JULIEN ASSANGE / IL J’ACCUSE ANTI-USA DELL’AMBASCIATORE BRANDANINI

 

Giornata mondiale, oggi, per la liberazione di Julien Assange, il fondatore di Wikileaks detenuto in isolamento a Londra da tre anni e con la prospettiva sempre più concreta di essere estradato negli Stati Uniti, dove lo aspetta una quasi certa condanna a 175 anni di galera, sulla base di ben 18 capi di imputazione dei quali viene incredibilmente accusato.

L’ultima, remotissima speranza, è affidata alla decisione finale dell’Alta Corte di Londra, alla quale i legali di Assange hanno presentato istanza di ultimo appello contro la autorizzazione all’estradizione presa il 17 giugno scorso dalla ministra inglese degli Interni Priti Patel.

Speranze remotissime, dicevamo, perché l’Alta Corte in prima istanza ha già dato il suo ok all’estradizione.

Perfino la non proprio democratica Cina ha aspramente criticato la decisione della guardasigilli di Londra. Il portavoce del mistero degli Esteri cinese, Wang Webin, l’ha definita “uno specchio dell’ipocrisia del Regno Unito e degli Usa, che si vantano di salvaguardare la libertà di stampa”.

 

Alberto Brandanini. Sopra, Julien Assange prima dell’arresto

Ecco, su tutta la vicenda, cosa ne pensa un diplomatico di lungo corso, Alberto Brandanini, ex console generale a Hong Kong, e già ambasciatore a Pechino e a Teheran.

“Non esistono imperi celesti, dunque nemmeno quello cinese lo è. Tuttavia, prima di chiedere il rispetto della legge morale a casa d’altri, sarebbe bene cominciare da casa propria. E l’Occidente è ben lungi dall’essere celeste, se con ciò intendiamo il Regno del Bene”.

Il relatore delle Nazioni Unite sulla tortura, Nils Melzer, ha dichiarato che ‘con Assange siamo di fronte ad un caso di tortura orchestrato da Stati Uniti, Gran Bretagna, Svezia, Australia ed Ecuador, su cui i governi democratici hanno steso un velo di omertà’. Melzer ha chiesto invano a Londra di rimettere in libertà il giornalista, che ha la sola colpa di aver fatto conoscere al mondo migliaia di documenti riservati, tra cui alcuni file del Pentagono di interesse pubblico relativi a crimini di guerra compiuti dagli americani in Iraq e in Afghanistan”.

Se estradato negli Usa, il fondatore di Wikileaks potrebbe essere condannato, secondo l’Espionage Act, a 175 anni di carcere sulla base delle 18 imputazioni penali, per le quali in un mondo non distopico come il nostro avrebbe ottenuto un premio Nobel”.

L’Occidente vive sotto il manto mistificatorio della grande menzogna. Tra le deformazioni del sistema rientra la pratica sanguinaria di esportare democrazia, liberà e diritti umani a suon di bombe. Nei nostri paesi sia funzionari politici, che grandi poteri mediatici, si piegano a sostenere tale falsa impalcatura per spirito di asservimento, soldi o per motivi di carriera”.

“Il leader dell’alleanza di sinistra ‘Nupes’, Jean-Luc Melenchon, ha proposto che Assange riceva dalla Francia un’onoreficenza per i servizi resi a quel paese e possa quindi essere naturalizzato francese. L’intento di Melenchon di farsi carico del caso Assange esprime coraggio politico e valore morale. Se non rimanesse un proposito ipotetico, segnerebbe una svolta suscettibile di fare la differenza per la liberazione del fondatore di Wikileaks”.

“La Francia è l’unico Paese europeo capace di sottrarsi ai diktat d’oltreoceano per statura internazionale, perché possiede armi nucleari, perché è membro permanente del Consiglio di Sicurezza ONU con diritto di veto e anche perché sul suo territorio non vi sono soldati statunitensi, diversamente dagli altri paesi d’Europa”.

“Le alternative per il giornalista australiano non sono molte: oltre al ricorso contro la decisione di estradarlo, l’altra è rivolgersi agli organismi europei dei diritti. Comunque nel suo caso non siamo più nel campo della giurisprudenza, ma in quello della politica. Le varie Corti di Giustizia a livello europeo obbediscono agli impulsi del potere, non a quelli dell’etica o dei tanto sbandierati, ma ben poco applicati, principi democratici”.

 

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