Suona invano l’allarme

Rimpianti, rammarico, delusione, indispettita recriminazione, pessimismo della ragione, ipocondriasi, avvisaglie di depressione e, sperando che si legga in orario non protetto, ‘rabbiosa incazzatura’, propositi di contestazione:  non pochi soggetti allevati a ‘pane e ideologia della sinistra’ (certo, ‘ideologia’ è parola tabù nel dizionario virtuale della new age progressista, ma assolutamente attuale e compatibile con chi s’identifica ancora nel manifesto della sinistra storica)  patiscono l’involuzione prima strisciante, poi sempre più  esplicita,  che ha espropriato l’ideologia e fallisce nel compensare la ‘vedovanza’ con surrogati ibridi, con il mix di ‘moderazione illuminata’ e regressione. In convinto disaccordo sulla disdicevole scenografia e sulle conseguenze negative per l’immagine di  Napoli del soggetto di ‘Gomorra’, furbo ammiccamento alla lettura nordista e mondiale della periferia della città, violenta al pari dei sobborghi suburbani di Parigi o New York, è però distanza, seppure con riserva,  dalla somministrazione di insulti velenosi all’analisi di Saviano sullo status del partito democratico, sicuramente sopra le righe, com’è nelle corde dello scrittore, spietata per accertata vocazione all’abituale enfasi del racconto e sicuramente discutibile a pochi giorni dalla tornata elettorale che gli analisti definiscono, piena di nebulose incognite per il Pd e i suoi mille problemi. La spietata requisitoria dell’esaltato autore del resumè di analisi e cronache quotidiane con oggetto l’immondo pianeta della camorra, esterna quanto da cervello e cuore dei dem è avvertito, in parte inutilmente, in minima misura in tutta la sua gravità, ma senza che la consapevolezza del devastante vulnus, sanabile solo con un progetto di revisionismo radicale, inevitabile prologo per riappropriarsi dell’ideologia. L’introspezione consentirebbe forse di liberarsi in discarica delle scorie inquinanti, non riciclabili, che hanno contagiato i dem, delle inseminazioni ben mascherate da equilibrismo tattico, sbilanciato in direzione dei moderati imbarcati sull’arca di Noè del dopo Pci, per un tentativo velleitario, quanto irrealista, di entrare in sintonia con modelli di riformismo propri di quest’era della globalizzazione. Paolo Mieli rimprovera a Saviano di non mostrare comprensione per i dirigenti del Pd, che “Pur ridotti ai minimi storici di consenso…sono riusciti a scalzare Salvini”. Azzardo imperfetto dell’analisi: è fin troppo noto che Salvini si è scalzato da sé con la ca…ta del Papeete. Mieli assolve i dem, partito minoritario, “costretto” a governare con il M5S. Il punto è però: chi ha la colpa se il Pd è precipitato a dimensione minoritaria?
Nella cronaca di Napoli del Corriere, Maffettone riprende il tema e si chiede se sia giusto (come a suo avviso ha fatto Saviano) sparare sulla Crocerossa, cioè infierire con il fuoco amico sul Pd a un passo dal voto per le regionali. La considerazione è sicuramente da condividere: il 20 e 21 un letale scacco inflitto dalla destra potrebbe far brillare una potente mina alle fondamenta della coalizione di governo e forse provocherebbe una crepa di imprevedibili dimensioni nell’edificio dei democratici, già traballante per il loro accertato vuoto programmatico e il rischio che il vuoto ideologico si complichi con il nulla di concretamente propositivo.
I partiti più o meno di sinistra, non solo in Italia, non si identificano quasi più con il ruolo di difensori dei bisogni popolari e l’averlo accantonato racconta il perché del successo anomalo di populisti, sovranisti, demagoghi da strapazzo, che traslano il malessere sociale nel suggestivo, facile, gratuito linguaggio dell’alternativa.

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