No… non è la BBC

L’età della saggezza senile è condizione preziosa. Trasmette il ricco patrimonio dell’esperienza a ‘chi viene dopo’. Purtroppo c’è un ma,  la perdita fisiologica dei tesori custoditi dalla memoria. Quella cosiddetta ‘corta’, del dimenticare in pochi secondi fatti appena accaduti, l’altra che ignora nomi ed eventi del passato prossimo e ancor più del remoto. Con tutto il rispetto per la longevità televisiva e il percorso professionale senza uguali, supponiamo che Maurizio Costanzo conservi un ricordo approssimativo del suo celebratissimo ‘Show’ e dunque che non riconosca più la responsabilità di aver intuito per primo, a fini dell’audience, la rissa, le urla, il turpiloquio, lo sgradevole ricorso a insulti e parolacce, elementi disdegnati dalla Tv che lo hanno preceduto, utilizzati per ricadute in rialzo sui dati di ascolto. Esempio culmine dell’intuizione è stato l’esordio televisivo, su cui ha poi lucrato per decenni, di uno Sgarbi, sboccato, strumentalmente insolente, aggressivo, urlante. Con questa strategia, anno dopo anno, sono volati in alto i decibel vocali di conduttori e conduttrici, di giornalisti, talkshow men e di chiunque altro si è posto l’obiettivo di aumentare gli ascolti per strappare più ricchi contratti. Lo hanno capito più di altri i produttori di spot pubblicitari, in onda a livelli audio palesemente più alti rispetto al volume dei programmi. Il fenomeno ha conosciuto il suo culmine con le varianti che il dramma della pandemia e da oltre un mese la tragedia dell’aggressione russa in Ucraina hanno introdotto in tutti i palinsesti dell’universo televisivo. Nell’ossessivo tam tam sul Covid, l’emittenza pubblica e privata si sono sfidati a caccia dell’esperto e ci hanno fatto scoprire che l’Italia è terra di poeti e navigatori ma specialmente di virologi, immunologi, opinionisti titolati o solo idonei ad alimentare dispute rissose fino alla nausea, fino al rigetto per intolleranza delle dosi massicce d’informazione e disinformazione. Oliato il sistema e in presenza di una sempre più diffusa contestazione del guazzabuglio scientifico, al coronavirus è succeduto il ‘caso’ Ucraina’ e l’arruolamento per raccontarlo di giornalisti da studio, inviati, esperti di geopolitica, storici, ambasciatori, opinionisti tuttologi. In campo, per non farsi mancare nulla, anche Monica Maggioni ed Enrico Mentana, direttori di Tg1 e La7.

In Rai sembra farsi strada un rinsavimento, tardivo ma benvenuto, di quanti ne hanno abbastanza di discettatori di professione, i più a ingaggio permanente di Rai e private (number one è ‘Rampini ogni minestra’), altri come invasori estemporanei, che pur di riconquistare spazi televisivi perduti hanno imboccato la strada del negazionismo delle barbarie di Putin.  Il caso Orsini, ingaggiato per sostenere l’assurdo della corresponsabilità di Mosca e Kiev per quanto avviene in Ucraina, finalmente induce a pentimento la Rai e boccia gli attraversamenti del sociologo filo russo nelle reti pubbliche. La Tv del ‘di tutto di più? Potrebbe andare oltre, profittare per cancellare il reiterato ricorso a ospiti più meno competenti (più meno potenziali sobillatori con tesi opposte e liti).  È tempo di strategia riformatrice? Controprova convincente sarebbe la direttiva interna che vieti di trasformare i format, soprattutto pomeridiani, in succursali di commissariati di polizia, stazioni dei carabinieri, aule di tribunale, redazioni di cronaca nera, che ogni giorno ospitano criminologi, avvocati, testimoni, vittime di reati.

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