ENI PIGLIATUTTO / MA ANCHE INCHIESTE, PROCESSI & CONDANNE

Non ha soste lo shopping dell’Eni, il maxi ente petrolifero a caccia continua di nuovi pozzi da sfruttare in mezzo mondo. Ma da tempo nel mirino c’è soprattutto l’Africa.

Ultima tappa in Egitto, dove da tre anni è partito il progetto “Zohr”, che riguarda il giacimento forse più grande al mondo, con un potenziale da quasi 900 miliardi di metri cubi di gas naturale. Nel suo genere, da Guinness dei primati. Cammin facendo, allontanandosi quindi dal delta del Nilo e addentrandosi per una cinquantina di chilometri, ecco la scoperta: un altro maxi ‘gioiello’, chiamato “Nour”. Annusato l’affare l’Eni s’è subito tuffato a pesce ed è riuscito ad ottenere dal governo egiziano una concessione di sfruttamento che riguarda un’area di ben 740 chilometri quadrati, un’enormità. E addirittura per fine 2018 è già previsto un brindisi alla prima maxi trivella che penetrerà in quel cuore tanto ricco e nero. Alzeranno un calice anche alla memoria di Giulio Regeni?

Claudio Descalzi

In quest’occasione i vertici Eni – in prima fila l’amministratore delegato Claudio Descalzi – stanno utilizzando una nuova strategia economico-finanziaria: per ammortizzare cioè gli ingenti costi iniziali hanno deciso di stipulare partnership con i gemelli energetici di altri paesi. Così è successo con il big russo “Rosnef”, al quale Eni ha ceduto il 30 per cento delle quote; il 10 per cento, invece, è passato alla British Petroleum; ed un ulteriore 10 per cento alla sigla degli Emirati Arabi Uniti, ossia la Mudabala Petroleum. Nelle mani di Eni, comunque, resta la metà della torta.

Il giacimento di Sankofa, in Ganha, dovrà contribuire a generare energia pulita per il Paese. Il livello di produzione giornaliero previsto è pari a 180 milioni di piedi cubi di gas. Come del resto in Kazakistan, dove Eni ha in programma la realizzazione di un maxi parco eolico, sfruttando il giacimento di gas di Kashagan. Un pò di green e di energie rinnovabili fanno bene come lifting e per mettere un velo su ben altri affari e vicende.

Da anni, poi, vanno avanti i lavori per lo sfruttamento dei ricchi giacimenti in Algeria e in Nigeria.

I quali, però, hanno provocato non pochi grattacapi giudiziari ai vertici di Eni. Così come è successo, in misura ancor maggior, con il Brasile e l’accordo stipulato con il colosso pubblico carioca Petrobras. La magistratura verdeoro è al lavoro già da diversi anni con l’inchiesta “Lava Jato” (di cui la Voce ha spesso scritto), che ha decapitato la classe politica di maggioranza e di opposizione, provocando l’impeachment della presidente Dilma Rousseff, pupilla del precedente capo dello Stato Ignacio Lula da Silva, condannato a 9 anni di galera ma deciso a correre di nuovo alle prossime elezioni presidenziali.

Nelle maglie della Lava Jato, che ha già scoperto un pozzo da 5 miliardi di dollari di tangenti che potrebbe allargarsi fino ad una ventina, non sono finite solo l’Eni e la controllata (con la Cassa Depositi e Prestiti) Saipem, ma anche il colosso dell’impiantistica di casa nostra Techint, che fa capo al gruppo di Gianfelice Rocca & C., il quale in Argentina, invece, detta legge sul fronte dell’acciaio a bordo della corazzata Tenaris.

Molti i processi – a Milano – in fase istruttoria o in corso (primo o secondo grado). Sul fronte Petrobras sono in campo sia la procura carioca che quella meneghina: e l’imputazione è da novanta, corruzione internazionale. Tra gli imputati eccellenti anche Paolo Scaroni, il neo presidente del Milan e il plenipotenziario di Elliott e Rotschield in Europa.

La procura di Milano ha aperti i fascicoli “Algeria” e “Nigeria”, in cui è coinvolta anche una sfilza di politici e faccendieri locali che hanno beccato vagonate di tangenti.

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