COSTA CONCORDIA – QUELLA SCOMODA VERITA’ CHE ARRIVA DALL’AMERICA

Sorpresa… ma guarda un po’… Dopo oltre sette anni dal naufragio del secolo, quello del Costa Concordia, in queste ore viene a galla che la polizia di Philadelphia ha sequestrato una nave da crociera, noleggiata dalla compagnia di navigazione italiana MSC, perché trovata letteralmente “imbottita” di cocaina. Circa 20 tonnellate di droga stipate in sette container, per un valore di mercato stimato in circa 1,3 miliardi di dollari.

“Sorpresa” nella sorpresa, fra i sette marittimi arrestati, tre dei quali originari dell’Est Europa, due hanno confessato, dichiarando che l’immissione a bordo dei pacchi di stupefacenti era avvenuta via mare, cioè mentre il gigante crocieristico era in navigazione. Né poteva essere altrimenti, visto che nei porti il carico e scarico delle merci è super controllato. Ad effettuare il trasbordo – hanno aggiunto i rei confessi – erano stati dodici “barchini”, opportunamente dislocati lungo la rotta della nave da crociera che doveva ricevere in pancia la “merce”.

La MSC Gayane

Qualcosa, aggiungiamo noi, deve evidentemente essere andato storto nella fase 2, quella cioè del secondo trasbordo della coca ai destinatari, i quali avrebbero dovuto riceverla con le medesime modalità, sempre mentre la MSC Gayane era in mezzo al mare. Tant’è che la nave è stata sequestrata.

La compagnia di navigazione italiana – riporta il Wall Street Journal – in una comunicazione alla clientela ha detto di stare “collaborando in ogni modo possibile con le autorità”, specificando di non essere “oggetto di indagine”.

NO comment invece, finora, da parte del colosso finanziario JP Morgan, che avrebbe contribuito a finanziare l’acquisto dell’imbarcazione da parte di MSC. «Le due aziende, secondo alcune fonti – si legge su Business Insider – hanno strutturato l’acquisto in modo che la proprietà della nave fosse acquisita mediante l’investimento di capitali dei clienti nell’ambito di una strategia incentrata sui trasporti offerta dalla divisione asset management di JP Morgan».

 

ZITTI O MASSACRO, A SUON DI PROVVISIONALE

Intanto però poco o nulla ha detto, la notizia di questo sequestro da oltre un miliardo di dollari, alla magistratura italiana. La stessa che ha seppellito per la seconda volta le 32 vittime innocenti del Costa Concordia, decretando che ad ucciderle era stato il fantomatico, impensabile “inchino” di un capitano super navigato, come Francesco Schettino, tanto folle, secondo pm e giudici, da eseguire quella azzardata manovra in una notte fredda e buia di gennaio, davanti a un’isola deserta, solo così, per gioco, distruggendo in primis la sua vita, oltre ad una carriera ultraventennale, e beccandosi 16 anni di carcere. Sì. Per gioco.

Ma tant’è, di fronte a questa insana versione, da qualcuno letta come una circonvenzione d’incapace ai danni di milioni di persone, non è rimasto altro che mandarla giù, inghiottirla, così come i litri d’acqua che fecero esplodere i polmoni dei morti quella notte del 13 gennaio 2012 davanti all’isola del Giglio.

Il sequestro di droga eseguito dalla Guardia di Finanza nel porto di Livorno a gennaio di quest’anno

Del resto, a chiunque avesse osato mettere in dubbio quella ricostruzione di comodo – destinata peraltro a rendere possibile ancora per anni e anni traffici come quello scoperto oggi negli Usa – la stessa magistratura ha pensato bene di infliggere dure condanne per presunta diffamazione, riducendo al silenzio i pochi giornalisti italiani che avevano esibito prove di come, quella notte, le cose fossero andate ben diversamente, visto che i trasbordi in mare di stupefacenti fin da allora erano una prassi consolidata per i narcotrafficanti e per i loro complici in giacca e cravatta. Come aveva dimostrato, per fare un solo esempio, un’ inchiesta della DDA di Firenze condotta dal procuratore capo Giuseppe Creazzo. Senza contare il sequestro, avvenuto a gennaio di quest’anno, di quasi 650 chili di cocaina nel porto di Livorno in 23 borsoni nascosti all’interno di un container contenente caffè.

All’indomani della tragedia del Giglio la Voce aveva pubblicato un serie di inchieste in cui venivano documentati elementi e testimonianze, mai smentite, che provavano l’esistenza di tutto un altro film. In particolare un avvocato delle Isole Canarie, indicato con nome, cognome e nazionalità, si era fatto avanti con un periodico locale dichiarando che un anno prima, trovandosi a bordo della Concordia su quella rotta maledetta, aveva assistito a inequivocabili segnali di luce provenienti da barchini e da grotte sulla costa più impervia e disabitata del Giglio, essendo rimasto in cabina per una improvvisa indisposizione mentre tutti gli altri passeggeri partecipavano alla festa di bordo dall’altro lato della nave.

Risultato: quell’avvocato non è mai stato convocato dai magistrati italiani.

E ai giornalisti che ne avevano riportato le testimonianze, insieme ad altre prove, sono state inflitte dure condanne con tanto di provvisionale. Come se ad ammazzare le 32 vittime innocenti fossero stati loro.

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