BIGOTTI & ROMEO / LE ULTIME ACROBAZIE DEI DUE RIVALI PER GLI APPALTI CONSIP

Bufera giudiziaria su protagonisti e interpreti dello scandalo sulle sentenze taroccate al Consiglio di Stato. Nella intricata story fa capolino anche la vicenda del tentato depistaggio a proposito delle maxi inchieste della magistratura milanese sull’ENI per corruzione internazionale.

Di tutto e di più nel filone siciliano d’inchiesta che ha appena portato agli arresti domiciliari per un pezzo da novanta nel settore degli appalti ottenuti dalla pubblica amministrazione, Consip in testa, ossia Ezio Bigotti, il gran rivale (si fa per dire nelle logiche spartitorie) dell’immobiliarista aversano Alfredo Romeo, primattore nel caso Consip e abilissimo nel districarsi tra i meandri della giustizia amministrativa, facendo man bassa di sentenze favorevoli al Consiglio di Stato.

Procediamo con ordine in questa giungla giudiziaria e d’appalti.

AMARA SICILIANO

Uomo centrale in tutta la vicenda è l’avvocato siciliano Piero Amara, con il braccio destro del suo studio legale, Giuseppe Calafiore. I due grandi clienti dello studio sono l’ENI e la STI del gruppo Bigotti.

Piero Amara. Sopra Alfredo Romeo e a destra Ezio Bigotti

Sul primo fronte Amara ha cercato di condurre in porto un’operazione spericolata: depistare le inchieste da anni in corso alla procura di Milano sulle maxi tangenti Eni per gli appalti in Algeria e Nigeria, con un pesantissimo capo di imputazione (così come per lo scandalo Petrobras in Brasile): corruzione internazionale e vertici sotto i riflettori, Paolo Scaroni e l’attuale presidente Claudio Descalzi.

A questo punto Amara parte all’attacco. S’inventa un complotto internazionale messo su da un gruppo straniero per destabilizzare Eni. Complice nel progetto – secondo l’accusa dei pm della Procura di Messina – un ex tecnico petrolifero del Cane a sei zampe, Massimo Gaboardi, appena arrestato a Milano.

Amara tessa le sua tela, nelle cui maglie cerca d’infilare due ex consiglieri d’amministrazione “scomodi”  in seno all’Eni, Luigi Zingales e Karina Litvack. Pensa di poter prendere, in questo modo, due piccioni con una fava: picconare le inchieste dei pm milanesi sulle maxi tangenti africane del nostro colosso petrolifero e minare la credibilità dei due membri “pericolosi” del cda.

E’ ottimo amico di alcune toghe eccellenti, l’avvocato Amara, come ad esempio l’ex sostituto procuratore Giancarlo Longo, al quale elargisce viaggi e soggiorni nei 6 stelle del Dubai. La prassi più gettonata, comunque, è quella delle bustarelle da 5 mila euro. Ha anche l’abilità di un prestigiatore, Amara, perché riesce spesso ad infilare memorie taroccate nei fascicoli giudiziari. Un vero principe del foro.

Passando al patrocinio di Ezio Bigotti, l’avvocato Amara riesce a truccare altre carte, quelle bollenti e relative ad una pesantissima verifica fiscale a carico della STI, la corazzata di casa Bigotti sul fronte degli appalti pubblici, soprattutto targati Consip.

Nel filone romano d’inchiesta che proprio nei giorni scorsi ha fatto registrare una svolta, Amara e Calafiore hanno patteggiato.

Mentre è andata molto male a Messina, dove sono proseguite le indagini dei pm sotto la supervisione del procuratore capo Maurizio de Lucia e il 22 febbraio sono scattati i provvedimenti restrittivi firmati dal gip Maria Militello.

Da rammentare che circa un anno fa gli arresti sono stati 13, tutti di appartenenti al cosiddetto “comitato d’affari” ruotante intorno ad Amara, finalizzato soprattutto ad interferire sull’attività dei pm milanesi.

Il magistrato Giancarlo Longo

Cinque anni fa la Voce realizzò una grossa inchiesta sui giri di sentenze al Consiglio di Stato, titolata “Romeo e il buon Consiglio”: si partiva da una “storica” sentenza su un appalto da 44 milioni di euro per la gestione del patrimonio immobiliare dell’Inps. In quel caso il Consiglio di Stato si rese protagonista di un vero ribaltone. Appalto revocato a chi lo aveva vinto ed automaticamente riassegnato al secondo arrivato, la Romeo Gestioni.

Di un paio d’anni fa un’altra grossa inchiesta dedicata al “rivale” Ezio Bigotti e ai suoi santi in paradiso.

Le potete leggere cliccando sui link in basso.

Ma ora passiamo alle ultime news in arrivo dalla procura di Napoli sul fronte Romeo.

 

APPALTI AL CARDARELLI TARGATI ROMEO

Altre grane Alfredo Romeo e il neo commissario straordinario dell’Asl 1 di Napoli, la più grande del Mezzogiorno, Ciro Verdoliva.

La procura partenopea, infatti, ha appena chiuso con 55 indagati a vario titolo l’inchiesta circa i rapporti tra Romeo e le amministrazioni pubbliche. A questo punto rischiano il processo, tra gli altri, Verdoliva, l’ex governatore della Campania Stefano Caldoro, il portavoce di Romeo ed ex braccio destro di Gianfranco Fini per Alleanza Nazionale Italo Bocchino, l’ex dirigente del Comune di Napoli e portavoce del sindaco Giovanni Annunziata; e tra le società, la Romeo Gestioni, ammiraglia del gruppo.

Spiegano in procura: “si tratta del fascicolo madre di quello che a dicembre 2016 avrebbe poi originato il caso Consip, trasferito per competenza a Roma”.

Dopo la notifica, i legali delle difese avranno 20 giorni di tempo per presentare memorie, chiedere interrogatori oppure supplementi di indagine.

Ciro Verdoliva

Notano alcuni avvocati: “per alcuni degli episodi citati nel filone appena concluso dalla Procura di Napoli, Romeo è già a giudizio con rito immediato per frode in pubbliche forniture e sette episodi di corruzione. Adesso i pm hanno firmato nei confronti di Romeo l’avviso per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione, ipotesi configurata in concorso con alcuni collaboratori delle sue aziende e con Bocchino”, il quale ha percepito negli anni di “consulenza” circa 10 mila euro al mese, come emerso dai documenti del caso Consip.

Dal canto suo il fresco capo Asl Verdoliva è indagato per due ipotesi di corruzione, concernenti lavori chiesti ad una ditta subappaltatrice del Cardarelli e, soprattutto, una presunta frode in pubblica fornitura per un appalto di pulizie al Cardarelli aggiudicato ad un’azienda griffata Romeo.

Fu proprio questa commessa a far accendere i riflettori su quello che poi si è trasformato in un caso nazionale, quello Consip.

Le forniture ospedaliere ed in particolare gli appalti per le pulizie sono da oltre trent’anni nel mirino di aziende quanto mai disinvolte. Negli anni ’80-’90 c’è stato il boom di appalti facili vinti da sigle in forte odore di camorra.

Ecco cosa raccontano alle fiamme gialle: “le pulizie sono state il primo canale di infiltrazione della camorra nei pubblici servizi. Poi sono seguiti i servizi di refezione, ossia le mense, e quelli di lavanderia. Senza contare che tanti esami anche complessi, come le risonanze magnetiche, per anni sono stati affidati a sigle di riferimento dei clan in vena di riciclaggi e diversificazioni”.

 

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