REPUBBLICA / SCALFARI RIVELA IL NOME DEL “SALVATORE”, IL BANCO DI NAPOLI DEI MISTERI

Bomba Scalfari. Nella lunga intervista rilasciata al fido Francesco Merlo sulla sua Repubblica per replicare alle frecciate al curaro di Carlo De Benedetti, Eugenio Scalfari fa la rivelazione del secolo. Quando stava fallendo, tanti anni fa, Repubblica venne salvata nientemeno che da Ferdinando Ventriglia, il padre-padrone del Banco di Napoli ad inizio anni ’80 e incarnazione del potere finanziario scudocrociato. Per la serie: fu la Dc dei Pomicino, dei Gava e dei De Mita a salvare Repubblica.

Grande.

IL VERBO DI EUGENIO

Ecco le parole del fondatore Scalfari a proposito del crac evitato in corner. “C’è stato un momento in cui avevamo fatto supplementi belli e costosi, tra cui ‘Mercurio‘ diretto da Nello Ajello. Ci eravamo indebitati e avevamo l’acqua alla gola. Ci salvò il presidente del Banco di Napoli, Ventriglia, che ci concesse un fido senza garanzie. Poi quando De Benedetti divenne proprietario della Mondadori gli vendemmo le azioni di Repubblica con il patto che alla fine della famosa guerra di Segrate con Silvio Berlusconi gli avremmo venduto tutte le azioni allo stesso prezzo. E così fu”.

Ferdinando Ventriglia. In alto Carlo De Benedetti e Eugenio Scalfari

Ferdinando Ventriglia. In alto Carlo De Benedetti e Eugenio Scalfari

Un vero auto scoop, Repubblica che rivela il nome del suo Salvatore, re Ferdinando Ventriglia, per anni e anni dominus incontrastato del credito a Napoli e nel Mezzogiorno, punto fondamentale di riferimento non solo per la Dc, come abbiamo detto, ma anche di tutto l’arcipelago consociativo che vi ruotava intorno. A cominciare dal Pci di allora, incarnato dall’economista “liberalcomunista” – così si definiva – Massimo Lo Cicero, membro di fiducia di zar Ventriglia non solo all’interno del cda del Banco di Napoli ma anche dell’Isveimer, la potente costola finanziaria inventata per ossigenare le imprese del sud. Soprattutto quelle amiche.

Erano i tempi di vacche grasse del credito, dei finanziamenti facili e senza garanzie a mattonari amici ma anche alle nascenti imprese della camorra, ad esempio quelle che riciclavano soldi per conto del clan Nuvoletta. Tra i primi, per fare un solo caso, i costruttori casertani Maggiò, dei quali lo stesso Ventriglia in vesta privata era consulente. “Quando c’è da deliberare sui fidi al gruppo Maggiò – era solito sottolineare Ventriglia – io esco dal consiglio d’amministrazione e faccio votare gli altri”.

Ottimo e abbondante.

E resta storico il feeling che ha legato per anni Scalfari con l’allora segretario Dc e poi premier Ciriaco De Mita.

Un altro amarcord. Il responsabile del settore Economia e Finanza di Repubblica, all’epoca, era Eraldo Gaffino, un gran fiuto per borsa e affari. In ottimi rapporti con il gotha del credito, Gaffino, che lasciata Repubblica passerà poi a dirigere l’ufficio stampa della Banca di Roma (poi diventata Capitalia) guidata da Cesare Geronzi, grande amico di Ventriglia. E Gaffino era in ottimi rapporti con Graziella Scartaccini, la first lady del BancoNapoli, fedelissima di Ventriglia e per anni alla guida delle public relations.

Al termine della ricostruzione sorgono spontanee alcune domande: quale motivazione reale aveva quel gigantesco fido senza garanzie? Di che importo era? Chi erano mai – interrogativo retorico – i garanti occulti? E quali rapporti esistevano tra il gruppo De Benedetti e il Banco di Napoli targato Ventriglia?

DENTRO I MISTERI TARGATI BNL & SGA

E torna alla ribalta, in queste ultime settimane, la vicenda della prima Bad bank made in Italy, quella SGA partorita per recuperare crediti e sofferenze dopo il crac del Banco di Napoli che portò alla clamorosa svendita.

La sede del Banco di Napoli in via Toledo a Napoli

La sede del Banco di Napoli in via Toledo a Napoli

Un saldo da 60 miliardi di vecchie lire – come ha descritto la Voce, potete leggere cliccando sul lik in basso – tutto a favore della Banca Nazionale del Lavoro, all’epoca guidata dal ‘compagno’ Nerio Nesi. Il quale dopo pochi mesi (siamo a fine anni ’90) mise a segno il colpo del secolo: la rivendita dello stesso Banco di Napoli all’Imi Sanpaolo, per un prezzo lievitato nel frattempo di circa 100 volte: la bellezza di 6 mila miliardi di vecchie lire!

Secondo non pochi addetti ai lavori, in soldoni, quell’operazione serviva a salvare BNL – arieccoci ai salvataggi eccellenti – dal crac, dovuto alle spericolate manovre statunitensi, messe in campo dalla filiale di Atlanta: e tutte a base di finanziamenti ai paesi ‘canaglia’ e ai traffici di armi.

Vicende su cui nessuna inchiesta della magistratura ha mai voluto far luce.

La story arriva fino ai giorni nostri: con il governo Renzi che riesce a mettere le mani sul bottino di  Sga, quasi un miliardo di euro, pari a quanto miracolosamente recuperato di quelle prodigiose ‘sofferenze’. E la formalizzazione finale – storia di queste settimane – del passaggio del brand Banco di Napoli al gruppo Intesa Sanpaolo. Meglio tardi che mai.

Anche su questi miracoli degni del miglior San Gennaro non sarebbe male avere qualche spiegazione.

E visto che le verità possono riemergere a distanza di tanti anni, perchè qualcuno non fornisce un plausibile perchè all’operazione di ‘doppia’ vendita del Banco Napoli? Delle miracolate sofferenze griffate Sga? E quindi del golpe Renzi?

 

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