BENETTON / TUTTI GLI SFACELI TARGATI AUTOSTRADE PER L’ITALIA

Fronte bollente delle concessioni di Atlantia, gioiello di casa Benetton. Le voci sul possibile ingresso della Cassa Depositi e Prestiti fanno gonfiare il titolo di Autostrade in Borsa. La stessa, identica sceneggiata di un anno e mezzo fa, a pochi giorni dalla tragedia del ponte Morandi.

La guardia di finanza sequestra carte & documenti bollenti – soprattutto sulla (non) sicurezza e sui rischi crollo – nelle sedi di Autostrade, Spea Engineering (incaricata – sic – dei monitoraggi) e di Pavimental, la sigla incaricata di scegliere le imprese che lavorano negli appalti e nei subappalti, spesso a rischio per le infiltrazioni mafiose.

 

ENTRANO I MILIARDI DI CASSA DEPOSITI E PRESTITI?

Di tutto e di più in un pentolone ribollente, che nelle settimane scorse si è popolato di svariati ingredienti.

Alcune vittime del Ponte Morandi. In apertura Luciano Benetton

Come le accuse di alcuni funzionari e addirittura top manager che hanno documentato il possibile rischio crollo del Morandi già 5 anni fa; quel giglio candido di Luciano Benetton che scarica tutte le colpe sui suoi dipendenti ‘infedeli’ e non sopporta l’attacco nei confronti della sua immacolata dinasty; la perizia tecnica affidata dalla Procura di Genova che slitterà di tre mesi, pronta per metà marzo 2020 a meno di ulteriori proroghe; il ricorso al Tar da parte di Atlantia per contestare l’estromissione di Autostrade dalla ricostruzione del ponte crollato (ci sarebbe mancato altro) e la decisione che ora passa addirittura alla Corte Costituzionale; i falsi report sui sensori e sui cassoni del Polcevera; la sequela di inchieste sui viadotti gestiti da Autostrade (ma sul fronte dell’altra ricca dinasty Gavio perchè poco si muove?) in mezza Italia.

Una via crucis di orrori, responsabilità, omissioni, errori, sottovalutazioni, stime sbagliate, controlli mai effettuati. Da quinto mondo.

E ancora si parla del rinnovo delle stratosferiche concessioni! Sì, perché si tratta di un piatto ghiottissimo, la vera cassaforte di Atlantia, la metà della sua ricchezza, la bellezza di quasi 4 miliardi di euro sul fronte dei ricavi, capaci di generare circa 2 miliardi e mezzo di utili.

Ma cosa salta fuori dal cilindro ai primi di dicembre? Per salvare capra e cavoli, ecco far capolino l’ingresso nell’azionariato di Autostrade della Cassa Depositi e Prestiti, il grande neo Elemosiniere di Stato capace di inondare i forzieri dei colossi di ulteriori, freschi danari pubblici, quelli che provengono dalle tasche dei cittadini e soprattutto dei pensionati come risparmi postali.

Per la serie: non solo Autostrade può farla franca (anche scaricando i suoi manager), ma può ricevere un regalo di Stato stratosferico, arcimilionario, quasi un premio per le sue colossali responsabilità morali, penali, civili, amministrative e d’ogni sorta. Ai confini della realtà.

Adesso il Tesoro, azionista principe di Cassa Depositi e Prestiti, fa sapere che tutta la storia è inventata di sana pianta dai media, che CDP non interverrà in alcun modo nell’azionariato di Autostrade. E, quindi, la revoca o meno delle ricche concessioni non dipenderà dai rapporti tra la perla di Atlantia e la nuova Iri de noantri.

 

STESSA SCENEGGIATA DOPO LA TRAGEDIA DEL MORANDI

La stessa sceneggiata, pari pari, era stata recitata, dagli stessi protagonisti, esattamente un anno e mezzo fa, appena qualche giorno dopo la tragedia del ponte Morandi, a cadaveri (43) ancora caldi.

22 agosto 2018, ecco cosa scrive in una dettagliata inchiesta il Sole 24 Ore. “Nessuno ne parla apertamente, ma tra le banche d’affari di Milano gira un dossier riservato, per capire se e quanto l’impero delle concessioni dei Benetton può resistere all’attacco nucleare del governo Conte. In silenzio e lontano dalle urla della politica, si lavora all’ipotesi di una ‘Atlantia Minor’, orfana in tutto o in parte del ricco tesoro delle concessioni autostradali.

E’ una sorta di ‘Piano B’: scenario estremo e altamente improbabile, ma neppure impossibile, vista la determinazione dell’esecutivo gialloverde. Dove c’è chi vedrebbe di buon occhio anche il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti”.

Oggi torna quello scenario, e anche peggiorato. Perché il possibile ingresso di CDP viene visto come propedeutico per la possibilità per Autostrade di continuare con le concessioni, non dovendo subire alcuna revoca, dal momento che la massiccia presenza nel suo azionariato della generosa (con le ricche imprese) Cassa rappresenterebbe una sorta di garanzia per lo Stato di maggiore trasparenza!

Una autentica follia che i Geni di casa nostra stanno prendendo in seria considerazione.

Benetton & C. non rinunceranno certo alla gallina dalle uova d’oro, promettendo battaglia a colpi di carta bollata. Tanto per avere maggiori chance per un compromesso del tutto a loro vantaggio, con uno Stato pronto a calpestare la memoria delle vittime innocenti del ponte Morandi.

E intanto coccolano, i Benetton, gli altri gioielli di casa: dalla gestione degli aeroporti (Fiumicino e Ciampino in Italia, Nizza in Francia per 1 miliardo di ricavi annui) a quello delle autostrade estere (Brasile, Cile e Polonia); da Eurolink che gestisce il ponte sulla Manica al nostro Telepass. Fino ad un’altra gallina dalle uova d’oro sempre nel settore autostradale, la già citata Pavimental, fresca d’ispezione da parte delle Fiamme Gialle.

 

IL GIALLO PAVIMENTAL

E con la Pavimental story si possono leggere, come attraverso una cartina di tornasole, le ultime vergogne targate Autostrade per l’Italia e mamma Atlantia.

Così scriveva la Voce in un’inchiesta del 25 agosto 2018, a dieci giorni dalla tragedia, titolata “Nei misteri di Pavimental”.

Ecco l’incipit: “Nella giungla societaria intorno al colosso di casa Benetton Atlantia e della sua controllata di lusso Autostrade per l’Italia, molti si sono persi per strada un anello strategico, ossia la sigla che in qualche modo spartisce e assegna la più grande fetta di appalti e subappalti in tutta la penisola: Pavimental. Il suo nome fa capolino nella tragedia del ponte Morandi e in particolare riguarda la commessa per la sistemazione degli strategici ‘stralli’, in questo caso del pilone 9, crollato”.

Eccoci poi al giallo del ponte 167 lungo la A15, collassato il 9 marzo 2017, provocando due morti (Emidio Diomede e la moglie Antonella Viviani) e il ferimento di tre operai. Per quest’altra tragedia il pm del tribunale di Ancona, Irene Bilotta, ha chiesto il rinvio a giudizio a carico di 18 fra tecnici e dirigenti, e di 4 società (Atlantia, Autostrade, Pavimental e Spea Engineering). Proprio in questi giorni si deve pronunciare il gup, Francesca De Palma. Pesanti i capi di imputazione: omicidio colposo, omicidio stradale, crollo colposo e violazione delle norme sulla sicurezza nel lavoro.

Secondo il perito tecnico d’ufficio, Gabriele Annoli, il ponte 167 sarebbe crollato – anche stavolta, guarda tragicamente il caso – per “una sottovalutazione dei rischi, sia in fase progettuale che esecutiva dei lavori, in quanto non sarebbe stato previsto che durante la manovra di innalzamento il cavalcavia potesse ruotare, distanziandosi dai punti fissi dove invece si sarebbe dovuto appoggiare”.

Ma ricostruiamo per sommi capi come si arrivò a quell’affidamento dei lavori e chi si assicurò quell’appalto. A quanto pare Autostrade assegna direttamente la commessa al gruppo Matarrese. Ma ben presto la società pugliese lascia perdere e a questo punto è Pavimental a prendere in mano la situazione, affidando i lavori alla romana Delembech, che sul sito internet vanto un ottimo pedigree.

Solo fumo negli occhi. Ecco l’impietoso ritratto di Delembech – la sigla cara a Pavimental – tratteggiato da Camilla Fabbri, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta nata subito dopo la tragedia nelle Marche. “La Delembech è una società senza esperienza specifica”, ha presentato un “progetto superficiale”, “totalmente generico”, “opaco”. Non basta, perché ci sono pesanti “anomalie per i subaffidamenti”, “insicurezza per il lavoro”, c’è “mancanza di programmi per la sicurezza”. Un altro mix da brividi.

 

ARIECCO POMICINO, BOCCHINO & LA BAND

Ma a chi fa capo Delembech?

Paolo Cirino Pomicino

Si tratta di una collegata ad “Impresa spa”, per anni regina a Roma, Napoli ed al Sud di appalti infrastrutturali, e riconducibile al faccendiere ovunque Vincenzo Maria Greco, l’uomo ombra di ‘O Ministro Paolo Cirino Pomicino (da nove anni presidente di Tangenziale Napoli spa per preciso volere, all’epoca, di Luciano Benetton) a partire dal fortunato dopo terremoto ’80 e lungo tutta la scia miliardaria di appalti, dal raddoppio della Napoli-Roma fino all’Alta Velocità.

Italo Bocchino

Tra i big nello scenario del tandem Impresa-Delembech fa anche capolino la figura di Italo Bocchino, l’ex braccio destro di Gianfranco Fini e poi il portavoce (pagato a botte da 10 mila euro al mese) di Alfredo Romeo, il protagonista nell’affare Consip e da un paio di mesi editore del rinato Riformista diretto da Piero Sansonetti.

Ma chiudiamo il cerchio tornando a Pavimental. Il cui nome ribalzò cinque anni fa tra le cronache partenopee per una disgrazia sfiorata ad un casello autostradale in provincia di Napoli. Il casello crollò. Scrisse la Voce in quella occasione. “La dimostrazione che i viadotti passati sotto le cure di Pavimental e delle sue società in subappalto nascono già ‘sgarrupati’”.

Cioè scassati. Come volevasi dimostrare. E parliamo del 2014!

A chi aveva mai affidato i lavori la Pavimental di casa Benetton? Ad una società in forte odore di camorra, la ditta Vuolo da Castellammare di Stabia. Sulla quale ne aveva raccontate di cotte e di crude, verbalizzando davanti ai magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, un suo ex funzionario, poi diventato collaboratore di giustizia, Gennaro Ciliberto.

Il quale ricostruì tutto il reticolo di interessi e sigle ruotanti intorno al gruppo Vuolo (Carpenfer, PTAM Costruzioni e APF Travi Elettrosaldate) che aveva realizzato caselli e opere altrettanto sgarrupate e a rischio in mezza Italia.

Gennaro Ciliberto

Ciliberto parlò senza mezzi termini di “corruzione negli appalti e di infiltrazione mafiosa” facendo nomi e cognomi ben precisi, segnalando tutte le commesse ‘vinte’.

Che fine ha fatto quella inchiesta della magistratura?

E che fine hanno fatto tutte le altre inchieste avviate e mai venute a capo di nulla, tanto che i cittadini percorrono la penisola ogni giorno a rischio della propria pelle?

N.B. Per ricostruire meglio i fatti, vi consigliamo la lettura di tre inchieste della Voce di cui potete trovare i link in basso. Sono del 5 agosto 2017, del 7 gennaio 2018 e del 25 agosto 2018.

 

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