Cannabis autofiorente: la storia di una rivoluzione

La cannabis è un mondo ricco di sfaccettature. Aprire l’argomento relativo ai semi di cannabis e alle loro caratteristiche vuol dire, per forza di cose, citare le autofiorenti. Queste piante hanno il pro di non essere fotoperiodiche e di fiorire indipendentemente dai cicli di luce, ma sulla base della loro età.

 

Negli ultimi anni, hanno acquisito una grande popolarità. Complici provvedimenti normativi che hanno reso più accessibile la coltivazione della cannabis anche da parte dei non professionisti, tantissimi utenti che si approcciano da zero a questo mondo scelgono, per minimizzare le difficoltà pratiche, di ricorrere alle autofiorenti.

 

Come ben sa chi è animato dalla curiosità, dietro al loro successo c’è una storia a dir poco affascinante. Se vuoi scoprirla, non devi fare altro che proseguire nelle prossime righe di questo articolo.

 

Cannabis ruderalis, il segreto delle autofiorenti

Quando si parla della cannabis autofiorente, è necessario ricordare che la capacità di resistere a prescindere dalle condizioni di illuminazione si deve alla Cannabis ruderalis, una varietà che ha origine dalla Russia. La sua scoperta risale al 1924 da parte del botanico  D.E. Janischevsky, ai tempi impegnato nello studio di alcune specie spontanee che crescevano in Russia.

 

Caratterizzata da dimensioni ridotte e dalla capacità di fiorire in tempi rapidi, la Cannabis ruderalis, dopo lo spartiacque della scoperta, ha iniziato a essere al centro di diversi esperimenti da parte di membri della comunità dei breeder nel corso degli anni ‘70.

 

A tal proposito è il caso di ricordare l’impegno dei fondatori della banca Sensi Seeds che, nel periodo sopra ricordato, si sono sforzati molto per arrivare alla creazione di un ibrido il più stabile possibile.

 

Ai tempi, hanno lavorato mettendo in primo piano sia la Cannabis ruderalis, sia diverse genetiche di Indica e Sativa.

 

Prima di arrivare alla cannabis autofiorente come la conosciamo oggi, è stato necessario attendere ulteriore tempo. La svolta definitiva – quella con la S maiuscola, si potrebbe dire – è infatti giunta all’inizio degli anni 2000 con l’immissione in commercio della Lowryder. Dietro alla sua ibridazione c’è un nome – o meglio uno pseudonimo – che per chiunque sia appassionato di cannabis è ammantato da un’aura quasi mitologica: Joint Doctor.

 

Prima di arrivare alla Lowryder – che nel tempo ha visto la proposta in commercio di diverse versioni – il breeder canadese, la cui figura è ancora oggi avvolta nel mistero, ha legato il suo nome a esperimenti fondamentali per quello che, successivamente, sarebbe stato il percorso di sviluppo verso le autofiorenti.

 

In questo novero è possibile includere quello legato alla Mexican Rudy. Ai tempi dei suoi studi universitari, infatti, colui che sarebbe diventato a breve uno dei breeder più famosi al mondo ricevette in dono da un amico alcuni semi. Il mittente del regalo era convinto che fossero frutto di un incrocio tra la Cannabis ruderalis e alcune varietà messicane.

 

Poco dopo essere stati piantati, i semi fiorirono a una velocità che lasciò letteralmente sbalorditi i due amici. Oggi come oggi, il cosiddetto esperimento della Mexican Rudy è considerato un case history molto interessante. Si tratta infatti del primo tentativo di sfruttare la potenza di fioritura della Cannabis ruderalis senza intervenire, con una riduzione, sul numero delle ore di luce.

 

Tornando alla Lowryder, vera e propria rivoluzione del mondo della cannabis, facciamo presente il suo essere stata al centro di diverse critiche dovute in particolare alla bassa potenza. Questo punto di vista cambiò a seguito del sopra menzionato lancio della Lowryder 2, varietà che, invece, fu accolta con grande favore dalla comunità internazionale dei breeder.

 

Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tantissima e, grazie ai progressi della botanica, le varietà autofiorenti sono state perfezionate fino ad arrivare ad avere caratteristiche di profumo e potenza affini a quelle delle regolari.


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