YARA / NUOVI TEST DEL DNA PER LA DIFESA DI BOSSETTI

Nuovi test sul Dnache potrebbero portare ad una revisione del processo. E’ quanto chiedono ed auspicano i legali di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva per l’omicidio di Yara Gambirasio avvenuto l’11 febbraio 2011.

Gli avvocati Claudio Salvagni e Mauro Camporini, infatti, sono riusciti ad ottenere dalla Corte d’Assise di Bergamo un risultato significativo: poter avere accesso a tutti i reperti e i materiali del processo, tra cui slip, legins, scarpe, giubbotto della ragazza; ed anche i campioni rimasti di tracce genetiche.

Alla difesa non era mai stato concesso tutto ciò, una evidente anomalia per poter condurre in modo adeguato le indagini difensive.

I campioni di Dna sono tuttora conservati presso l’ospedale San Raffaele di Milano.

L’attività difensiva, così, avrà il modo di agire a 360 gradi, senza i limiti fino ad oggi incontrati, cercando di sciogliere le “diverse anomalie” – come viene sottolineato nell’istanza presentata dai difensori di Bossetti – emerse nel processo, proprio a partire dalla traccia genetica, da sempre cuore del dibattimento.

Una traccia mista, forse sangue, di Yara e Ignoto 1, in cui il Dnanucleare combacia con quello di Bossetti, ma non il Dna mitocondriale (che indica la linea materna).

E’ solo il Dna nucleare, secondo l’attuale normativa, ad avere valore probatorio.

Sostengono Salvagni e Camporini: “Quel Dna non è suo, ha talmente tante criticità, ben 261, che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori”.

Claudio Salvagni. Sopra Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Con l’impiego di nuove tecniche per l’analisi del Dna – sono convinti i legali – “è fondamentalmente possibile effettuare ulteriori prelievi, da cui si può non solo verificare quanto già emerso, ma ricavare ulteriori informazioni potenzialmente utili anche ai fini investigativi e di ricerca di caratteristiche peculiari come l’originale ancestrale e il fenotipo di Dna ignoti”.

I nuovi esami che la difesa chiederà di fare con un incidente probatorio, quindi alla presenza dei consulenti di tutte le parti, potrebbe dare una risposta ‘scientificamente sostenibile’ ai dubbi dei difensori. I quali sperano di ottenere sulla traccia biologica “un’indagine più completa ed attendibile” da cui poter partire per chiedere la riapertura del caso.

Non solo tante anomalie nei test sul Dna fino ad oggi effettuati. Ma anche scarse, praticamente zero indagini sulle altre piste possibili. In particolare una, mai battuta – incredibile ma vero – dagli inquirenti: la camorra nei cantieri di costruzione in Lombardia.

Tutto sanno che da anni la malavita organizzata si è pesantemente infiltrata in tutto il centro nord Italia. E nel mirino anche i cantieri del milanese.

Come mai nessuno ha pensato mai di indagare in tale direzione? Visto che i “segnali” c’erano tutti. Il padre di Yara, infatti, lavorava in una piccola ditta di costruzioni, la quale era entrata in contatto con imprese campane non proprio adamantine.

Perchè neanche una lampadina accesa su quel sottobosco criminale, nel quale minacce e intimidazioni (fino anche a criminali gesti estremi) non sono certo infrequenti?

Ma questa è tutta un’altra storia, che solo chi è cieco può non aver visto e non vedere.


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