ENI / UN LIFTING A BASE DI ‘GREENWASHING’

ENI nella bufera. Secondo voci che arrivano dal palazzo di giustizia milanese, si scatenerà un vero putiferio quando verranno rese note le motivazioni della sentenza ‘assolutoria’ sul fronte delle tangenti ENI in Nigeria: perché nella story fa capolino l’ormai ingombrante figura dell’avvocato siciliano Piero Amara, il quale ha rilasciato le verbalizzazioni choc sulla ‘Loggia Ungheria’ che stanno terremotando sia il tribunale meneghino che il CSM alle sue fondamenta, la sua credibilità è stata già devastata caso Palamara.

Ma c’è anche una vicenda ‘green’ che turba i sonni dei vertici del colosso energetico di casa nostra. Viene dettagliata in un reportage di ‘Nigrizia’, dove se ne raccontano di tutti i colori.

Partiamo dal titolo, “ENI: come ripulirsi, fintamente, l’immagine inquinante”. Quindi il sommario al vetriolo: “La multinazionale cerca di compensare le emissioni causate dalla sua attività estrattiva acquistando crediti di carbonio da programmi di conservazione delle foreste (Redd+). L’unico progetto attivo è in Zambia. Un nuovo rapporto di Greenpeace e ReCommon svela le manovre del cane a sei zampe, bravo a buttarci fumo negli occhi”.

Scorriamo allora in rapida carrellata i passaggi salienti dell’inchiesta.

Ecco l’incipit. “Gli investimenti di ENI in progetti di conservazione delle foreste? Solo un’operazione di greenwashing, in base a quanto spiegano Greenpeaace eReCommon nella loro ultima pubblicazione, ‘Cosa si nasconde dietro l’interesse di Eni per le foreste’. Il rapporto analizza come la più importante multinazionale italiana faccia uso dello strumento Redd+ (Reducing emissions from deforestation and forest degradation in developing countries) così da compensare le copiose emissioni causate dalle sue attività estrattive, attraverso l’acquisto di crediti di carbonio da progetti di conservazione delle foreste. Il funzionamento dei crediti di carbonio è simile a quello dei titoli azionari, ma invece di quote societarie essi rappresentano il diritto di emettereCO2”.

Continua il reportage: “I progetti di conservazione delle foreste sono uno dei temi su cui ENI gioca ormai da anni per rivendicare la sua presunta sostenibilità ambientale. Durante l’assemblea degli azionisti 2019, l’ultima a porte aperte, l’amministratore delegato Claudio Descalzi rivendicò addirittura l’intenzione dell’azienda di piantare alberi su una superficie di 8,1 milioni di ettari in tutto il pianeta. Salvo poi correggere il tiro parlando di ‘tutela’, ovvero: niente alberi ‘nuovi’, ma protezione di quelli esistenti, Di fatto, smentendo il contenuto di un’intervista rilasciata al Financial Times due mesi prima”.

ENI ha sbandierato l’annuncio di accordi per progetti Redd+ con vari paesi africani, come Ghana, Mozambico, Angola, Repubblica democratica del Congo, Zambia. Ma solo in quest’ultimo è partito qualcosa, con il ‘Luangwa Community Forest Project’ (LCFP), un progetto elaborato sette anni fa dalla ‘BioCarbon Partners’.

Sottolinea Alessandro Runci di ReCommon: “Acquistando crediti sul mercato del carbonio o investendo direttamente in presunti progetti di conservazione, aziende come Eni possono presentarsi come protettrici della biodiversità, nonostante le loro attività estrattive continuino a causare la distruzione degli ecosistemi su cui ricadono le loro concessioni, come per esempio nel Delta del Niger o in Mozambico”.

Aggiunge Martina Borghi di Greenpeace Italia: “Ancora una volta Eni cerca di gettarci fumo negli occhi, provando a farci credere di aver intrapreso una seria svolta green. Ma la verità è un’altra: investirà solo lo 0,8 per cento del suo profitto lordo in progetti che non vanno alla radice del problema della deforestazione, riducendo le emissioni solo sulla carta e per di più con cifre che appaiono gonfiate. Il tutto mentre, nei prossimi quattro anni, prevede di aumentare le estrazioni di gas e petrolio. Insomma, siamo di fronte all’ennesimo atto di greenwashing da parte dell’azienda”.

Secondo Greenpeace, l’unico atto concreto da compiere, da parte di ENI, per tutelare realmente l’ambiente, consisterebbe nell’abbandono totale dei combustibili fossili. Difficile che, con queste strategie societarie, ciò avvenga a breve. Specialmente se si potrà ‘vantare’ di aver salvato (sic) l’Africa dalla deforestazione.

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