Profumo di libertà al Caffè dei Giornalisti 

Non organizzano festival oceanici, rassegne abbuffate di vip con paparazzi al seguito, o feste di piazza con “grandi firme” a pontificare sul podio. Ma, soprattutto, non fanno del vittimismo la loro cifra prevalente. Piuttosto, accompagnano con un’informazione puntuale, seria e rigorosa, la decadenza in atto della carta stampata e dei media in generale, mentre il ruolo dei giornalisti, minacciati o no, in Italia si fa sempre più umile, marginale, pezzente.

Parliamo di quel Caffè dei Giornalisti diventato il vero cane da guardia in difesa del giornalismo italiano e della sua dignità, contro i poteri forti che lo hanno messo nell’angolo.

Non a caso il numero online di oggi si apre con un ampio reportage sulla Global Conference for Media Freedom, un summit sul termometro della libertà di stampa, che si è appena chiuso a Londra con oltre mille ospiti provenienti da diverse parti del mondo. Condotto da Chrystia Freeland, ministro degli Esteri canadese, e Jeremy Hunt, ministro degli esteri britannico, il vertice ha avuto lo scopo di “promuovere la libertà dei media e un ambiente più sicuro per i giornalisti”.

In apertura il Global Conference for Media Freedom di Londra

«La conferenza, parte di una campagna internazionale per accendere una luce sulla libertà dei media e contrastare chi cerca di limitarla – si legge nel dettagliato articolo firmato da Bianca La Placa – si è strutturata attorno a quattro temi: protezione; legislazione; costruzione della fiducia nei media e contrasto alla disinformazione; sostenibilità. Si è discusso così di politiche per lo sviluppo dei media in varie parti del mondo, di come garantire sicurezza e protezione ai giornalisti e di come combattere la disinformazione. Il tutto in chiave globale, dall’Europa orientale all’Asia centrale; dagli Stati Uniti ai Balcani all’Africa».

Iniziative più che benemerite, specie se si considera che Gran Bretagna e Canada hanno annunciato l’istituzione di un fondo per il supporto legale ai giornalisti in alcuni dei punti caldi del mondo, versando rispettivamente 3,8 milioni di dollari e 765.000 dollari, somme che saranno gestite dall’Unesco.

 

ITALIA, IL BAVAGLIO GIUDIZIARIO

Resta l’amarezza per la mancata rappresentazione, al summit di Londra, della palude giudiziaria in cui versa il giornalismo italiano. Non è evidentemente colpa né degli organizzatori, né tanto meno del Caffè dei Giornalisti che, anzi, è stato l’unico organo d’informazione a far circolare queste importanti notizie.

E’ auspicabile però che la prossima volta, invece di gemere su vere o presunte minacce dei mafiosi – che generalmente se ne fanno un baffo dei giornalisti, avendo ormai in pugno il controllo economico, politico e giudiziario di segmenti nevralgici del Paese, come dimostrano recenti inchieste della stessa magistratura – la stampa italiana vada a questi vertici con una rappresentanza compatta. Giornalisti ancora capaci di dimostrare che l’Italia, sentenze alla mano, è l’unico Paese del mondo (Africa e Medio Oriente compresi) in cui basta una citazione civile, anche se paradossale, infondata e palesemente pretestuosa, a stroncare per sempre la carriera e la vita di un giornalista. Non c’è alcun bisogno di uccidere o minacciare. Una bella citazione in sede civile. O una ricca provvisionale (provvisoriamente esecutiva, cash) graziosamente concessa dall’amico giudice alla “parte offesa”: lui, il mandante, il responsabile delle trame che erano state documentate dal giornalista.

Storie vere. E di sentenze così ce ne sono tante. Quante ne volete.

Grazie allora al Caffè dei Giornalisti, testata giornalistica fondata a Torino nel 2012 sul modello della Maison des journalistes d’Oltralpe, in collaborazione con l’ateneo del capoluogo piemontese. Grazie perché promuove iniziative pubbliche sulla libertà di espressione e il rispetto dei diritti civili, e perché organizza ogni anno “Voci scomode”, un appuntamento dedicato alla libertà di stampa nel mondo. Dove, ne siamo certi, in una prossima edizione potranno trovare “voce” anche i tanti giornalisti italiani di razza ridotti in schiavitù da ingiuste sentenze ed oggi, dopo aver sfidato a viso aperto le camorre, costretti a mendicare un posto di commesso in merceria.

 

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