Presupposto del sorprendente consenso che la maggioranza di greci aveva affidato al comunista Tsipras sono stati, com’è noto, l’esasperazione per lo stato di imminente default del Paese, la prospettiva di infierire nel taglio degli stipendi, il vuoto di cassa che avrebbe impedito di pagare le pensioni, la povertà in tragico crescendo, i numeri impressionanti di senza lavoro, la sfiducia dell’Europa in un cambiamento radicale, a breve, la voragine del debito pubblico e la spada di Damocle del risarcimento preteso dall’euro sistema bancario. La vis elettorale del leader di Syriza ha fatto breccia in un popolo depresso anche e forse soprattutto con il miraggio di uscire dall’euro per sottrarsi alla pressione della troika per esplorare la strada dell’autonomia finanziaria e politica dall’Unione. Si sa com’è andata. La Merkel e gli altri big dell’Europa che dettano legge finanziariamente hanno giocato sulla scacchiera delle trattative simulando la minaccia di sancire il fallimento della Grecia e il conseguente addio alla Comunità, ma nella piena consapevolezza dei danni che avrebbe comportato la perdita di uno dei suoi membri e della possibile ricaduta su altre realtà del vecchio continente in difficoltà (Spagna, Italia, Portogallo, Irlanda), alle prese con spinte indipendentiste della destra, ma soprattutto con la convinzione generalizzata dei guai derivati dall’abbandono delle monete nazionali. Tsipras ha dovuto assumere il ruolo di mediatore e conciliare la difficile contraddizione tra gli impegni elettorali e i ricatti dell’Europa. Il disaccordo e la separazione traumatica da Syriza di Yanis Varoufakis, ministro dell’economia tenacemente ostile ai termini della trattativa con la Merkel, hanno disegnato con precisione il cedimento di Tsipras allo strapotere dispotico della troika e la decisione di dimettersi per verificare con un nuovo voto la solidità della leadership. Le urne gli danno ragione in consistente misura, con il 35,5 di “sì”, a dispetto del “tradimento” nei confronti di chi aveva creduto nel suo programma “rivoluzionario” e delle permanenti difficoltà economiche della Grecia. La vittoria non permette la formazione di un governo senza alleanze e Tsipras sarà costretto a tirare dentro il centro destra di Anel. Di positivo, nel successo di Syriza, c’è la sconfitta di Nea Dimokratica, ma preoccupa tutti i democratici, e non solo greci, il risultato in crescita dei neonazisti di Alba Dorata a cui va il 7 percento dei voti. Sconcertante la clamorosa disaffezione dei greci per il voto: appena il 55 percento alle urne. (nella foto Tsipras)
Qua la mano: Francesco e Fidel, storico rendez-vous
Quanto rimane di comunismo nell’isola che per decenni è stata spina nel fianco degli Stati Uniti, configura uno scenario perfetto per il socialismo reale di papa Francesco che non a caso è stato ricevuto dai fratelli Castro con spirito di fratellanza. La Plaza de la Rivolucion, luogo di storici comizi del leader massimo, ha ospitato con il tutto esaurito una folla di mezzo milione di cubani affascinati dal percorso illuminato di Begoglio e in particolare dalla sua pietas per poveri e deboli del mondo che nella terra di Fidel non sono parte secondaria della popolazione. Quale linguaggio, che sintonia, quante concordanze nel lungo a tu per tu di Francesco con l’ex leader che ha lasciato il governo del timone al fratello Raul? Si può immaginare che il colloquio sia stato segnato da sintonia su temi reciprocamente condivisi e per quanti osservano con incredulità il percorso innovatore del Papa, da un convinto e autorevole schierarsi per l’affermazione della giustizia sociale, la pace, l’integrazione tra culture, etnie e religioni diverse, l’attenzione del mondo per il popolo dei diseredati. Cuba, con sentimenti di gratitudine per il ruolo di papa Francesco nello storico avvio di pacificazione con gli Stati Uniti lo chiama a un nuovo intervento, che metta fine concretamente all’embargo americano, causa di povertà e annosi disagi all’isola. Un’opportunità per rispondere all’appello dei cubani è a portata di Bergoglio che a New York sarà ospite attesissimo dell’Onu.
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