ILARIA ALPI / UCCISA CON 30 PUGNALATE DALLA NOSTRA “GIUSTIZIA”

30 anni dall’esecuzione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Per l’ennesima volta siamo costretti a contare i tragici anniversari, come ieri altri 30 anni dall’uccisione di don Peppino Diana. E prima ancora i 46 dalla fine di Aldo Moro per mano della CIAcome ancora nessuno vuole ammettere. E presto altre date che più nere non si può, le stragi (sempre di Stato) a Capaci e via D’Amelio in cui sono stati massacrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, decretando già allora la ‘fine’ della giustizia nel nostro Paese.

 

L’AGONIA DELLA NOSTRA “GIUSTIZIA”

Sì, perché proprio con la verità giudiziaria mai venuta fuori in questi trent’anni dal duplice omicidio di Mogadiscio dei due coraggiosi reporter italiani, emerge in modo che più plastico non si può l’impossibilità, nelle aule dei nostri tribunali, di accertare la verità dei fatti, di trovare killer e mandanti per vicende tanto eclatanti: in sostanza oggi ci celebra, ancora una volta, e nel modo più tremendo, il “funerale della nostra giustizia”.

Luciana Riccardi, madre di Ilaria Alpi

La ‘Voce’ ha scritto decine e decine di inchieste sul caso, abbiamo più volte incontrato la madre di Ilaria, Luciana Alpi, disperata perché sapeva che non avrebbe mai visto dar giustizia a sua figlia, così come è stato: morti per dolore, i genitori, che avevano dato anima e corpo per vedere una luce in fondo al tunnel.

E oggi ci ritroviamo con le solite commemorazioni, i rituali stantii, le richieste di giustizia tanto per far vedere. Parlava il mitico Leonardo Sciascia di professionisti dell’antimafia: e aveva profondamente ragione.

Come fa il capo dello Stato, e soprattutto presidente del CSM, Sergio Matterella a ripetere come un disco rotto, ogni anno, “Bisogna fare luce sulla tragica vicenda, occorre trovare killer e mandanti?”: quando la verità dei fatti, con tanto di prove, riscontri e quant’altro è sotto gli occhi di tutti ma nessuno vuole vederla?

Anche i vertici associativi della stampa, dei giornalisti, fanno ogni anno proclami di fuoco ma poi, passata la ricorrenza, tutto torna come prima. Perché?

Stavolta quei vertici hanno chiesto un incontro con il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi“per fornire tutti i tasselli utili, anzi necessari per sostanziare la richiesta di non archiviare la vicenda: ci sono elementi – viene aggiunto – per raggiungere la verità e la giustizia”.

Francesco Lo Voi

Quegli elementi ci sono già tutti da molti anni, e almeno da 5 in modo ‘ufficiale’.

Riepiloghiamo sommariamente – ponendoci degli interrogativi lungo il percorso – la tragica, più che kafkiana vicenda, condita da un perfetto, ‘scientifico’ Depistaggio di Stato (come è stato, per fare un altro clamoroso esempio, con la strage di via D’Amelio).

 

LA STORICA SENTENZA DI PERUGIA

Tutto parte con il proscioglimento, a Perugia, di Hashi Omar Hassan, sbattuto in galera, dopo un processo farsa, per la bellezza di 16 anni. E fu solo grazie ad un’inviata di ‘Chi l’ha visto’, Chiara Cazzaniga, che si aprì il processo di revisione, dal momento che la coraggiosa reporter aveva scovato a Londra l’accusatore di Hassan, il somalo ‘Gelle’, il quale confessò di essere stato costretto a raccontare quella versione taroccata.

A Perugia, quindi, viene scoperta la totale estraneità al duplice delitto del giovane somalo invecchiato in galera: ma dopo il risarcimento da 1 milione di euro e il ritorno in Somalia, la sua auto – guarda caso – salterà per aria solo un anno dopo.

Chiara Cazzaniga

Siamo appena all’inizio: perché dalle carte perugine salta fuori con la massima evidenza quel macroscopico ‘Depistaggio di Stato’, come viene messo nero su bianco nella storica sentenza.

A questo punto le carte vengono trasmesse a Roma per la ovvia riapertura dell’inchiesta, in grado di portare stavolta ad un processo vero, e non taroccato come il precedente, soprattutto con un teste fasullo che neanche verbalizza in aula e subito se la svigna (o meglio, ‘viene fatto svignare’)

Ma ecco il secondo ‘miracolo’ (per chi vuole insabbiare).

Il pm incaricato del nuovo fascicolo, Elisabetta Ceniccola, dopo un sommario esame delle carte sostiene che non vi sono elementi utili per riaprire il caso e, come se niente fosse mai successo a Perugia e nonostante la mole di prove & carte bollenti, incredibilmente chiede l’archiviazione.

Controfirma imperturbabile la richiesta l’allora procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, poco prima di andare in pensione (infatti, dopo pochi mesi si trasferisce in pompa magna a presiedere il Tribunale vaticano)

Giuseppe Pignatone

Ma occorre anche la firma del gip per mandare il tutto definitivamente sotto la naftalina. Cinque anni fa, quindi, Andrea Fanelli deve dirimere la questione e decidere per l’archiviazione oppure respingerla, chiedendo nuove indagini.

Comincia il balletto. Fa una sfilza di richieste alle forze di polizia e si prende 180 giorni di tempo per decidere. Poi un’altra richiesta per altri 180 giorni. Quindi il totale fa un anno.

Le ultime notizie risalgono ad inizio 2021. Niente di fatto.

Da allora sono trascorsi 4 anni di vuoto assoluto.

Eppure la legge prevede dei termini precisi e, a quanto pare, perentori.

Come mai, invece di commemorare ogni anno con le solite litanie, nessuno ha pensato di chieder conto al gip Fanelli, che inizialmente pareva così ben intenzionato, il perché di un simile, totalmente ingiustificato ‘vuoto’ temporale?

Come mai il presidente del CSM nonché capo dello Stato Matterella non alza il telefono e convoca Fanelli? O meglio, per rispettare la via gerarchica, non chiede ragioni di tali ritardi al procuratore capo Lo Voi?

Gli stessi organi dei giornalisti perché, nell’incontro che avranno a breve, invece di portare vagonate di carte, non chiedono semplicemente a Lo Voi il motivo di questo ritardo, visto che Fanelli ha già da anni tutte quelle fondamentali carte, può cioè contare sulla montagna di documenti perugini e anche sui successivi approfondimenti richiesti ed eseguiti in questi anni? E quindi istruire un processo?

Interrogativi che pesano come macigni.

Tutto sarebbe semplice come bere un bicchier d’acqua.

Ma ci vorrebbe una ferrea volontà di scoperchiare quel vaso di Pandora che contiene verità inconfessabili, complicità ad altissimi livelli, il ruolo svolto dai Servizi segreti di casa nostra, dalle stesse forze di polizia (che hanno ad esempio coperto la fuga dorata a Londra del super teste poi trovato da Chiara Gazzaniga).

Insomma, tutti gli ingredienti che hanno dato corpo e sostanza a quel maxi Depistaggio di Stato di cui scrive testualmente la sentenza di Perugia, non una chiromante!

In estrema sintesi: la verità dei fatti è lì, basta leggerla per poter finalmente andare ad un processo vero, non farsa.

Che senso ha accusare i tribunali russi di chiudere gli occhi, quando a casa nostra succede ogni giorno proprio da trent’anni almeno?

Quando per casi di tale gravità, come appunto i gialli Alpi e Borsellino, siamo costretti ad assistere allo scempio della Giustizia?

A calpestare per l’ennesima volta la Memoria di chi è caduto sul campo, semplicemente perché voleva fare il suo lavoro e scoprire verità scomode? Come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sui traffici di armi e veleni super tossici tra Italia e Somalia con i miliardi della cooperazione. Come Borsellino e Falcone impegnati a far luce sui business altrettanto miliardari delle mafie e dei politici di riferimento per l’Alta Velocità e non solo, come veniva messo nero su bianco nel dossier da 890 pagine ‘Mafia e Appalti’.

Quelle verità sarebbero deflagranti anche oggi, forse ancor più oggi: perché tanti protagonisti di quegli sporchi affari sono non solo liberi come fringuelli, ma continuano a macinare affari, fottendosene di una giustizia che ormai è andata in soffitta e non farà neanche il solletico ai responsabili. Proprio come abbiamo dettagliato, in una cover story di qualche giorno fa, per i 4 anni (arieccoci con le ricorrenze) che tragicamente ricorrono dalle file di camion a Bergamo per lo scoppio della pandemia.

Quando gli interessi sono troppo grossi, giganteschi, o viene azionato il ‘Depistaggio di Stato’, oppure il ‘Segreto di Stato’. Lo avete capito una buona volta?

Per la serie, mai disturbare i Manovratori, i Pupari…

Finiamo con due aggiornamenti.

 

MEGLIO DARSI ALLA LETTERATURA

Un anno fa esatto, per la precisione il 23 marzo, a Rieti si è svolto un convegno sul tema del ‘rito abbreviato’. Titolava ‘il Messaggero’: “A Rieti finisce sotto processo il rito abbreviato”. Organizzato dalla locale camera penale, un uditorio pieno di avvocati, relatore principale è il gip del tribunale di Roma Andrea Fanelli (“il suo è stato un ritorno in Sabina dove ha lavorato per 18 anni, chiosa il quotidiano). E il gip “ha evidenziato – continua il Messaggero – il mancato raggiungimento dello scopo deflattivo del numero dei procedimenti che il rito abbreviato si era prefissato di ottenere in termini di risparmi di risorse dello Stato”.

La Procura di Roma

Aggiunse Fanelli: “A Roma giacciono migliaia di fascicoli in attesa di essere definiti ed è una situazione drammatica perché ci sono parti civili che attendono giustizia. Il rito abbreviato è un’anomalia, seppur necessaria, ma le novità introdotte dalla riforma Cartabia non hanno contribuito a migliorare la situazione”.

Se la giustizia delude, c’è sempre il tempo e il modo per ritemprare lo spirito. Soprattutto per chi ha la vena artistica, caso mai letteraria. Ed ecco che il talento forse per troppo tempo nascosto trova, per il gip Fanelli, la sua meritata consacrazione attraverso la meritoria iniziativa intrapresa da ‘LegalCommunity’.

Ecco la novità che fa capolino nel suo sito: “I racconti dell’ultimo bicchiere: vince Andrea Fanelli”, il titolo. Poi il succoso resoconto: “E’ il Gip del Tribunale di Roma, Andrea Fanelli, il trionfatore alla prima edizione del premio letterario ‘I racconti dell’ultimo bicchiere’ ideato da LegalCommunity eInhousecommunity in collaborazione con il giurista d’impresa Umberto Simonelli e AIGI”.

Poi nel merito dell’opera che ha sbaragliato: “Il magistrato ha presentato un racconto, ‘Gli occhi di mio padre’, un pezzo di narrativa estremamente profondo in cui il concetto di pietà si misura con quello della verità”.

Verità e pietà.

Due parole che sono in perfetta aderenza con il caso di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Perché il gip Fanelli non trova il tempo e il mondo di farvi ricorso anche nelle aule di “giustizia”?

 

P.S. I 30 anni sono praticamente passati sotto il quasi totale silenzio mediatico. Forse un bene, perché non è il caso di parlarne o scriverne 1 giorno su 365, ma un pochino più spesso. Eccezion fatta (e scontata) per la Rai dove lavoravano Ilaria e Mirian, si contano sulla punta delle dita di una mano le brevi notizie. Per fare un solo esempio, il sito di ‘Repubblica’ alle ore 10 del 20 marzo non pubblicava neanche un rigo, mentre ad esempio campeggiava con grande evidenza, sotto la voce ‘IL CASO’ l’imperdibile notizia così titolata: “L’ex maggiordomo nel castello di Paraggi porta in causa Piersilvio Berlusconi: ‘Straordinari non pagati durante i lockdown”.

E’ la stampa, bellezze…

 

Come al solito, per ritrovare articoli e inchieste scritti e pubblicati dalla Voce in questi trent’anni sul giallo, basta consultare il nostro archivio, andando alla casella CERCA che si trova in alto a destra della nostra HOME PAGE. A questo punto dovete solo digitare i nomi ILARIA ALPI e MIRAN HROVATIN (ovviamente anche separati) per ritrovare a bizzeffe.

Comunque, a seguire, eccone alcuni tra i più recenti.

ILARIA ALPI / SALTA PER ARIA CHI FORSE SA TUTTO: VOLEVA PARLARE? del 6 luglio 2022;

Poi UCCISI DUE VOLTE / 28 ANNI FA L’OMICIDIO DI ILARIA ALPI E MIRAN HROVATIN del 18 marzo 2022;

Quindi, PAOLO BORSELLINO E ILARIA ALPI / IL DEPISTAGGIO DI STATO CONTINUA del 24 agosto 2021.

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