LE VIE DEI RICICLAGGI / UNA ‘VOCE’ 30 ANNI FA

E’ un gran parlare, all’indomani della ‘cattura’ del superboss latitante da trent’anni, Matteo Messina Denaro, tra le tante altre cose, dei rapporti fra Mafia e Medicina in Sicilia. Lo ha fatto, per citare un solo nome, Nando Dalla Chiesa, il figlio del generale Carlo Alberto.
La ‘Voce’ ne scrisse quasi trent’anni fa, in una cover story del marzo 1995 titolata, in modo significativo, “Mafia, Medici, Massoni”. E non riguardava tanto le amicizie, i legami tra boss e camici bianchi, quanto gli ‘affari’, gli appalti che tanto cominciavano ad ingolosire i boss di Cosa Nostra proprio sul fronte delle forniture sanitarie, ospedaliere: in quell’inchiesta ci focalizzavamo soprattutto sul settore radiologico e radioterapico.

Del resto, anche in Campania, la camorra vincente (quella del dopo Cutolo) ha subito capito che uno dei settori chiave da aggredire – anche per riciclare meglio – era proprio quello degli appalti sanitari. Radiologia e radioterapia of course, ma non solo: nel mirino anche gli appalti per le pulizie, il ‘laundry’, la refezione.   Forniture che, guarda caso, ad aggiudicarsele erano sempre le stesse sigle, con le Asl (allora si chiamavano Usl) che facevano passare di tutto, chiudendo entrambi gli occhi.

La copertina della Voce di marzo 1995

Ecco l’incipit di quell’inchiesta della primavera ’95: “Totò Riina da solo ne controllava tre. Ed una, ancor oggi attiva, il boss Bernardo Provenzano. Si tratta delle società operanti nel settore delle forniture radiologiche e sanitarie: il business del Duemila per una criminalità organizzata alla disperata ricerca di riconversione dopo il crollo degli appalti nell’edilizia. I nuovi cavalieri del lavoro, insomma, vestono sempre più spesso il camice bianco. E tocca ormai quota 4.000 mila miliardi l’anno, lira più lira meno, lo stratosferico giro d’affari che oggi sta facendo tremare le vene dei polsi alla cupola affaristica delle tre M: Mafia, Massoneria, Medicina, in seguito alle inchieste aperte in molte procure d’Italia, con epicentro nelle due capitali mondiali della criminalità organizzata, Napoli e Palermo. Un panorama popolato di medici eccellenti a braccetto con pezzi da novanta di Cosa Nostra e della camorra, tutti gemellati dalla comune affiliazione a logge coperte”.

Così proseguiva il reportage della ‘Voce’: “E’ questo – descrivono gli inquirenti – il domani dell’economia mafiosa, il futuro della perversa connection che dai tempi di Licio Gelli in poi non ha smesso di condizionare i destini politici ed economici del Paese, spingendosi fino al controllo dei mercati europei. ‘Le impennate del marco tedesco – spiegano ad esempio in ambienti della DIA – sono collegate ai massicci investimenti di capitali che la criminalità organizzata italiana ha fatto negli ultimi tempi in Germania”.

Ricordate la strage di Duisburg, tanto per riferirci alla Germania?

 

Da allora, da quell’inchiesta della ‘Voce’ è passato oltre un quarto di secolo. Eppure poco, pochissimo pare mutato.

Nel frattempo abbiamo scoperto che occorre una media di trent’anni almeno per catturare un boss di peso (non ne parliamo per Provenzano).

Che i latitanti stanno regolarmente a casa loro. Escono, entrano, vanno al bar o al supermercato. Almeno non mangiano più solo cicoria, ma caviale e champagne. Fanno ormai pochi pizzini, non sono più di moda.

Con il caso Messina Denaro va dunque in pensione la vecchia mafia, lui è l’ultimo dei capi.

L’arresto di Matteo Messina Denaro

Ma la vera lotta alla mafia comincia solo adesso, dopo aver buttato al vento un mucchio d’anni di possibile ed efficace azione di contrasto.

Ricordate le parole profetiche parole di Giovanni Falcone, “seguire sempre la pista dei soldi per trovare i mafiosi”? Da allora quell’insegnamento è caduto nel vuoto.

Sequestrati 300 milioni di euro a Messina Denaro, è stato il primo botto. Per poi subito veder lievitare la cifra: sono 4 – esultano i Tiggì – i miliardi di euro trovati nei covi”. Che cuccagna, quanto possono costare, oggi, 4 Mbappè oppure 4 Milan (l’ultima cifra di vendita ad 1 miliardo di euro).

Possibile non accorgersi che – da anni – siamo ormai in tutta un’altra dimensione? Che la mafia reinveste e ricicla a tutto spiano in mezzo mondo e nei più diversi e redditizi settori? Che con ogni probabilità ‘le MAFIE’ (ormai è meglio parlare al plurale, valicando i confini) sono le regine della Borsa, o meglio delle Borse?

Facciamo un esempio concreto. Una volta esistevano i prestanome, le classiche teste di legno cui ‘affidare’ i patrimoni sporchi. Poi è venuto il tempo delle ‘fiduciarie’, templi finanziari quasi inaccessibili, poi bastava l’ordine di un magistrato e saltava fuori il reale intestatario dei beni.

Oggi dominano, per fare un solo esempio, i grandi fondi speculativi d’investimento, i colossi come BlackRock e Vanguard, per citare solo i più noti. Hanno nel corso degli anni acquisito pacchetti azionari ovunque: per fare ancora un esempio nell’esempio, sono i principali soci (con quote dell’8-9 per cento) delle star di Big Pharma, come ‘Pfizer’ e ‘Moderna’. Così come sono presenti in grandi banche e assicurazioni, nelle più grandi industrie di tutti i settori, a livello mondiale.

Ebbene: pensate che le ‘Mafie’ non siano entrate a vele discrete ma spiegate in questi nuovi santuari nell’economia globalizzata?

Oggi basta un clic e sposti miliardi in tempo reale da un investimento all’altro, da una Borsa all’altra. E’ ormai diventata una Mafia in doppiopetto, colletti superbianchi e inamidati, retta da fili invisibili.

Per scoprire i registi, i burattinai, i direttori d’orchestra, occorrono strumenti iper sofisticati (sotto il profilo informatico, tecnologico), ma soprattutto una reale volontà politica – a questo punto a livello internazionale – capace di lavorare in sinergia (come si suol dire) con le magistrature e le Autorità di controllo.

Ma quali speranze reali abbiamo se, per dirne anche stavolta solo una, quella che fino a qualche tempo fa veniva ritenuto uno tra i più rigidi enti di controllo al mondo, la statunitense ‘Food and Drug Administration’, oggi è annegata in un mare di corruzioni, collusioni, conflitti d’interesse da brividi?

Torneremo presto – a bocce ancora più ferme dopo il caso Messina Denaro – sui percorsi finanziari ed economici intrapresi dalle nuove Mafie. E sui tanti buchi neri degli ultimi anni di stragi, sotto la supervisione della Politica deviata e collusa.

 

Ma vogliamo chiudere con un twett scritto dal coraggioso avvocato Fabio Trizzino, il legale della famiglia Borsellino, a botta calda dopo la resa della primula rossa. “Nessuno che chiede dei trent’anni persi nella ricostruzione della verità, ad esempio, su via D’Amelio a causa delle meravigliose indagini che portarono ai processi Borsellino Uno e bis. Miseramente abbattuti da una revisione dopo i processi conseguenti alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza. Chi ha creduto a Scarantino non può impartire nessuna lezione a questo Paese. Ma su questo si sorvola da anni”.


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