SOVRANISMO MELONIANO / TRA LINGUA, (SUB) ‘CULTURA’ & ETNIA

Nei musei italiani, fra poco, si dovrà parlare solo in italiano. Soprattutto per quanto riguarda i vertici.

E’ la ‘innovativa’ e ‘illuminata’ decisione presa dal governo Meloni (tra gli ‘ispiratori’, of course, il ministro della Cultura – sic – Gennaro Sangiuliano), più che deciso ormai a varare un bando per assegnare le poltrone direttive e gli incarichi di vertice nei nostri musei contenente una precisa clausola: verrà cioè richiesta una conoscenza perfetta della nostra lingua, una vera e propria padronanza, attestabile mediante l’esibizione di certificati riconosciuti a livello internazionale.

Un modo come un altro per dire, porte chiuse (e sbattute in faccia) ai direttori stranieri, un clamoroso dietro front rispetto a quanto invece deciso anni fa, con una precisa volontà di apertura a grandi personalità in arrivo dall’estero e che tanto bene si sono comportate in questi anni nel rilanciare l’immagine della nostra cultura anche a livello internazionale.

Appena insediatosi alla Cultura, l’ex portaborse della famiglia De Lorenzo(ricordate Sua Sanità Francesco e il padre Ferruccio?), al secolo Genny Sangiuliano, ha subito voluto mappare le maggiori istituzioni culturali di casa nostra, per verificare in concreto quanto stranieri fossero piombati – vere orde di Unni – nel Belpaese. Ed ha letteralmente fatto un salto sulla sedia (anzi sulla poltrona) quando ha scoperto che oltre una decina tra i più noti musei e teatri lirici fossero guidati da direttori stranieri. Una autenitca invasione!

Ora, molti incarichi sono in scadenza. Al Teatro di San Carlo, a Napoli, è stato praticamente fatto fuori, in questi giorni, il francese Stephan Lissner che aveva ridato lustro al Massimo partenopeo: è bastato introdurre una leggina che vietava agli over 70 di occupare l’incarico e, voilà, Lissner è saltato. Al suo posto – nel valzer delle poltrone – dovrebbe sbarcare Carlo Fuortes, che si è appena dimesso, in modo roboante, dalla carica di amministratore delegato della RAI.

Fabio Rampelli, In apertura la premier Meloni con il ministro Sangiuliano

Fra settembre e novembre 2023, per fare solo alcuni esempi, resteranno senza guida gli Uffizi a Firenze, la Pinacoteca di Brera a Milano e il Museo di Capodimonte a Napoli.

A selezionare questi e i prossimi altri successori, sarà una commissione ad hoc di ‘professori’ (e chi li sceglie?), la quale dovrà poi sottoporre i profili individuati al vaglio dello stesso ministro. E a questo spunto scatterà l’innovativo provvedimento governativo: occorre una perfetta padronanza dell’italiano, a prova di bomba. Altrimenti out.

 

La story fa il paio con l’ultima trovata (parliamo di qualche settimana fa) partorita dalla vulcanica mente del vice presidente della Camera Fabio Rampelli, tra i big di Fratelli d’Italia.

Ha infatti firmato – e con lui una ventina di deputati griffati FdI – una proposta di legge per stabilire “una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma che va dai 5.000 ai 100.000 euro”, per chi, nella pubblica amministrazione, si macchierà della gravissima colpa di ‘forestismo’linguistico. Si tratta, in soldoni, di punire con gran rigore e severità (perché non ricorrere anche ad un bel bicchiere di olio di ricino al dì?) chi pervicacemente continuerà ad usare termini stranieri, quando invece può comodamente far ricorso alla nostra amata lingua che è la più bella e ricca (come numero di parole) del mondo. C’è da chiedersi cosa dovrà combinare chi becca la sanzione massima da 100.000 euro: scriverà una legge in aramaico?

Ha concesso il bis, Rampelli, perché nella scorsa legislatura aveva già presentato una proposta di legge (con scarso successo) per “la salvaguardia della lingua italiana” e per l’istituzione di un apposito “Consiglio superiore contro l’abuso di lingue straniere” in Italia, una sorta di CSM in campo cultural-linguistico…

Francesco Lollobrigida

Non contento di tutto ciò, un altro senatore FDI, Roberto Menia, ha presentato un disegno di legge per “costituzionalizzare” l’italiano come lingua ufficiale della Repubblica. Perché – forse non lo sappiamo – in gran segreto c’è chi trama nell’ombra per per un vero e proprio golpe linguistico: sostituire all’italiano il russo, visto che siamo in tempi di guerra…

 

L’ultima chicca, in tema di ‘sovranismo’ linguistico-culturale e non solo, è l’incredibile uscita del ministro dell’Agricoltura nonché cognato della premier Meloni, al secolo Francesco Lollobrigida.

Che nel corso di un convegno su temi green l’ha combinata davvero grossa.

Ecco le sue parole: “Credo sia evidente a tutti che non esiste una razza italiana. Esiste però una cultura, un’etnia italiana, quella che la Treccani definisce raggruppamento linguistico culturale. Dobbiamo difendere la cultura italiana, il ceppo linguistico, il nostro modo di vivere”.

Ha titolato l’Ansa: “Natalità, Lollobrigida rilancia sulla tutela dell’etnia italiana”.

Per cercare di piazzare una pezza a colori sulla disastrosa uscita (per la quale non pochi parlamentari hanno chiesto le sue dimissioni), ha poi aggiunto: “Stiamo parlando di denatalità per tutelare la nostra cultura e la nostra lingua, non la razza. Siamo qui perché il nostro raggruppamento linguistico e culturale possa sopravvivere”. E la Treccani, dove l’ha lasciata?

 

 

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