11 SETTEMBRE / PARLA UN TERRORISTA CHIUSO A GUANTANAMO?

Sta meditando, ci sta pensando su con gran ponderatezza. Si tratta del terrorista pakistano Khalid Sheikh Mohammed, considerato una delle “menti” che hanno organizzato l’attacco dell’11 settembre alle Twin Towers.

Secondo le news, i suoi legali hanno inoltrato una nota alla Corte distrettuale di Manhattan in cui viene manifestata la volontà di confessare e dichiararsi colpevole, pur di non essere condannato alla pena di morte.

Una “maturazione” parecchio lunga, visto che questa stessa decisione era stata già presa 11 anni fa, quando nel 2008 i legali presentarono al giudice un’analoga istanza.

Sorge spontanea la domanda: come mai è trascorso inutilmente tanto tempo? Un ripensamento o cosa?

Khalid Sheikh Mohammed venne arrestato nel 2003 a Rawalpindi, poi trasferito nel supercarcere di Guantanamo. Dove è stato sottoposto, per la bellezza di 183 volte, ad una delle peggiori forme di tortura: il cosiddetto “waterbording”, che solitamente si vede nei film di guerra e spionaggio, un panno in faccia e litri d’acqua fino quasi al soffocamento.

Ferdinando Imposimato

Ma cosa dovrebbe rivelare il terrorista? Accusare l’Arabia Saudita di essere il “mandate” e organizzatore dell’attentato alle Torri gemelle. Tutto ciò rientra anche in un processo intentato dai parenti delle vittime che ancora cercano disperatamente una verità ufficiale.

Per la verità Barack Obama decise già anni fa la desecretazione di alcuni importanti documenti dell’intelligence, da cui saltarono fuori in modo palese quelle responsabilità, sempre negate dall’Arabia Saudita, che all’epoca dei fatti era – come è ancora oggi – uno stretto alleato degli americani.

Ma gli Usa temono la confessione del terrorista. Perché nel corso del processo potrebbe emergere non solo il ruolo dell’Arabia Saudita, ma anche quello degli Stati Uniti e dell’amministrazione Bush.

Proprio come ha dimostrato, carte e documenti alla mano, Giulietto Chiesa in un esplosivo libro e Ferdinando Imposimato in uno studio che gli venne commissionato, dieci anni fa, dal Tribunale dell’Aja per i crimini di guerra.

E allora emergeva con grande chiarezza la figura di un altro terrorista, Mohammed Atta, principale organizzatore dell’attentato ma – attenzione – uomo eterodiretto dalla Cia. L’intelligence a stelle e strisce, infatti, ne ha seguito passo passo tutti gli spostamenti tra l’Europa e gli States, e all’interno degli stessi Usa, per oltre un anno. Era libero di volare da un aeroporto all’altro, Atta, e perfino di frequentare una scuola di addestramento al volo. Movimenti ben noti alla Cia e all’Fbi, che avevano avuto modo più volte di allertare i vertici della Casa Bianca.

Ma come mai procure e tribunali americani non hanno mai voluto approfondire quella pista? Come del resto i rapporti tra la famiglia Bush e quella dei bin Laden?

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