso?) che come sempre sarà pubblicizzato da tutte le reti, i programmi, i notiziari e gli speciali radiotelevisivi della Rai (nella circostanza ignorato il conflitto di interessi). Il problema della sinistra e del progetto per ora latente di un “volemose bene” politico che inglobi in una nuova formazione politica chiunque ci starà, da sinistra, centro o destra, magari di quella cosiddetta moderata, è precondizione del compromesso, altro che storico, che frulla nella testa di Renzi. Vuoi vedere che ha ragione Berlusconi quando imputa al governo in carica di copiare il suo programma?
Il governo logora chi ce l’ha
I “podemos” in Spagna, Tsipras in Grecia hanno varcato il Rubicone e il dardo è stato tratto. Hanno tradotto in azioni di governo l’ideologia di sinistra che nella penisola iberica ha rottamato le amministrazioni di Madrid e Barcellona, in pratica di mezzo Paese e in Grecia ha licenziato il governo dei corrotti, lo ha sostituito nel pieno di una drammatica crisi economica che avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque. L’Italia è altro e altro è la prospettiva di insediarsi nell’aula del Campidoglio con sindaco e giunta amica per succedere a Marino e affrontare le ceneri di “mafia capitale”, la scellerata amministrazione Alemanno, carenze, omissioni, corruzione. Singolare è lo scetticismo dei Cinquestelle che un giorno proclamano di esser pronti a governare Roma e all’indomani, con Grillo, si eclissano, incapaci di proporre un nome per la candidatura a sindaco. Peggio, disegnano un quadro tragico dei problemi sul tappeto che scoraggia a cimentarsi con la successione a Marino. Mette le mani avanti il comico leader del movimento, pronostica il rischio di dover fronteggiare scioperi, posti di lavoro persi, di applicare le legge sui licenziamenti. In altre parole, i grillini sembra che remino contro se stessi per scongiurare la responsabilità di cimentarsi con il governo della città. Per intenderci: a Grillo e ai suoi luogotenenti converrebbe rimanere all’opposizione, luogo politico che attrae consensi con la denuncia contro tutto e tutti, disegno populista e qualunquista che da sempre ha coinvolto gran parte degli italiani.
Machismo senile
Altro che giorno da pecora, l’ex presidente del consiglio Lamberto Dini, all’anagrafe 84 anni, esibisce giorni e notti da leone: intervistato da quei mattacchioni di “Un giorno da pecora”, storica rubrica di successo di Radio2 che usa a piene mani la satira, si è dichiarato macho, emulo del miglior latin lover. Il sorprendente politico di lungo corso si è attribuito una frequenza bisettimanale di rapporti sessuali (“niente Viagra”). Come toro da monta Dini non deroga mai dalla scansione, ritenuta un minimo attivismo sessuale, dei due rapporti nei sette giorni e chiosa il proclama virile con la condanna di chi se ne concede uno al mese. “Puha, E’ la morte del matrimonio”. I complimenti sono da dividere tra il protagonista di questa esibizione di virilità senile e i conduttori della rubrica, geniali autori di scoop radiofonici.
Nella foto Lamberto Dini
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