La pandemia mondiale non accenna ad arrestarsi, anzi la mutazione “inglese” ha creato nuovi allarmismi, sebbene non sia certo la prima mutazione del coronavirus a cui assistiamo, e ha aumentato le pressioni sulla disponibilità del vaccino per infezione da SARS-CoV-2.
Come è noto, il virus infetta le persone utilizzando una proteina di superficie, denominata Spike, che agisce come una chiave permettendo l’accesso dei virus nelle cellule, in cui poi si possono riprodurre. Quindi, tutti i vaccini attualmente in studio, sono stati messi a punto per indurre una risposta che blocca la proteina Spike e impedisce l’infezione delle cellule. Lo scenario che le agenzie regolatorie dei vari Paesi stanno osservando comprende 4 tipi di vaccini basati su: virus inattivato (per esempio, uno dei vaccini cinesi), proteina spike del virus per generare, in combinazione con adiuvanti, la risposta immunitaria (tra questi ci sono quello di AstraZeneca e quello Usa della Johnson&Johnson), vaccini a RNA o DNA capaci di far generare nell’organismo la sola proteina Spike e indurre la risposta immunitaria (comprende i vaccini di Moderna e Pfizer) e, un ultimo tipo, che utilizza una sequenza di RNA del virus che consente di sintetizzare proteine o loro frammenti che, iniettate nell’organismo con altre sostanze, inducono la risposta immunitaria (è il vaccino USA della Novovax). Si aggiungono, non in alternativa al vaccino, ma per chi ha già contratto la malattia, gli anticorpi monoclonali, si tratta, per capirci, della stessa “medicina” che ha utilizzato anche il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, dove si estraggono gli anticorpi dal plasma di persone infette: un esempio di come lo studio con modelli human-based sia fondamentale e utile.
Il 27 dicembre è stata la data per il via ufficiale alla vaccinazione con 9.750 dosi di vaccino Pfizer-BioNTech. Del vaccino protagonista di questa prima fase italiana ed europea sono previste 27 milioni di dosi, ma l’EMA – European Medicines Agency – sta accelerando le verificazioni anche per il vaccino dell’americana Moderna, il cui ok è previsto per il 6 gennaio, con un accordo di 10,8 milioni di dosi.
Ma come si ottiene un vaccino? La ricerca ha inizio con la valutazione in vitro delle componenti dell’agente che andrà a costituire la parte attiva del vaccino, una volta definito questo aspetto ha inizio la fase preclinica in cui viene testata la risposta immunitaria e/o i meccanismi avversi su animali (qui i test comprendono potenzialmente ogni specie, ad esempio nel progetto per il vaccino a firma INMI “L.Spallanzani” e ReiThera Srl sono stati usati ratti, furetti, conigli, criceti siriani e primati1). Superato questo step, parte la sperimentazione clinica sull’uomo, che normalmente inizia dopo circa 5-7 anni, arrivando a un sistema che, nel complesso, impiega 10 anni per vedere la distribuzione su larga scala. Tempi lunghissimi che non rispondono alle esigenze della pandemia attuale e che si basano su un iter datato e un approccio scientifico del secolo scorso. Infatti, viste le esigenze mondiali, sono stati bypassati alcuni dei test sugli animali per passare rapidamente a quelli sull’uomo, inoltre non bisogna dimenticare come i modelli animali siano stati pericolosi e fuorvianti, come nel noto caso del vaccino anti-polio il cui merito viene ampiamente attribuito alla sperimentazione animale, mentre esperimenti fatti sulle scimmie ritardarono, in realtà, l’applicazione del vaccino per più di 30 anni. A dimostrazione della “debolezza” scientifica del modello animale, vi sono numerosissime pubblicazioni, ma ciò diviene lampante alla luce del fatto che tutto ciò che viene testato nelle cavie, viene poi ri-testato sull’uomo perché è l’unico passaggio che lo rende sicuro per la nostra specie, almeno in teoria (visto che più del 50% dei farmaci viene ritirato dopo il commercio per gravi effetti non precedente diagnosticati 2,3,4,5). Bisogna, poi, specificare che tali composti sono targetizzati su un individuo adulto, escludendo categorie fondamentali come bambini e donne in gravidanza.
Infatti, chiedere di potenziare i modelli human-based non è essere contro la ricerca o contro il vaccino, ma al contrario, pretendere una scienza nuova che rispetti il millennio che stiamo vivendo e le esigenze sanitarie attuali e future. Tutti ricorderanno, a tal proposito, quanto accaduto lo scorso mese di maggio nel laboratorio di virologia della clinica di malattie infettive di Perugia, dove il gruppo di lavoro riuscì ad isolare il virus della SARS-CoV2 da campioni biologici (tamponi rino-faringei) di pazienti malati. Un risultato straordinario, che ha consentito non solo di sequenziare il ceppo virale circolato in Umbria nei mesi precedenti, ma anche di poter eseguire test di titolazione degli anticorpi neutralizzanti nel plasma di pazienti guariti. Quello stesso plasma che è stato poi utilizzato per il trattamento di altri malati. O, ancora, l’importanza modelli tridimensionali di coltura di cellule staminali alveolari umane nella risposta alle infezioni a SARS-CoV-2 o delle tecnologie “organ on a chip”, metodi rilevanti per l’uomo, che forniscono un modello più realistico per testare nuove terapie e che si stanno rivelando fondamentali nella lotta al COVID-19, come nel caso chip che ricrea il microambiente nei polmoni umani, mostrando tensioni meccaniche e flusso di fluido; i chip polmonari vengono infettati con vari ceppi di SARS-CoV-2 per esplorare la suscettibilità alle infezioni ed esaminare le risposte immunitarie da campioni di plasma sanguigno umano con anticorpi neutralizzanti. Infine, i modelli computerizzati complessi vengono utilizzati per analizzare la presunta efficacia dei farmaci riproposti contro COVID-19 e per valutare i candidati vaccini.
I diritti delle persone verranno realmente rispettati quando tutti avremo accesso alle cure mediche, perché nella corsa contro il COVID-19 ci sono due velocità: quella dei Paesi ricchi, che hanno già acquistato o sostenuto dosi di vaccino sufficienti per immunizzare più volte le loro popolazioni; e quella dei poveri: più tardi. Superare i test su animali, non solo ci farebbe dormire sonni più tranquilli, ma darebbe alle persone la vera libertà di scegliere che al momento è negata. Inutile quindi rispondere a provocatorie frasi “se sei animalista non dovresti vaccinarti”, il punto, come già detto, è un altro. Oltre al fatto che questo orrore, se fossimo tutti a favore della tutela degli animali, nemmeno sarebbe esistito. La pandemia che viviamo, e quelle che verranno, sono frutto dello sfruttamento incondizionato dell’ambiente e delle specie che ci vivono, della totale mancanza di limiti nella caccia e nella pesca, nella speculazione di un territorio, nella distruzione di un habitat, problemi che non riguardano Paesi lontani, ma sono frutto di una mentalità miope che vuole tutto senza guardare alle conseguenze. Come non restare increduli davanti a ciò che vediamo, basti pensare che nonostante si parli di wet market da un anno e tutto il mondo abbia evidenziato l’importanza della tutela ambientale, poche settimane fa è stata scoperta al mercato di Bruxelles la vendita di carne di specie protette africane.
Tutti noi vogliamo vedere la fine della terribile Pandemia che viviamo, finalmente poterci riabbracciare, sorridere e stringere la mano a una persona gentile, ma dobbiamo capire che non basta un vaccino per risolvere il problema, ci vuole l’impegno politico, scientifico e di ogni singolo cittadino verso il cambiamento che deve cancellare l’approccio antropocentrico che ha portato agli allevamenti intensivi, alla deforestazione, alla perdita della biodiversità con un incremento del consumo di risorse naturali del 190% in soli 50 anni, all’obesità dilagante basata sull’abuso delle proteine animali e dei prodotti industriali, a un’economia fondata sul petrolio, allo sfruttamento degli animali oltre ogni limite, animali che nessuno vede più se non per un fugace attimo in un camion in autostrada per poi abbassare lo sguardo.
Il nostro pianeta è su una via senza ritorno, non sono i farmaci che potranno risolvere il problema, ma solo l’impegno costante e di tutti verso il cambiamento e la consapevolezza che le nostre scelte hanno un peso ed è nostro dovere garantire un futuro vivibile a tutti.
Michela Kuan
biologa, responsabile LAV area Ricerca senza animali www.lav.it
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