Falcone e Borsellino all’Asinara – La verità di Caponnetto

C’è voluto un film per far emergere la verità su un episodio che in molti per anni hanno voluto circondare di quella “retorica dell’eroe” di cui, peraltro, né Giovanni Falcone, né Paolo Borsellino avevano certo bisogno.

Il film è “Era d’estate” di Fiorella Infascelli con Beppe Fiorello e Massimo Populizio. Narra di quando, nel 1985, i due magistrati, per questioni di sicurezza, vennero costretti assieme alle loro famiglie a lasciare Palermo per approdare sull’isola dell’Asinara. Avrebbero dovuto scrivere la sentenza-ordinanza per il maxi processo. Ma le carte non arrivarono mai.

A diffondere la leggenda metropolitana che i due magistrati, in assoluta solitudine, avessero scritto la sentenza-ordinanza all’Asinara era stato, tra gli altri, un autorevole esperto di mafia come Saverio Lodato nel suo “Dieci anni di mafia” uscito nel 1990, ben prima quindi delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Ecco il brano in questione:

“Prelevati a domicilio, i professionisti non fecero obiezioni, lasciarono in asso le famiglie, raccolsero pacchi di carte e centinaia di rapporti. Ormai la lotta alla mafia era esclusivamente nelle loro mani (…) Partirono. Solo al momento di atterrare seppero che si trovavano all’Asinara, in uno dei supercarceri italiani più sicuri e inaccessibili. Lì – in assoluto isolamento – in appartamentini di una foresterìa, messa gentilmente a disposizione dal direttore del penitenziario, trascorsero due mesi. Quando si concedevano una nuotata decine di uomini non li perdevano di vista un solo istante. Scrissero tutto quanto c’era da scrivere. Rispettarono I tempi. All’esterno non trapelò nulla”.

Ecco invece come andarono effettivamente le cose, così come le ha raccontate, allo stesso autore del brano precedente, Antonino Caponnetto, in quel periodo capo dell’ufficio istruzione di Palermo e, oltre che loro fraterno amico, anche diretto superiore di Falcone e Borsellino:

“…dall’interno del carcere (di Palermo, N.d.A.) era partito l’ordine di eliminare Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. (…) Appena ricevetti quella segnalazione salii immediatamente alla procura della Repubblica; poi, insieme a Pajno, mi recai dal procuratore generale e decidemmo di contattare immediatamente gli uffici ministeriali. Nel giro di poche ore fu presa la decisione drastica di allontanare Borsellino e Falcone da Palermo e di portarli all’Asinara. Partirono con le famiglie. E questo segnò una battuta d’arresto nella stesura dell’ordinanza, nonostante oggi si continui a scrivere che si recarono all’Asinara per scrivere l’ordinanza. Partirono in tutta fretta senza portare con sé il materiale necessario per lavorare. […] Falcone e Borsellino andarono all’Asinara solo per salvarsi la vita: là trascorsero due settimane di ozio insopportabile. Non facevano altro che tempestarci di telefonate: “Allora, quanto dobbiamo restare qui? E la sentenza-ordinanza che la fa? Resta ferma?”.

Eppure, nonostante le frasi di Caponnetto, la leggenda metropolitana ha continuato a girare.

Perché costruire la leggenda attorno a uomini che di leggende non hanno certo bisogno? Quando invece il loro esempio è molto più significativo se proviene da uomini comuni, uomini come noi, fatti di sangue e ossa, uomini senza aureole, con i loro pregi e i loro difetti, le loro luci e le loro ombre, le loro ansie e le loro ambizioni?

 

Dalla Newsletter di Misteri d’Italia

www.misteriditalia.it

 

nella foto, Falcone e Borsellino con Antonino Caponnetto

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