ENI & MAXI TANGENTI IN ALGERIA / COME MAI ORA RITRATTA IL TESTE CHIAVE ?

Come è mai possibile che uno dei principali testi nel processo per le tangenti ENI in Algeria faccia un clamoroso dietro front? Succede al tribunale di Milano, dove è in corso il dibattimento per la maxi inchiesta sulle mazzette versate da Eni e dalla controllata Saipem al governo algerino per ottenere appalti per l’estrazione di greggio lungo le coste algerine.

I fatti risalgono al triennio 2007-2010 e il totale della mazzetta ammonta a quasi 200 milioni di euro.

Paolo Scaroni

Paolo Scaroni

Il processo non è da poco, si tratta di corruzione internazionale, e tira in ballo anche l’ex numero uno dell’Eni, Paolo Scaroni, pezzo da novanta del parastato e da sempre in procinto di ricevere un’altra poltrona di primo piano: a quanto pare l’ex premier Matteo Renzi l’avrebbe sponsorizzato per il vertice della nuova Italsider.

IL SUPERTESTE SMEMORATO

Ma chi sarà mai il teste che ritratta? E’ Pietro Varone, ex direttore generale di Saipem, che aveva dettagliato in modo minuzioso i tragitti delle mazzette mediate dal faccendiere Farid Bedjaoui, l’uomo ombra dell’ex ministro algerino per l’Energia. Una fettina di quella tangente, pari a 2 milioni di euro, era finitia proprio sui conti di Varone.

Che dopo aver ‘vuotato il sacco’, adesso cade dalle nuvole. E fa marcia indietro. Sostiene di aver fornito quella prima verbalizzazione solo per uscire di galera, convinto a ciò dai suoi due legali che – afferma oggi in tribunale – erano più dalla parte della procura che dalla sua. Affermazioni gravissime, che meriterebbero un adeguato approfondimento.

E oggi dimentica, Varone, perfino quanto raccontato da sua moglie agli inquirenti, la storia di una valigia di zeppa di carte e documenti scottanti, fatta sparire nel nulla. Ora Varone dice di non saperne niente.

Ha perso a tal punto la memoria, il teste Varone, che non sa nemmeno il nome del suo attuale datore di lavoro, il titolare di una società petrolifera acquartierata a Dubai. ‘Un inglese’, precisa ai giudici che lo interrogano.

E come si chiama questo inglese?, gli viene chiesto.

“Non me lo ricordo”.

Da ricovero.

MA C’E ANCHE LA MAXI TANGENTE PETROBRAS

operaioIntanto, proseguono gli altri processi e le altre inchieste per corruzione internazionale, sempre a carico di Eni e di consorella Saipem. Dall’Africa al Sud America. Dalla Nigeria al Brasile.

La Voce ne ha scritto più volte, storie spesso e volentieri ignorate dai grossi media, oscurate dalle tivvù. Meglio parlare di corruzioni e mazzette di piccolo cabotaggio che di tangenti internazionali alte come un grattacielo.

Come quella brasiliana, al centro dell’inchiesta Lava Jato, la Mani pulite verdeoro che ha messo in ginocchio presidente, governo e opposizioni, una grande mangiatoia collettiva orchestrata da Petrobras, la compagnia petrolifera pubblica.

La tangente del secolo, secondo gli addetti ai lavori. Fino ad oggi accertato un monte-mazzette pari a 5 miliardi di dollari, ma la cifra potrebbe lievitare al tetto stratosferico di 20 miliardi. Il top dei top.

L’Italia è in pole position nello scandalo, coinvolta non solo con la presenza pubblica del solito tandem Eni-Saipem, ma anche con quella del colosso privato di casa nostra Techint, che fa capo alla potente famiglia Rocca.

Da ricordare che gli esordi della inarrestabile ascesa di Scaroni sono avvenuti proprio a bordo di Techint. Società sulla quale – va ancora rammentato – stava indagando Ilaria Alpi nelle sue inchieste somale.

Alla dinasty dei Rocca è riconducibile il misterioso ‘tesoro’ di San Faustin su cui – tanto per cambiare – sta indagando la procura di Milano.

 

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