16 settembre. Altra tappa, alla Camera, per il disegno di legge delega sul codice penale. Pensate sia finalmente l’ora della galera per i mega evasori fiscali che – col placet politico – continuano tranquillamente a non pagare le tasse e a ridurre sul lastrico disoccupati esodati, pensionati e masse crescenti di cittadini? Macchè. E’ venuto il momento di “una stretta” su scippatori, borseggiatori e ladri d’appartamento. Come dire: galera più facile per chi ruba 50 euro, neanche l’ombra di una sbarra per chi sottrae allo Stato – e quindi a tutti – milioni. Alleluia.
Ma un piccolo sforzo, lorsignori, lo fanno. Ed ecco apparire all’orizzonte un giro di vite anche per il “voto di scambio politico mafioso”, ossia la compravendita di voti, i voti che le mafie assicurano in cambio di soldi. Le pene previste passano da 4-10 anni a 6-12 anni, un piccolo passo in avanti. Riuscirà a interrompere i flussi di voti mafiosi in vista delle elezioni? C’è da pensare che l’aumento (teorico) di due anni possa dissuadere corruttori e delinquenti incalliti? Come svuotare il mare con un secchiello. E poi: è stata una buona volta chiarita la “qualità” dello scambio? Solo soldi? O anche altri favori, ad esempio appalti? Sono state finalmente introdotte le due parolette magiche, ossia “altre utilità” che da sempre hanno azzoppato il perseguimento concreto del voto di scambio?
Tanto per rinfrescare la memoria. Le prime vere inchieste sul “voto di scambio” vennero portate avanti dai pm di Mani pulite, a Napoli, ad alcuni mesi dallo scoppio della tangentopoli milanese e dall’arresto di Mario Chiesa, 17 febbraio 1992. E’ infatti a settembre di quell’anno, esattamente 23 anni fa, che non solo si sciolse come di rito il sangue di San Gennaro (19 settembre) ma partirono i primi avvisi di garanzia per i big della politica partenopea, come Sua Sanità Franco De Lorenzo, mister centomila Alfredo Vito, il psi Giulio Di Donato. Per la prima volta “saltava” il coperchio sul pentolone dei suffragi comprati e venduti.
Ma è stato mai colpito al cuore quel “sistema”? Neanche per sogno. Significherebbe azzerare certa politica – ormai strapredominante al Sud, ma non solo – e azzoppare le collusioni con le mafie. E come si può mai chiedere ai capponi di anticipare il Natale? Come ci si può mai sognare che la politica contigua e collusa recida un vincolo così essenziale, ormai fisiologico, per la sua esistenza?
Comunque, torniamo al 16 settembre, e passiamo a palazzo Madama. Dove va in onda la sceneggiata del leghista Roberto Calderoli, quello del mezzo milione di emendamenti da portare in aula per boicottare la riforma (sic) Boschi sul Senato. E’ stato il tormentone estivo, un camion di carte che a stamparle non c’erano né soldi né mezzi di trasporto ad hoc. Ma ecco il miracolo, anche stavolta degno del miglior San Gennaro (al quale si sarà certo rivolto il lumbard Calderoli): con un colpo di bacchetta magica, nel momento culminante del finale travolgente, ecco che li ritira. Oplà, abbiamo scherzato! Commenta senza battere ciglio il capogruppo Pd al Senato, Luigi Zanda: “li ha ritirati. Ma se li presentava faceva lo stesso”. Per la serie, quando le facce di bronzo non finiscono mai.
La faccia – e non solo di bronzo – numero uno è però proprio quella di Calderoli: che lo stesso giorno ha incassato l’aiuto pd per la richiesta di autorizzazione a procedere nei suoi confronti avanzata dai magistrati di Bergamo in merito alle “esternazioni” sull’ex ministro Cecile Kyenge, definita un “orango”. La “grazia” delle truppe renziane – ora passate all’incasso – è consistita nel far cadere l’aggravante “razzista” delle accuse, restando sul campo la sola, risibile diffamazione.
Un do ut des in piena regola. Un voto di scambio. Senza le due parolette “politico-mafioso” al seguito. Ma lo stesso giorno alla Camera non era passato qualcosa, un piccolo provvedimento tanto per gettare un po’ di fumo negli occhi del popolo bue? E chissenefrega: tanto lorsignori ce la fanno ormai anche sotto gli occhi. Come i guappi del gioco delle tre carte.
Nella foto, Roberto Calderoli
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