Tali figli di tali padri

Consultato per scrupolo professionale il Devoto & Oli, ho conferma che “Imbecillità” non è tra la parole della nobile lingua italiana. Peccato, ma ne faccio uso egualmente per commentare una reazione del numero uno leghista, entità politica razzista, xenofoba, secessionista, tendente all’autarchia e alla riesumazione del fascismo. Di ieri la scoperta che il figlio del bistrattato ministro del Tesoro è uno dei giovani uomini del generoso volontariato che salva la vita con difficili opere di soccorso in mare dei migranti in fuga dalle terre di origine dove infuria la guerra, si muore di torture, fame e sete. Tria, economista prestato alla politica, è da tempo nel mirino di chi lo ha chiamato a governare la precarietà dell’economia italiana, peggiorata dall’esecutivo gialloverde, fino alla voragine della recessione. I Castore e Polluce, i due vice di Conte, ma nei fatti co-premier di questo bislacco governo di incompetenti, hanno provato senza successo a sigillare la bocca del ministro del Tesoro, preoccupato, con onestà professionale, per l’ardua equazione di dover inventare le risorse a copertura dei costi di leggi populiste. A Salvini non è parso vero di cogliere l’opportunità per puntare l’indice contro Tria e lo fa utilizzando quella, che a suo avviso, è una lacuna genitoriale, la solidarietà del figlio che supporta la Mare Jonio, impegnata a salvare vite nel Mediterraneo: “Se le colpe dei padri non ricadono sui figli, le colpe dei figli non devono ricadere sui padri. Ognuno passa il tempo come vuole…se mio figlio andasse in giro per barconi lo riporterei a casa per l’orecchio”. Notate con quale garbo il divorziato Salvini, che ha privato i suoi figli del duplice rapporto madre-padre, si rivolge a un collega di governo, con il tono truce di “me ne frego dei migranti e guai a chi li aiuta”. Gli risponde per le rime Stefano Tria: “Che importa chi sono e di chi sono figlio? Importa quello che faccio”. Bene, non l’aver adottato il soprannome “triglia”, per non creare problemi al padre. Quello vero non dovrebbe creare imbarazzo, neppure al ministro. Un caso parallelo, clamoroso: era in piazza, a contestare il Congresso veronese di retrogradi, che negano i diritti acquisiti dalle donne, la figlia dell’organizzatore Massimo Gandolfini. Ironia della sorte.

Per i razzisti e xenofobi italiani si consiglia un corso serale, accelerato, di storia, con particolare attenzione per quella musicale degli Stati Uniti e non solo. Saprebbero che dalla fertile creatività dei popoli africani l’America ha importato il jazz, il soul, il gospel, voci uniche per intensità, strumentisti e compositori precursori dell’intero cosmo della musica, non made in Usa. Quanto è accaduto nel “Nuovo continente” ha poi influenzato il resto del mondo, in particolare l’Europa e da qualche tempo l’Italia. Si deve al “Venerdì” di Repubblica l’inchiesta su giovani interpreti della musica leggera con la pelle nera, nati in Italia, ma con i geni della loro appartenenza culturale all’Africa. Chi sono? Yuman, Abe Kayn, Cha Cha, Dium, Laioung, Marue, Tommy Kuti, Rancore, Chadia Rodriguezdi origini marocchine, Symo, Mahmood, vincitore dell’ultimo Sanremo, Mosè Cov. Tredicesima del già folto gruppo è Amir Haddad, di origine israelianaHanno antenati e genitori senegalesi, egiziani, marocchini, della Sierra Leone, capoverdiani, eritrei, nigeriani. Ora sono italiani, come i neri degli Stati Uniti sono americani, come italo-americani sono celebri star, da Sinatra, a Madonna, Frank Capra, Scorsese, Coppola, De Niro, Dean Martin, Liza Minnelli e tanti altri artisti, ma anche scienziati, ricercatori, uomini delle istituzioni. E non è fanta-etnia ipotizzare che con l’integrazione, seppure osteggiata dai razzisti che ci governano, ma comunque irrefrenabile, si moltiplicheranno i casi di seconde e terze generazioni di migranti che entreranno a pieno titolo nel nostro mondo, a trecentosessanta gradi.

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