“NO” AL REFERENDUM / I PERCHE’ DI ANTONIO ESPOSITO,  STORICO PRESIDENTE DI CASSAZIONE

La Voce, con le sue poche forze, decide di dar “voce” alle ragioni del NO in vista del referendum di novembre. E di contribuire ad una maggior conoscenza dei motivi, vista la disparità delle forze economiche in campo e l’oscuramento mediatico che nei fatti nega ai cittadini un preciso diritto all’informazione. Di seguito l’intervento di una “voce” storica della Cassazione, quella di Antonio Esposito, per anni presidente della seconda sezione penale, che ha posto il suo sigillo su una enorme quantità di sentenze in materia di contrasto alle mafie e alla corruzione. Esposito è intervenuto il 20 luglio, alla sala stampa del Senato, alla conferenza stampa indetta da “Il NO per l’Alternativa” per illustrare le ragioni del NO. 

Il magistrato Antonio Esposito

Il magistrato Antonio Esposito

Oliviero Toscani, nell’intervista rilasciata al “Fatto Quotidiano” del 26 gennaio 2016, ha detto: “La principale difficoltà per quelli del no sarà ribattere spiegando cosa vogliono, quali sono le loro ragioni. Ne hanno, ma sono complicate da spiegare”; ha poi aggiunto che sarà necessaria una buona campagna di comunicazione che avverrà “con i mezzi ordinari, come la TV e molto dipenderà dalle risorse a disposizione”. Toscani ha posto, in sostanza, due problemi per i sostenitori del no: la difficoltà di spiegare le loro ragioni e la disponibilità di mezzi di informazione.

Quanto al primo problema, non credo che le ragioni del “no” siano complicate da spiegare. Occorre fare una premessa: con la sentenza numero 1 del 2014, la Corte Costituzionale – nel dichiarare l’incostituzionalità della legge elettorale in virtù del quale la XVII legislatura era stata costituita – consentì alle Camere di continuare ad operare in forza del “principio di continuità dello Stato”; era chiaro l’invito al Parlamento (e al Capo dello Stato) di approvare, in tempi molto brevi, una nuova legge elettorale che eliminasse i vizi di incostituzionalità della precedente e, subito dopo, di sciogliere le Camere e indire nuove elezioni. Tutto ciò non è avvenuto per volontà dell’allora Presidente della Repubblica (che non è certo da annoverare tra i migliori Capi di Stato italiani), e del Governo Renzi, e di qui l’evidente azzardo istituzionale di iniziare – nonostante la sentenza di incostituzionalità del “Porcellum” – una revisione costituzionale di ampia portata da parte di un Parlamento politicamente e giuridicamente delegittimato da una dichiarazione di incostituzionalità di una legge in virtù della quale quei parlamentari erano stati non “eletti” ma “nominati”. La riforma Renzi/Boschi – attraverso gli attuali legislatori costituzionali delegittimati e privi di credenziali – stravolge radicalmente l’impianto della Costituzione del 1948 – basata sui fondamentali principi della partecipazione democratica, della rappresentanza politica e dell’equilibrio tra i poteri – perché essa, concentrando il potere nell’esecutivo e riducendo la partecipazione democratica – incide indiscutibilmente sulla sovranità popolare, sulla rappresentanza, sul diritto di voto.

Matteo Renzi

Matteo Renzi

Ed, invero, la cancellazione della elezione diretta dei senatori, la drastica riduzione dei componenti – lasciando inalterato il numero (enorme) dei deputati – la composizione fondata su mediocri politici selezionati per la titolarità di un diverso mandato (si tratta di una classe politica – nella specie: i consiglieri regionali – di bassa qualità e inquisiti, da nord a sud della penisola, per abuso e sperpero di pubblico denaro), incidono in maniera grave ed irrimediabile sul principio della rappresentanza politica e sugli equilibri del sistema istituzionale.

Il disegno di legge costituzionale di riforma della Parte II della Costituzione è, quindi, inaccettabile sia per il metodo che per i contenuti, e lo è ancor più in quanto strettamente e funzionalmente connessa con la legge elettorale recentemente approvata (la numero 52 del 2015); con l’“Italicum” vi è una completa sinergia che aggiunge, all’azzeramento della rappresentatività del Senato, l’indebolimento, non indifferente, della rappresentatività della Camera dei deputati mediante il meccanismo dei capilista bloccati, delle multi candidature, del premio di maggioranza alla lista e del ballottaggio. In sostanza, le modifiche della Costituzione e l’approvazione della legge elettorale (oltre quelle sulla scuola, sul lavoro, sulla P.A. e sulla RAI)  sono contrassegnate inequivocabilmente da un disegno che concentra il potere nelle mani dell’esecutivo e del leader, riduce notevolmente il ruolo dei contrappesi istituzionali, rende sostanzialmente inefficace la rappresentanza politica, tenta di imbavagliare il dissenso e di imporre al Paese le decisioni del Governo.

Solo abrogando l’Italicum e non confermando la riforma costituzionale sarà possibile ristabilire il diritto degli elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento e ripristinare l’uguaglianza degli elettori nell’esercizio del diritto di voto, come prescrive l’articolo 48 della Costituzione. Non vi è dubbio che le due campagne referendarie debbano marciare unite nel comune intento di far comprendere l’intreccio perverso ed inscindibile tra riforma della Costituzione e legge elettorale (Italicum) finalizzate entrambe a ribaltare il fondamento parlamentare della nostra Repubblica per collocare al centro decisionale il governo, consentendo ad una minoranza di elettori di conquistare la maggioranza della Camera, unica rilevante a fronte di un Senato, ridotto ad una specie di dopolavoro di sindaci e di consiglieri regionali, e per questa via imponendo scelte istituzionali e politiche in materie di grande delicatezza ed importanza: dall’elezione del Presidente della Repubblica fino alle decisioni in materia di impegno militare, o addirittura di guerra, del nostro Paese.

Non appare, allora, difficile spiegare ai cittadini che quello a cui saremo chiamati è un referendum sui “valori” della Repubblica, sulla democrazia costituzionale, e non certo sul Governo o sulla sorte di un capo politico. È, pertanto, un “espediente truffaldino” – come ha posto in rilievo Alessandro Pace all’Assemblea del comitato per il no dell’11 gennaio 2016 – che il Governo si faccia promotore del referendum, come già anticipato da Renzi, al fine di distorcerne il senso e le finalità “oppositive” per trasformarlo in un plebiscito in favore del Governo. Questa mistificazione va decisamente respinta.

Il presunto rottamatore ha tentato, negli ultimi giorni, una ennesima giravolta: “nessuno dice qual è la domanda del referendum, ma lo si trasforma in un derby personale” (Il Fatto Quotidiano”, 10 luglio). Forse deve avere avuto una amnesia poiché si è “dimenticato” che a trasformare il referendum in un irresponsabile plebiscito sulla sua persona è stato proprio lo stesso Renzi che, tra l’altro, ha paventato, in caso di vittoria del “no”, la caduta del governo, lo scioglimento del parlamento (come se dipendesse da lui), e “la fine del mondo”. Ha ripetuto demagogicamente – invitando i cittadini ad una mobilitazione che egli vorrebbe “gigantesca” – “tutti devono avere la consapevolezza che in Italia non è in ballo il destino di un singolo ma di una comunità”. Il “gioco” del premier – che della disinformazione  ha fatto una prerogativa della sua azione politica – è stato così pesante e scorretto che l’autorevole giornale tedesco  “Frankfurter  Allgemeine Zeitung” (FAZ) ha pubblicato un articolo dal significativo titolo: “Renzi o il caos”. Nel confermare di voler lasciare in caso di sconfitta, lo “statista” di Rignano, che vive per “cambiare l’Italia”, ha aggiunto:  “È un modo di essere seri, io non sono come gli altri, come quelli che si aggrappano alla poltrona; con le riforme si dà stabilità all’Italia, se perdo con quale faccia posso continuare a fare il mio lavoro per cambiare l’Italia? Non saremo mai quelli degli inciuci” (“Il Corriere della Sera”, 21 maggio). Pochi hanno creduto all’effettivo abbandono della politica da parte del giovane Renzi anche perché, in tal caso, si sarebbe posto il grave problema di iniziare a trovare un lavoro (non politico). Del resto, come non ricordare che l’allora giovanissimo rottamatore firmò, nel 2006, l’appello degli amministratori toscani contro la riforma costituzionale del centrodestra che elencava “10 ragioni per votare no” al referendum costituzionale di quell’anno tra cui l’accentramento dei poteri del premier e l’alto numero di articoli della Costituzione: “ben 53”. Si dà il caso che l’attuale riforma modifica “ben 47 articoli” e che il progetto di accentramento nell’esecutivo dei poteri decisionali costituisca una parte essenziale di essa.

Venendo alla seconda affermazione di Toscani, circa la campagna di comunicazione, va detto che era facilmente prevedibile che i sostenitori del no si sarebbero trovati in grave svantaggio poiché gran parte della stampa e della TV è asservita al Governo che, molto impropriamente, si è ingerito in una vicenda che attiene esclusivamente al rapporto parlamento/popolo, addirittura personalizzando la riforma costituzionale nella figura del Presidente del Consiglio, nella sorte del Governo e del Parlamento.

Le ragioni del “no”, infatti, sono praticamente rimaste clandestine sulle reti del servizio pubblico televisivo, mentre i sostenitori del “si” hanno imperversato su tali reti. In particolare, sia la costituzionalista Boschi – che ha diffuso il suo verbo anche nei luoghi destinati alla cultura, sia, soprattutto, il presunto “rottamatore” Renzi hanno presidiato la TV con una serie infinita di esternazioni, o meglio di “disinformazioni”.

Ha ripetuto di continuo Renzi: a) “noi abbiamo ridotto i politici di un terzo” (voleva dire i parlamentari), e ciò non è vero perché la riduzione dei parlamentari è, invece, appena di un quinto; b) che “c’è troppa gente che fa politica” e “se vinceranno i no vorrà dire che molti italiani amano tantissimo i politici, hanno a cuore i loro stipendi”. Questo (pseudo) rottamatore non ha però spiegato ai cittadini – la gran parte dei quali, a differenza di quanto egli afferma, non ama affatto i politici – perché, se c’è “troppa gente che fa politica”, non ha ridotto l’enorme numero di deputati (con i relativi stipendi), che potevano essere portati da 630 alla metà, sia per adeguare il numero a quello dei Paesi europei sia per mitigare la ingiustificata sproporzione tra deputati e senatori prevista dalla riforma che assegna tutto il potere decisionale ai primi e, quindi, al partito di maggioranza e, quindi ancora, a chi detiene, allo stato, entrambe le cariche di premier e di segretario del partito; c) ha, ancora, affermato che la riforma taglia i costi della politica. Anche questo non è vero perché restano in piedi le spese, non indifferenti, di funzionamento del Senato e vi è da corrispondere indennità e rimborsi spese a cento senatori provenienti da tutta Italia e che devono pernottare, per alcuni giorni a settimana, in costosi alberghi a 4 o 5 stelle, per cui può dirsi, senza tema di smentita, che i costi del nuovo Senato o rimarranno pressoché invariati ovvero con una riduzione di spesa non superiore al 9%.

Una manifestazione per il NO

Una manifestazione per il NO

L’assordante silenzio tenuto dalla TV del servizio pubblico e la costante disinformazione, posta scientificamente in atto, hanno, in buona parte, determinato l’effetto che il comitato del “no” non ha raggiunto le 500.000 firme che sarebbe stato un importante segnale politico di forte mobilitazione da parte dei cittadini. Poi, con le firme, il comitato del “no” avrebbe percepito un rimborso elettorale di 500.000,00 euro con cui finanziare la campagna referendaria. Inoltre, avrebbe ottenutolo “status” di soggetto politico, equiparato a quello dei partiti e questo avrebbe garantito il diritto di tribuna televisiva durante il periodo della par condicio. Infine, senza firme, non si ha diritto nemmeno agli spazi pubblici per i manifesti.

In conclusione: la verità è che una ristretta cerchia di persone – tanto impreparata quanto politicamente spregiudicata e che si riconosce in un capo che pretende cieca obbedienza – sta tentando di impadronirsi di tutte le leve di comando del Paese fidando sulla ignavia, sul trasformismo e sull’opportunismo di molti, e su una buona parte della stampa sempre “accondiscendente” con il “sovrano”. È in atto un tentativo, non solo di ratificare una riforma pericolosa per la democrazia, ma di ottenere impropriamente un plebiscito finalizzato a rafforzare le altrettanto pericolose mire espansionistiche di un premier (mai eletto), divorato da un’ambizione senza limiti. È, dunque, nell’interesse superiore della Nazione che ciò non abbia a verificarsi: votare “NO” diventa, quindi, un imperativo categorico.

È indispensabile, quindi, una mobilitazione generale che si estenda a tutto il territorio nazionale con manifestazioni, riunioni, incontri, convegni, dibattiti nei quali si spieghi che è in atto un disegno autoritario diretto a concentrare nelle mani dell’esecutivo – e segnatamente nel capo del Governo e di un gruppo di oligarchi da lui designati – tutto il potere decisionale. E si ricordi ai cittadini  quanto siano attuali e valide le considerazioni di Raniero La Valle in occasione della “riforma Berlusconi” del 2005: “Cadute le linee di difesa del patto costituzionale, il popolo ora rimane l’ultimo depositario della legittimità costituzionale e l’ultima risorsa, l’ultima istanza in grado di salvare la democrazia rappresentativa nel nostro Paese”.

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