La seconda rivoluzione ecologica è arrivata!

tratto da

Elettricità dal gas senza combustione!

Sì, hai capito bene: energia elettrica dal gas senza bruciarlo! E per giunta con un rendimento parecchio superiore rispetto alla combustione (si raggiunge un’efficienza del 60%).

Me l’ha spiegato Valerio Rossi Albertini, il fisico del CNR, all’ultima edizione di EcoFuturo, il festival delle ecotecnologie, dove abbiamo presentato il primo “reattore elettrochimico” di piccole dimensioni: grande poco più di una lavatrice e in grado di produrre un kilowatt e mezzo di energia all’ora; e può utilizzare il metano della rete.

È prodotto dall’italiana Solid Power di Trento e si chiama Blue Gen. La combustione è un processo caotico e molta dell’energia sprigionata va persa. Se invece scindiamo il gas in idrogeno e anidride carbonica, otteniamo un fenomeno chimico ordinato e quindi c’è meno dispersione e più resa. E nessun tipo di inquinamento, nessuna emissione nociva, nessun fumo! Macchine di questo tipo esistono da tempo ma erano enormi e quindi costosissime, adatte a grandi esigenze di consumo.

E forse c’è un’altra novità che completerebbe in modo perfetto il “sistema gas”, aumentando la nostra capacità di produrlo dai rifiuti organici. Si mormora che alcuni ricercatori, anch’essi italiani, siano riusciti a individuare un batterio capace di mangiare immondizia organica e produrre idrogeno. Ricombinando idrogeno e anidride carbonica si ottiene gas metano, che a differenza dell’idrogeno è facile da trasportare con i camion cisterna e può essere immesso nella rete che porta il metano nelle case. Dopodiché quella stessa immondizia può diventare nutrimento per un altro tipo di batteri che si mangiano tutto e poi scoreggiano biogas.

La convenienza incredibile del biogas dipende da un altro vantaggio.
Anche in Italia si stanno diffondendo nelle aziende agricole gli impianti che producono biogas da scarti agricoli e alimentari e liquami. Alla fine del processo si ottiene un digestato (cioè digerito dai batteri anaerobici) che si è rivelato uno straordinario fertilizzante; ha la capacità di aumentare l’humus presente nel terreno (cioè la parte viva della terra).

In apertura il ministro Teresa Bellanova

I terreni delle nostre grandi pianure, bombardati per decenni con i fertilizzanti chimici, hanno perso infatti gran parte del loro humus, sono cioè impoveriti dal punto di vista biologico. Da anni in Pianura Padana i produttori di Parmigiano Reggiano, in particolare, stanno sperimentando questo digestato su grandissime estensioni: decine di milioni di metri quadrati. E si è riscontrato un aumento dell’humus oltre il 4%. Con un terreno più sano si è quindi visto che le piante crescono più forti e hanno pure meno bisogno di fitofarmaci, con vantaggio per la salute dei consumatori.

Inoltre l’uso di questo digestato permette di non arare i terreni in profondità, limitandosi a tagliarlo con dischi. In questo modo non si sconvolge l’equilibrio batterico del terreno e anche questo ne migliora la qualità organica.

Infine questa tecnica di coltivazione aumenta la quantità di anidride carbonica interrata, quindi tolta dall’atmosfera e perciò si ottiene un vantaggio anche nella lotta contro il disastro climatico.

Negli anni ‘90 molti opinion leader ambientalisti speravano nella rivoluzione dell’idrogeno. Ma non funzionò. Che una tecnologia sia ecologica e economicamente conveniente non basta. Deve essere conveniente anche costruire il sistema di supporto.

Il motore a idrogeno è perfetto ma c’è il problema del trasporto e dell’idrogeno che ha caratteristiche che fanno salire i costi del suo trasporto e della distribuzione casa per casa tramite tubature. Teoricamente ogni distributore di carburante potrebbe autoprodurlo sul posto. Si può scindere l’acqua in idrogeno e ossigeno. Ma un impianto di produzione dell’idrogeno, di piccole dimensioni deve essere realizzato su scala industriale per avere un prezzo accessibile. Queste difficoltà hanno fatto sì che le auto a idrogeno non abbiano sfondato. Noi sostenevamo piuttosto il fotovoltaico e l’eolico, che invece erano visti con diffidenza da molti ambientalisti.

Ora soprattutto il fotovoltaico è diventato la tecnologia di punta per gran parte del movimento ecologista e per l’industria automobilistica. Ma non si tiene conto che la rete elettrica ha dei limiti strutturali. Se in una città come Roma 10mila auto si attaccano alla corrente per essere ricaricate, ci sarebbe un collasso della rete. Cioè sarebbe necessario un investimento di miliardi per rendere la rete elettrica nazionale capace di supportare una conversione di massa alle auto elettriche.

Ecco purché mi sembra così importante affiancare al fotovoltaico lo sviluppo del sistema del biogas: si può produrre in piccoli impianti sparsi e vicini ai punti di consumo, è facile da trasportare con le cisterne o attraverso la rete delle tubature del metano. E i mezzi di trasporto elettrici potrebbero essere quindi riforniti con la corrente prodotta dal metano, magari direttamente a bordo dell’auto, per scissione. Speriamo che ce ne si renda conto al più presto. Perché si capisse la centralità del fotovoltaico ci sono voluti anni… ma comunque la seconda rivoluzione energetica è iniziata.

Buon anno a tutti!

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