Non solo Repubblica pronta a svelare, con il suo sondaggio-inchiesta, i rapporti tra mafia e politica. A scoprire l’acqua calda adesso arriva il procuratore capo Nicola Gratteri, che dopo l’operazione contro i clan Farao-Marincola annuncia il Verbo: “E’ cambiato il rapporto tra mafia e politica. Oggi i clan gestiscono direttamente la cosa pubblica”.
Peccato che la notizia sia vecchia di almento trent’anni. Risalgono, per fare solo un esempio, a fine anni ’80 le riunioni municipali che si tenevano non nella rituale aula consiliare, ma a casa del boss di turno. Succedeva con una certa regolarità in parecchi comuni della provincia di Napoli. Una provincia, del resto, sempre ai vertici della hit sul fronte dei numeri per quanto concerne gli scioglimenti delle stesse assemblee elettive: e sempre per motivi di camorra.
Ricorda un amministratore di Cardito, popoloso comune nell’hinterland partenopeo: “già vent’anni fa c’erano molti più comuni sciolti o sotto monitoraggio rispetto a quelli ancora in piedi. La sola provincia di Napoli ne conta più di 90, e ricordo che soltanto una quindicina erano esenti da qualsiasi tipo di infiltrazione. Ciò vuol dire che le infiltrazioni vanno avanti da un bel pezzo, che la camorra ha da lunghissimo tempo dato l’assalto ai palazzi del potere locale. Altro che roba di questi anni. E la stessa cosa, immagino, è successa in Calabria, dove le ‘ndrine non si fanno sfuggire da sempre un capillare controllo del territorio, anche sotto il profilo politico. Tanto che da tempo hanno trasferito parte del loro potere al nord, facendo eleggere svariati consiglieri dalla Lombardia alla Liguria e al Piemonte”.
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