GIALLO CACCIA / LE ULTIME TESSERE DEL MOSAICO

A 36 anni dall’omicidio del procuratore capo di Torino Bruno Caccia mancano ancora alcuni importanti tasselli per ottenere verità e giustizia. In sostanza, c’è da far luce sui veri motivi che portarono a quel delitto eccellente e sui reali mandanti, ancora a volto coperto.

Fino ad oggi c’è una mezza verità, che ha visto la condanna in secondo grado del capoclan della ‘ndrangheta Domenico Belfiore, come mandante, e del panettiere Rocco Schirripa come esecutore materiale.

Pochi giorni fa, il 7 dicembre, l’ennesimo appello di familiari e legali perché sia fatta luce completa, in occasione di un incontro titolato “Le ultime tessere del mosaico” organizzato dall’associazione La Torre Mattarella di Novara.

Sottolinea Fabio Repici, l’avvocato della famiglia Caccia: “Alla verità ci dovrebbero pensare magistratura e forze dell’ordine, ci sono le istituzioni che hanno dei poteri e nella separazione dei poteri il potere giudiziario ha il compito di ricercare la verità e affermare la giustizia con la punizione dei colpevoli. Ma purtroppo non è così”.

Sottolinea la figlia, Paola Caccia: “Ci siamo affidati completamente alla giustizia, siamo una famiglia di magistrati, di notai, avevamo totale fiducia nella giustizia, non ci siamo interessati alle indagini. Dopo tanti anni, dopo il primo processo ci siamo accorti che non era stato fatto tutto quello che doveva essere fatto”.

Il penalista Fabio Repici. Sopra, il delitto Caccia

I familiari si accorsero, infatti, di alcuni fatti anomali, come ad esempio la scomparsa delle chiavi dalle tasche del magistrato ucciso, chiavi che aprivano la cassaforte del suo ufficio; oppure la scomparsa di negativi scattati dal vicino di casa che riprendevano un individuo sconosciuto che osservava sempre la loro abitazione.

Si tratta solo di alcuni elementi che, insieme all’implicazione dei servizi segreti e della mafia nelle indagini processuali e alle inerzie di alcuni magistrati torinesi e milanesi, hanno lasciato il caso Caccia ancora con tanti interrogativi aperti.

Il procuratore Caccia, in particolare, aveva puntato i riflettori sui riciclaggi (già allora!) che vedevano al centro le attività di alcuni casinò, in particolare quello di Saint Vincent. Un’inchiesta bollente, che già allora vedeva in prima fila (nel generale silenzio mediatico) le prime ‘ndrine impegnate nei lavaggi di danari sporchi. Anche un altro magistrato, Giovanni Selis, che indagava su quelle piste, morì in circostanze misteriose.

E proprio in questi giorni i maxi riciclaggi della ‘ndrangheta in Italia e in mezza Europa sono alla ribalta delle cronache. E Torino torna ad essere un epicentro.

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