ARIECCOLI / LE GRAN RENTREE DI GIANFRANCO FINI E ITALO BOCCHINO

Cosa ci sarà mai dietro alla riemersione dal nulla di due autentici ‘desaparecidos’ della politica come Gianfranco Fini e il suo fedele scudiero per irregimentare le truppe di Alleanza Nazionale, al secolo Italo Bocchino? Il quale, detto subito tra parentesi, è tornato proprio in sella, due anni fa, alla storica testata dei camerati, ‘Il Secolo d’Italia’.

Lo sdoganamento ha del clamoroso, perché non è avvenuto, come sarebbe stato quasi ‘fisiologico’, via reti Mediaset, ma grazie ai servigi di mamma RAI e alla tanto progressista La7 griffata Urbano Cairo.

Il sommozzatore Fini, infatti, è stata la guest star domenicale di Lucia Annunziata, mentre il Bocchino nazionale ha impartito lezioni di giornalismo nel salottino di Lilli Gruber, combattendo di sciabola e di fioretto con due consueti ospiti di ‘Otto e mezzo’, Marco Travaglio e Massimo Giannini, i numeri uno del Fatto e della Stampa.

Gianfranco Fini con Elisabetta Tulliani. Sopra, al programma di Lucia Annunziata domenica scorsa

Partiamo dal Capo d’un tempo, andato in naftalina per la famosa vicenda dell’appartamento di Montecarlo, la story tutta fascista del lascito di una vecchia cuor di Fiamma finito nelle casse del partito e, per miracolo, arrivato in casa Fini: per la precisione via cognato Giancarlo Tulliani (per anni latitante in Dubai), ossia il fratello dell’allora seconda consorte, Elisabetta, del sub-comandante nazional-alleato; a sua volta amica intima di Ignazio Benito La Russa, il neo capo di palazzo Madama, il quale ebbe l’ottima idea di presentarla al suo Capo (il sub sopracitato). Non di primissimo pelo, Elisabetta, la ‘conquista’ che mandò in visibilio il numero uno di AN, visto che arrivava dalla corte (o coorte) del ruspante ma danaroso Luciano Gaucci, all’epoca patròn del Perugia calcio con la passione per i cavalli che di tanto in tanto regalava a qualche arbitro di turno.

Ma torniamo alla clamorosa rentrée chez Annunziata. Dove l’ex  Capo ha profuso quintalate di miele sull’irresistibile ascesa della sua creatura e pupilla di sempre, Giorgia Meloni, che proprio lui volle come vice presidente della Camera quando non era neanche trentenne (aveva infatti 29 anni). Una puledra di razza e dal destino segnato, la Giorgia nazionale.

Non pochi analisti politici vedono, oggi, proprio la sagoma del navigato (del resto non si diventa sub per caso) Fini come ‘ispiratore’ della Meloni governativa.

Apre il suo candido e ferito cuore davanti agli occhioni curiosi dell’Annunziata, l’ex Capo. Il quale rimembra con ardore la svolta di Fiuggi che a suo parere sganciò AN da ogni legame con il vecchio passato fascista: quindi basta con gli equivoci e con le solite domande sul passato, con Fiuggi abbiamo lavato tutto.

Mentre rinnovella con grande amarezza lo scioglimento della sua creatura, AN appunto, per dar vita al PDL che oggi considera un  gigantesco errore politico: “Un errore gravissimo, imperdonabile, non me lo perdonerò mai”, ammette quasi con una lacrima sul viso.

Ora lo scettro è sicuro nelle mani di Giorgia, che “dovrà avere molta pazienza e mostrare la sua grande abilità nel tenere tutti insieme per portare avanti un programma unico, agendo sulla base di valori condivisi”. Ci saranno certo frizioni, Lega e Forza Italia creeranno dei problemi: ma lei saprà tenere la barra dritta, tutti gli italiani ne possono essere certi. Parola di Fini.

E parole praticamente identiche a quelle pronunciate dall’ex scudiero Bocchino che ha voluto, anche lui, rassicurare tutti i concittadini sulla lealtà democratica e la genuinità politica del primo ministro Meloni.

Inneggia – novello Mosè – il Bocchino di casa nostra: “Questa è l’ultima tappa di una lunga traversata nel deserto della destra italiana che in 80 anni l’ha portata a fare grandi percorsi segnati da una solida appartenenza alle istituzioni democratiche del Paese con alcune esperienze di governo e coronata dal risultato di oggi”. E ancora, gonfiando il petto: “Grazie alla sua grande esperienza politica, Meloni offrirà al Paese una coalizione armonica in grado di supportare un solido governo”.

Italo Bocchino a “Otto e mezzo”

E poi una lezione di vero giornalismo a quegli idioti degli inviati esteri: “Chiedono di continuo alla Meloni di dar prova del suo cambiamento, del suo tasso di democrazia. E’ invece la stampa internazionale a dover cambiare radicalmente il modo di vedere la Meloni”.

Tutti grati per la lezione, impartita da un Maestro della carta stampata, tornato sul podio (‘il Secolo d’Italia’, appunto) già occupato dal 2014 al 2019. E il quotidiano oggi titola: “Ergastolo ostativo, il governo Meloni sulla mafia segue gli insegnamenti di Falcone e Borsellino”. Le cui povere anime, in questi giorni, viste le continue rievocazioni di casa FDI, si staranno di certo rivoltando nella tomba.

E di pendenza giudiziarie ne ha ancora in piedi, Maestro Bocchino, che rimase impelagato nell’affaire CONSIP in cui sono finiti pezzi da novanta come Babbo Renzi e il gestore immobiliare più a la page in Italia, Alfredo Romeo. Un processo che, dopo i rinvii a giudizio del gup del tribunale di Napoli lo scorso anno, deve ancora cominciare. E Bocchino – che per anni ha svolto il ruolo di public relation man del gruppo Romeo – al tribunale di Roma è stato rinviato a giudizio per ‘traffico di influenze’.

Alla fine del giro, quale senso politico può avere, oggi, le rentrée  del comandante in capo di AN e del suo fido luogotenente d’un tempo? Lo capiremo presto.

Misterioso anche il ruolo da ‘traino’ svolto da RAI e La7: meglio indossare fin da subito l’orbace con L’Aria che tira?

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