ARTICO / SI APRE UN ALTRO FRONTE TRA STATI UNITI, RUSSIA E CINA 

Pochi lo sanno, ma perfino l’Artico sta diventando un fronte di guerra ‘fredda’, anzi ghiacciata, tra gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. Come se non bastasse quanto già bolle in pentola.

La Casa Bianca, infatti, ha appena pubblicato un documento in cui viene delineata la sua “strategia decennale per l’Artico”.

Ecco cosa sottolineano alcuni esperti: “Il documento enfatizza come mai era accaduto in passato la deterrenza dell’aumento dell’attività russa e cinese nella regione e identifica quattro pilastri della politica statunitense, tra cui una maggiore presenza militare americana, maggiori esercitazioni con i paesi partner per ‘scoraggiare l’aggressione nell’Artico, in particolare dalla Russia’, la modernizzazione della difesa aerea del NORAD e l’acquisto di ulteriori rompighiaccio a disposizione della Guardia Costiera, nonché una migliore mappatura e tracciatura delle acque e del clima nella regione”.

Così viene scritto nel documento Usa: “Gli Stati Uniti miglioreranno ed eserciteranno le capacità militari e civili nell’Artico, come richiesto per scoraggiare le minacce e anticipare, prevenire e rispondere agli incidenti sia naturali che causati dall’uomo”.

E viene aggiunto: “Affonderemo la cooperazione con gli alleati e i partner dell’Artico a sostegno di questi obiettivi per gestire i rischi di un’ulteriore militarizzazione o di conflitti non intenzionali, compresi quelli risultanti dalle tensioni geopolitiche con la Russia”.

Mosca ha riaperto e modernizzato decine e decine di basi militari dell’era sovietica nella zona da quando gli Usa hanno reso nota, nel 2013, la loro ultima strategia decennale per l’Artico. La nuova strategia rileva che “la Russia sta dispiegando nuovi sistemi missilistici di difesa costiera e aerea e sottomarini potenziati, aumentando le esercitazioni militari”.

Passiamo alla Cina, la quale anche di recente si è dichiarata uno Stato ‘quasi artico’ e ha annunciato l’intenzione di costruire una ‘Via della seta polare’ nella regione. Dal canto loro, gli ‘strateghi’ della Casa Bianca rilevano non a caso che “la Cina cerca di aumentare la sua influenza nell’Artico attraverso una serie più ampia di attività economiche, diplomatiche, scientifiche e militari”.

Sottolineano al Dipartimento di Stato Usa: “Nell’ultimo decennio la Repubblica Popolare Cinese ha raddoppiato i propri investimenti, concentrandosi sull’estrazione di minerali critici, ha ampliato le sue attività scientifiche e ha utilizzato questi impegni per condurre ricerche a duplice uso con applicazioni di intelligence o militari nell’Artico”.

 

Commenta Gilberto Trombetta, giornalista ed esperto di geopolitica: “Il sabotaggio da parte degli Usa del Nord Stream 1 e 2 non è solo un atto terroristico di guerra (nei confronti dei paesi europei), ma il tentativo di rendere permanente l’allontanamento dell’Europa della Russia. Quella di colpire le infrastrutture che legano paesi diversi è un’azione di profondo significato geostrategico”.

Così continua la minuziosa analisi di Trombetta: “Stupisce in quest’ottica come nelle analisi geopolitiche ed economiche di quello che sta accadendo (scontro tra Usa e Russia) manchi puntualmente un grande protagonista: l’Artico. L’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO, per esempio, andrebbe letto anche in quest’ottica. Delle questioni legate all’Artico se ne occupa l’omonimo Consiglio, un organo internazionale nato nel 1996 che conta 8 membri fissi: Russia, Canada (che rappresenta i Territori del Nord-Ovest, il Nunavut e lo Yukon), Danimarca (che rappresenta Groenlandia e isole Faer Oer), Islanda, Norvegia, Stati Uniti (che rappresentano l’Alaska) e, appunto, Finlandia e Svezia. Il Consiglio dell’Artico conta inoltre 7 membri osservatori permanenti (Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Italia, Singapore e Svizzera) più altri osservatori non permanenti (Francia, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Spagna e Unione Europea)”.

“Le ragioni che hanno portato nel 2013 l’Italia a essere nominata tra gli osservatori permanenti è la presenza nelle isole Svalbard della Base artica ‘Dirigibile Italia’ e della ‘Amundsen Climate Change Tower’. Il Consiglio Artico è un organo che ha assunto sempre più importanza anche alla luce dello scioglimento dei ghiacci in corso che sta aprendo nuove rotte commerciali e nuove possibilità di sfruttamento dell’enorme quantità di risorse presenti, come petrolio, gas e minerali”.

“Nella corsa all’Artico, gli Usa partono nettamente in svantaggio rispetto alla Russia. Circa la metà delle terre che si affacciano sull’Artico sono infatti russe. La Russia ha investito molto nella militarizzazione dell’area, anche perché il 90 per cento del gas e il 60 per cento del greggio lo estrae dai suoi territori nella sfera artica. La Russia ha inoltre promesso da tempo alla Cina la nuova rotta di collegamento oriente-occidente che salterebbe a piè pari i molteplici problemi geopolitici degli stretti (Malacca) e degli oceani (questione indo-pacifica)”.

Così prosegue la disamina di Gilberto Trombetta. “L’Artico ha vasti giacimenti di risorse minerarie economicamente preziose. Depositi significativi di fosfato, bauxite, diamanti, minerale di ferro e oro si trovano nella regione artica, dove esistono anche depositi di argento, rame e zinco. Non solo. E’ ricco anche di metalli delle terre rare (neodimio, praseodimio, terbio, disprosio) che sono fondamentali per i veicoli elettrici e le energie rinnovabili e sono alla base della tecnologia delle batterie e delle turbine eoliche. Le risorse dell’Artico includono il 13 per cento del petrolio da scoprire nel mondo (90 miliardi di barili) e addirittura il 30 per cento del gas da scoprire (50 trilioni di metri cubi di gas naturale e 44 miliardi di barili di GNL). Si stima che l’84 per cento di queste risorse di trovi nell’Oceano Artico. Ci sono 687 milioni di tonnellate di riserve accertate di minerali di apatite e 10 giacimenti di minerale di ferro con riserve totali di 3,2 miliardi di tonnellate. Si ritiene che le risorse di titanio ammontino a più di 10 miliardi di tonnellate”.

E così conclude: “L’Italia anche in questo caso avrebbe tutte le carte in regola per assumere un ruolo di mediatore internazionale su una questione, quella artica, che diventerà nel tempo sempre più centrale. Servirebbe, dettaglio da non poco, una classe politica all’altezza del compito”.

Che purtroppo non si vede all’orizzonte.

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