Siamo nel bel mezzo di un guazzabuglio, al prologo del salto senza rete nel buio del disastro finanziario dell’Italia. I due bellimbusti che sgovernano il Paese, come fossero bambini capricciosi minacciano chi amministra l’economia del Paese, ovvero i vertici del Tesoro, di mandarli a casa se non trovano le risorse per finanziare i rispettivi capricci pre elettorali. Pretendono (verbo mussoliniano) che il prudente Tria, scelto da loro per tenere i conti in ordine, diventi il Silvan del governo ed estragga dal cappello a cilindro da prestigiatore i miliardi a copertura del reddito di cittadinanza e della flat tax. Ma come, chiedono i responsabili del Tesoro, se in cassa non ci sono? E chi se ne frega, rispondono in coro l’Incompiuto Di Maio e il Ce l’ho duro Salvini, fatti tuoi, sei il ministro dell’economia, arrangiati. Non è proprio esplicita la minaccia, ma per Tria, se dovesse continuare a predicare prudenza, i due para dittatori avrebbero pronta la lettera di licenziamento. Non ci sono i soldi? No problem, dicono in coro, sforiamo con il deficit. Considerate la dovute proporzioni è come se la famiglia di Gennaro Esposito, alle prese con debiti da onorare, si rivolgesse agli usurai per un prestito, con il risultato di finire in miseria, è come se un imprenditore in crisi di liquidità, impossibilitato a pagare i dipendenti, ricorresse a prestiti bancari, gonfiasse progressivamente il debito, fino a dichiarare fallimento. In queste degenerazioni, da presuntuosi incapaci, ci hanno messo gli italiani incazzati (a ragione) accordando fiducia a dilettanti della politica.
Quarantacinque giorni fa la tragedia del Ponte Morandi. Nasce un aborto di decreto del governo quando la pazienza di Genova è al capolinea. La ragioneria di Stato (insultata da Di Maio) lo rispedisce al mittente. Accanto alle voci di spesa solo puntini sospensivi, neppure una cifra.
La satira e l’irricevibile documento di Toninelli su Genova: “Vieni avanti de-cretino.
Di Maio: il Movimento voterà no al decreto sull’economia se non comprenderà il reddito di cittadinanza. Fantastico, un vice premier che boccia un provvedimento del proprio governo. Se fosse il prologo di una guerra civile tuta interna al “contratto”, il nostro ip, ip urrà.
Di Maio è l’altra faccia della spudoratezza, della baldanza in spregio alla logica, alla razionalità, alla verità. Confronto con le bugie dalle gambe corte di Berlusconi: se Vespa, prono al cospetto dell’ex cavaliere, condivideva la balla elettoralistica di un milione di nuovi posti di lavoro, ora che la musica è cambiata sorride compiaciuto alla megalomane idiozia del vice premier grillino sul merito del governo giallo verde di far sparire dall’Italia la povertà.
Tra una Margherita e una pinta di birra Nastro Azzurro, nell’illusione patriottica di bere un’eccellenza italiana (ex italiana, perchè la Peroni ha venduto al Brasile) il Movimento 5Stelle decide il futuro del Paese. Ogni martedì Luigi Di Maio si ritrova in una pizzeria con i ministri, i sottosegretari e i capigruppo del M5S. Ieri la minaccia: “Se il Def non conterrà il reddito di cittadinanza non lo voteremo, faremo mancare i numeri in Parlamento innescando così una crisi senza ritorno”. L’augurio è che il diktat si perfezioni alla prossima pizza con l’esito minacciato dal vice premier grillino
Salvini, megalattica gaffe da ignoranza: “Nel 2019 abbasseremo l’aliquota irpef al 15% per un milione di italiani. Renzi, intervistato da Lilli Gruber lo ha sputtanato: “Salvini racconta balle perchè l’aliquota dell’Irpef al 15% per circa un milione di persone c’è già ed è stata introdotta per legge dal mio Governo”.
Great Britain, i labour approvano la proposta di un nuovo referendum anti Brexit. Trema Theresa May
Donald Trump, lo spaccone primatista mondiale delle bugie, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite: “In meno di due anni la mia amministrazione ha fatto enormi progressi, più di quasi qualsiasi altra”. La risposta all’autoelogio raggiunge l’unanimità dei presenti: Risuona nell’aula, solenne, una gran risata.
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