BORSELLINO QUATER, SCARANTINO ACCUSA IL PM PALMA

Borsellino quater, nel silenzio più totale dei media continua il processo sui depistaggi per la strage di via D’Amelio. E viene man mano alla luce l’incredibile “creazione” del pentito Vincenzo Scarantino, dalle cui verbalizzazioni sono partite montagne di indagini taroccate e condanne costate anni di galera per gente che, con quel tritolo, non c’entrava per niente.

Leggiamo poche righe, relegate in basso a pagine 20 della cronaca di Repubblica (il classico trafiletto, tanto nessuno lo vede) del 29 maggio. “Lo diceva già nel 1998: ‘la dottoressa Palma ha architettato tutto’. Il falso pentito che ha fatto condannare otto innocenti per la strage di via D’Amelio in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, Vincenzo Scarantino, teste chiave di un’inchiesta ‘taroccata’, adesso è il grande accusatore che per la prima volta, in aula, chiama in causa l’ex pm di Caltanissetta Annamaria Palma. ‘Mi diedero verbali dei precedenti interrogatori con degli appunti manoscritti. Me li consegnò un poliziotto al quale li aveva dati il pm Anna Palma’, ha ricostruito Scarantino davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta, nel processo quater per la strage Borsellino. Il pentito, imputato di calunnia, ha raccontato le pressioni ‘subite’ dai poliziotti del gruppo guidato dal questore Arnaldo La Barbera. In un’occasione – prosegue la nota di Repubblica – Scarantino avrebbe visto allo Sco di Roma la pm Palma, oggi alla procura generale di Catania, consegnare a un ispettore il verbale con gli appunti da dare a lui. ‘Non ero un uomo d’onore e loro mi facevano studiare da Buscetta’, ha detto Scarantino, lasciando intravedere l’ombra dei servizi segreti sullo sfondo di questo colossale depistaggio. Mi venne a trovare a Pianosa La Barbera con un uomo importante di cui non ricordo il nome’”.

Chi si aspetta articoli e servizi tivvù, nei giorni seguenti, rimane deluso. Quelle dichiarazioni-bomba sono poco più rumorose di un tric trac. E pensare che solo pochi giorni prima altri Servizi avevano fatto capolino tra le cronache, a proposito della cattura del superlatitante Pasquale Scotti, secondo non pochi l’uomo che, con il faccendiere Francesco Pazienza, “gestì” il famigerato caso dell’assessore dc rapito nel 1980, Ciro Cirillo: la prima vera trattativa Stato-Camorra. E adesso, lo stesso caso Scarantino è lì a mostrare una “variante” delle successive trattative Stato-mafia. Così ha scritto sulla Voce, poco più di un anno fa, Sandro Provvisionato, a proposito del depistaggio Scarantino: “lo ritengo centrale per capire cosa sia davvero accaduto in via D’Amelio e che relazione abbia quel depistaggio con il processo sulla Trattativa in corso a Palermo, purtroppo, nell’indifferenza generale”. Da un’indifferenza all’altra, si vede, il copione non cambia: eppure, per lorsignori, il contrasto alle mafie è un tema centrale (sic) nell’agenda politica. Ma forse – renzianamente – va affrontato con “leggerezza”. Non si sa mai.

Facciamo un po’ il punto, e cerchiamo di seguire un filo rosso tracciato dalle date. A smontare in modo clamoroso il castello di carta (in senso letterale, fatto di note, memorie, appunti, un vero armamentario per orchestrare la trama e allestire il copione del falso pentito) di tutta la Scarantino story, sarebbe bastato prestar fede ad una nota scritta di suo pugno da Ilda Boccassini. Succede oltre vent’anni fa, siamo ad ottobre 1994, a due anni dalla strage di via D’Amelio. Boccassini, impegnata in quelle indagini, prima di trasferirsi alla procura di Milano, è preoccupata per la piega che sta prendendo l’inchiesta. E’ convinta che la decisione di Scarantino di collaborare con la giustizia puzzi di bruciato. E perciò, insieme al collega Roberto Sajeva, decide di mettere nero su bianco una nota che viene inviata al procuratore capo di Caltanissetta, Giovanni Tinebra. In quelle righe il procuratore e i suoi sostituti venivano invitati a sospendere gli interrogatori di Scarantino, a “verificare bene le parole del collaboratore”, ad “avvisare i colleghi di Palermo, a “fare i confronti, a “ricominciare con saggezza, umiltà ed equilibrio, doti che dovrebbero avere i magistrati”. Parole che pesano come macigni. Ma che fine avrà mai fatto la nota di Boccassini e Sajeva? Sparita nel nulla. Volatilizzata. Nessuno ne ha mai più parlato. Finalmente, è tornata alla luce proprio in occasione del Borsellino quater, dove – come vedremo – la Boccassini sarà ancora più esplicita e parlerà testualmente di “fregnacce” riferendosi alle ricostruzioni made in Scarantino e considerate invece oro colato dai colleghi – Anna Maria Palma e Nino Di Matteo – che quell’inchiesta hanno poi portato avanti.

Scarantino – scrive oggi Repubblica – ha sempre sostenuto, fin dal 1998, di essere stato ‘manovrato’, e puntava l’indice contro il pm Anna Palma, che ‘ha architettato tutto’. Chi può raccontare con cognizione di causa qualcosa su quel ’98 (e non solo) del pentito in fase di ‘fabbricazione’ è l’ispettore di polizia Giuseppe Catuogno, che proprio a partire da quell’anno è l’incaricato speciale della sua sorveglianza. Ecco le testuali parole di Catuogno all’udienza del 20 novembre 2013, sempre in occasione dell’interminabile Borsellino quater che si tiene a Caltanissetta. “Vincenzo Scarantino, prima della ritrattazione di Como, diceva che la dottoressa Annamaria Palma aveva architettato tutto”. Ricorda ancora, l’ispettore, che Scarantino gli aveva detto più volte che “lui con la strage di via D’Amelio non c’entrava niente”, e invece conferma la conoscenza e frequentazione con Spatuzza “perchè mi raccontava che avevano fatto affari insieme”.

Quello stesso 20 novembre verbalizza un altro poliziotto, Luca Barriesci, che parla soprattutto di Castel Utveggio, una vecchia sede dei servizi segreti al centro di non pochi misteri (dalla collina si domina Palermo, ottima vista su via D’Amelio compresa): “Non ho notato particolari movimenti in quei giorni – dichiara – fatta eccezione per un furgone della manutenzione telefonica che una volta mi aveva bloccato l’auto”.

Ed è proprio all’udienza successiva che arriva il ciclone Ilda.

21 gennaio 2014, ecco cosa dichiara il teste Boccassini: “Quando arrivai a Caltanissetta da parte di tutti c’erano perplessità sulla caratura criminale del personaggio Scarantino. Ricordo perfettamente che si trattava di dubbi nutriti non solo dai magistrati ma anche dagli investigatori. La prova regina che diceva fregnacce la ebbi quando, dopo vari tentennamenti e oscillazioni, Scarantino decise di collaborare con la giustizia”.

Da un ciclone all’altro, eccoci qualche giorno più tardi, quando va in onda la puntata con “blitz” di Servizio Pubblico, ospite d’onore uno Scarantino mascherato da Anonymous che alla fine della trasmissione sarà prelevato dagli 007 che da un po’ gli davano la caccia per una vecchia e strana storia di abusi tentati su una minorenne (viste anche le sue tendenze sessuali), e certo non per storie di mafia. Durante la puntata, comunque, aveva parlato del suo falso pentimento e delle manine che lo avevano “guidato”. Parla in particolare dell’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera, e di qualche magistrato. A mezza bocca e un filo di voce fa i nomi di Carmelo Petralia, Anna Palma e Nino Di Matteo. E rammenta un particolare sulla Boccassini, quando lei ad un’udienza lo incontra e gli dice in faccia: “non le ho mai creduto”.

Si chiede Provvisionato, nel reportage di febbraio 2014 per la Voce, “Sentire Scarantino per capire la Trattativa”: “come mai colui che è considerato oggi l’icona dell’antimafia a Palermo, ieri a Caltanissetta, era così sprovveduto da non accorgersi del depistaggio Scarantino? Obiettano i più avveduti mafiologi di superficie: ma Di Matteo, quand’era a Caltanissetta, era solo un giovane magistrato e, nella vicenda Scarantino, ha avuto un ruolo marginale. Dimenticando che Nino Di Matteo è stato pm nel capoluogo nisseno dal 1992 al 1999, cioè dall’anno della strage di via D’Amelio e ancora per cinque anni, durante i quali ha continuato a credere alle ‘fregnacce’ (tanto per usare lo stesso termine della Boccassini) di Scarantino. Ma non basta: Di Matteo ha anche sostenuto l’accusa nel processo che – testimone sempre Scarantino – ha condannato all’ergastolo un bel manipolo di innocenti. E quando gli avvocati della difesa lo ricusavano, assieme alla collega Palma, imperterrito ha continuato a battere la falsa pista Scarantino”.

Continua ancora Provvisionato: “Ma anche a Palermo Di Matteo ha già avuto qualche defaillance: secondo i giudici della quarta sezione della Corte d’Assise ha completamente sbagliato l’impostazione dell’accusa per la mancata cattura (ottobre 1995) di Bernardo Provenzano contro il prefetto del Sisde (già generale dei carabinieri) Mario Mori e del suo braccio destro Mauro Obinu, entrambi assolti. In altre parole, uno dei pilastri del processo sulla Trattativa è già miseramente crollato”.

Sandro Provvisionato ha scritto preziosi e documentati reportage – pubblicati sulla Voce – sul caso Scarantino e i depistaggi per Via D’Amelio. Suo il fresco di stampa per Chiarelettere “Complici – Caso Moro – Il patto segreto tra DC e BR”, scritto con Stefania Limiti.

 

Ma torniamo alla Palma. Magistrato in prima linea da anni, considerata – dagli ‘storici’ – una classica ‘toga rossa’. Forse per l’inchiesta sui mandanti “Alfa e Beta”, al secolo Berlusconi e Dell’Utri. O per aver partecipato ad una delle ultime cene a casa di Paolo Borsellino, qualche settimana prima di quel tritolo a via D’Amelio. Dopo anni in trincea, improvvisamente arriva una nuova vita: quando l’allora superberlusconiano Renato Schifani diventa presidente del Senato, lei viene nominata capo di gabinetto. Un’inversione a U, un cambio rotta secondo la Voce: per questo – ossia per aver ricostruito alcune tappe della sua carriera – la stessa Voce è stata citata in sede civile dalla Palma, che ci ha addirittura accusato di attentato alle istituzioni, per aver diffamato “l’istituzione della presidenza del Senato, ovvero della seconda carica della repubblica”. E siamo anche colpevoli di aver dato ancora spazio alla pista-Utveggio per arrivare ai mandanti della strage di via D’Amelio, una pista – secondo Palma “definitivamente abbandonata”. Peccato che ad indicarla con forza ci sia, tra gli altri, Rita Borsellino, secondo cui “non è da escludere che il pulsante del telecomando che ha fatto saltare in aria Paolo e la sua scorta sia stato azionato dal belvedere del castello Utveggio che sovrasta Palermo”. Secondo Palma, invece, “i risvolti delle più accreditate indagini hanno escluso la pista Utveggio e un coinvolgimento di apparati dei Servizi segreti”.

Ecco cosa scrive per International Business Time Claudio Forleo: “Il Cerisdi aveva un sede presso Castel Utveggio che domina Palermo. Stesso castello da cui si ha una visuale perfetta su via D’Amelio: una pista investigativa ha sempre ipotizzato che il 19 luglio ’92 possa essere stato utilizzato quale ‘base’ degli attentatori per osservare l’arrivo di Borsellino sotto casa della madre. Nel ’92 all’Utveggio ci sarebbe stato un ‘ufficio coperto’ del Sisde”. Qualche anno fa a presiedere il Cerisdi era stato nominato Elio Adelfio Cardinale (si è poi dimesso ad agosto 2013), radiologo di fama a Palermo, docente universitario, ex sottosegretario alla Salute nel governo Monti. E marito di Anna Maria Palma.

 

 

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Ilda e gli abbagli sul falso pentito

Di Sandro Provvisionato

https://www.lavocedellevoci.it/?p=949

 

Trattativa, silenzi e suggeritori

Di Sandro Provvisionato

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Scarantino e i trans – Il mistero s’infittisce

Di Sandro Provvisionato

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La trattativa – Tratti e ritratti di Scarantino

Di Sandro Provvisionato

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Scarantino e il marcio che affiora

Di Sandro Provvisionato

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Oltre Scarantino – Il club dei siciliani

Di Andrea Cinquegrani

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Sentire Scarantino per capire la trattativa

Di Sandro Provvisionato

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