CASO MATTEI / LO “STORICO” MIELI DIMENTICA IL PETROLIO BOLLENTE

Colpo di sole ferragostano? Grossolana superficialità storica favorita dalla calura?

Sarà certo da imputare a una di queste cause l’orrendo spazio che uno “storico” doc come l’ex direttore del Corriere della Sera e tanto d’altro, Paolo Mieli, ha dedicato il 13 agosto, via Raitre, al “Caso Mattei”.

Rammentate pistarelle di un’inchiesta mai venuta a capo di niente. Per la serie: quando sono cominciati i primi insabbiamenti e i primi depistaggi di casa nostra, continuati fino ad oggi, con le “perle” della strage di via D’Amelio e degli omicidi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Paolo Mieli. Nel montaggio di apertura da sinistra Mauro De Mauro, Enrico Mattei e Pier Paolo Pasolini

Gli “esperti” chiamati dal Gran Maestro Mieli hanno servito le solite minestre riscaldate, senza dare un minimo peso all’unica, autentica pista: quella che ha poi condotto alla eliminazione del cronista di punta dell’Ora Mauro De Mauro prima, e del grande Pierpaolo Pasolini (trasformatosi in eccezionale giornalista d’inchiesta) poi.

Ammazzati, tutti e due, proprio perché avevano osato scoprire i veri mandanti dell’omicidio del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, un personaggio diventato troppo scomodo per le sue politiche energetiche filo arabe, che avrebbero creato grossi danni alle famigerate sette sorelle del petrolio e ai padroni americani.

Per questo Mattei “Doveva Morire” e ad occupare la sua poltrona ci doveva essere uno come Eugenio Cefis prono alle politiche a stelle e strisce. Il capo di quella “Razza Padrona” che all’epoca descrisse Eugenio Scalfari.

Non una parola su quei mandanti eccellenti e a quel Cefis di cui parla diffusamente Pasolini nel suo “Petrolio” che gli è costato la vita. Un “Petrolio” dalle cui bozze è sparito un capitolo base: quello titolato “Lampi sull’Eni”, una ventina di pagine al calor bianco su quel Potere tentacolare rappresentato in modo emblematico da boss del colosso petrolifero.

Tre anni fa i legali della famiglia Pasolini sono riusciti a far riaprire l’inchiesta, basandosi sulle tracce di un nuovo DNA, quello di un Ignoto presente sulla scena del crimine, oltre allo stesso Pasolini e al presunto killer Pino Pelosi.

Ma dopo tre anni dalla procura di Roma non è arrivato alcun segnale. Un muro di gomma, un silenzio tombale. Il solito, paludoso porto delle nebbie.

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