L’universo dell’impossibile

Un pianeta compatto, definitivamente assestato, cioè asismico, ogni lembo di terra immerso in acque tiepide, a temperatura costante, colline più che montagne, identica fertilità a nord, sud, est e ovest, pioggia quanto basta a irrigare campi ubertosi, non una goccia di più, cieli azzurri all’infinito, illuminati da un astro dotato di climatizzatore, regolato per tepore terrestre costante di 22 gradi e mezzo, notte e giorno; una sola stagione, la primavera, priva di erba parietaria allergizzante, alberature autoalimentate di tremila frutti multivitaminici per quattro raccolti all’anno, epidermide di uomini e donne ricche di melanina, muscolatura, agilità, prestanza da watussi in piena e duratura salute; libera e moderata prolificità sessuale, fisiologicamente predisposta a tenere costante il rapporto nascite-morti, eros universalmente innato in ogni creatura; cosmo sotto il sapiente controllo di intelligenze artificiali superdotate di saggezza, generosità, altruismo, creatività, ipertrofia funzionale dell’emisfero celebrale destro, dove ha sede il sistema immunitario, antagonista di ogni malanno, piccolo o grave che sia; grappoli d’uva iridata da cui trarre un elisir anti invecchiamento psicofisico. Eccetera, eccetera. Sicché, venire alla luce nell’emisfero australe, piuttosto che in un artico de-iceberghizzato garantirebbe assoluta parità di benessere fisico e psicologico all’intero genere umano.

Con un gran soffio cosmico darei vita così alla terra, certo se fossi onnisciente, onnipotente, onniprevidente, onni…onni… come in tanti immaginano un’entità che sta chissà dove e chissà perché così devoto al dogma del libero arbitrio da consentire sofferenze, cattiverie, violenze, aggressività, egoismi.

Capisco l’obiezione: sai che noia se tutto fosse perfettamente egualitario: monotonia, nessuno empito individuale, livellamento, seppure a sommi livelli. Contesto. All’anarchia umana dell’ognuno per sé, specialmente di chi si appropria con mezzi leciti e non del potere politico ed economico, nel progetto universale di eguaglianza non si farebbe mancare l’imponderabile di potenzialità ben distinte e i tali da mettere ogni uomo e ogni donna di questa galassia immaginaria in felice competizione: intelligenze, creatività, fantasia per rendere la Terra molto simile al leggendario Eden, ma senza serpenti tentatori e mele del peccato.

Sogno o futile fantasia? Purtroppo sì, l’uno e l’altro, ma lo smarrirsi in visioni di mondi irreali ha una sua ragione nella drammatica casualità del nascere, su questa Terra, in Ruanda o Finlandia, Bangladesh o Emirati Arabi, e in Italia a Nord. Sud e a Napoli, a Scampia o a Posillipo.

La casualità: l’orizzonte di Gennarino è un loculo malandato nella prigione blindata di una delle “Vele”, che a Parigi hanno dignità di lussuose residenze sulla sponda destra della Senna e a Napoli sono paradigma di ghetto suburbano, di periferia emarginata. O il suo contrario, un rampollo di famiglia “bene” di Posillipo, quartiere napoletano che Napoli non è, perché omologo di ogni altra enclave urbana dove si respirano cultura, benessere, opulenza. Oppure Matunde che scommette con la vita e la morte in un lembo di terra africana spaccata da eterna siccità, dove per un germe che infetta e uccide non c’è antidoto, dove il seno della madre non una goccia di latte.

Gertrude, un passato di nobiltà nelle vene blu, concede benevola confidenza alla badante di origine sarda: “Vedi Geppina, non è vero che un ambiente difficile impedisce ai ragazzi di farsi strada nella vita. Ascolta: un pastorello sardo, privo di istruzione, capace a a stento di leggere, governava in montagna un gregge di pecore. Il vento ha spinto fino a lui il foglio di un giornale. Il pastorello ha imparato a leggerlo, a capire il senso delle parole, ha voluto saperne di più. Con i pochi risparmi di cui disponeva ha comparto libri. Sai chi è adesso? Un docente universitario di letteratura italiana. Vedi, allora si può”.

Canta Morandi “Uno su mille ce la fa”. La previsione è largamente ottimistica, estranea alla realtà e il “miracolo” del pastorello sardo è una bella storia raccontata per liberare la coscienza da “fastidiosi sensi di colpa”.


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