GIALLO MORO / PER IL CORSERA NIENTE P2 NE’ SERVIZI…

Fiat lux. Finalmente la luce dopo anni di buio pesto. Dopo decenni di misteri arriva il Verbo, raccolto da uno storico del calibro di Paolo Mieli per le pagine di Cultura (la bellezza di 2) del Corriere della Sera, 1 marzo. Fosse successo esattamente un mese dopo, avremmo pensato ad un riuscitissimo pesce d’aprile. Invece no: signori, è la Storia che parla, è un fresco di stampa per Rizzoli – appena mondazzolizzata – a squarciare finalmente veli e sipari ormai grondanti naftalina (oltre che sangue), per consegnarci alle supreme Verità. Ma chi sarà mai il nuovo Messia, il Vate alla cui fonte abbeverarci?

Vladimiro Satta

Vladimiro Satta

Si chiama Vladimiro Satta, e le scarne scritture osservano semplicemente che è “uno storico e documentarista”, in attività per alcuni anni al Senato. Avvolto nel mistero, l’Autore, novella Elena Ferrante sul fronte della storiografia moderna, autore di due imperdibili scritti (“Odissea nel caso Moro”, 2003, e “Il caso Moro e i suoi falsi misteri”, 2006), nei quali già consegnava ai posteri la bussola per orientarsi nei marosi delle cronache, delle false verità, di tutte le dietrologie. Ed è per questo che ora il Maestro Mieli lo incorona: “Dietrologia da sfatare”, è il titolo dell’inchiestona culturale del Corsera, con due sommari che colgono il senso della Storia: “Un saggio di Vladimiro Satta (Rizzoli) smonta sospetti e illazioni riguardanti una presunta regia occulta negli anni di piombo. Tra gli episodi presi in esame la strage di piazza Fontana, la morte di Pinelli, il rapimento di Aldo Moro”. E poi: “Non ha riscontri l’ipotesi che lo Stato abbia pilotato i terroristi rossi e neri”.

In qualcuno, leggendo questi primi titoli e soprattutto poi, inerpicandosi tra le colline e montagne di alti Pensieri grazie alla lieve ma decisa penna di Mieli, è sorta spontanea una domanda: come mai il Corsera dedica due paginate a un volume del genere in questo particolare momento? Sol perchè esce in libreria un saggio altrimenti destinato alle più polverose soffitte? Cosa ci sarà mai “dietro” al pamphlet che demolisce (sic) ogni dietrologia, che spazza via dubbi e fa eterna, imperitura chiarezza? Forse un motivo c’è, e si chiama – arieccoci – caso Moro. Mai morto, mai sepolto e destinato a turbare ancora per un bel pezzo le coscienze (sporche) di non pochi italiani che (ancora) contano: dentro ai Palazzi, dentro alle istituzioni, dentro allo Stato. Fa paura, infatti, quel che può scaturire dal lavoro della nuova commissione Moro, al lavoro da oltre un anno, già un corposo rapporto nel carniere, diverse verbalizzazioni da non poco, come quella di don Raffaele Cutolo, che dopo anni di silenzio tombale ha deciso di “parlare”. Fanno paura le possibili rivelazioni dell’ex capo della Nco? E caso mai quelle del suo braccio destro Pasquale Scotti, l’uomo che “sussurrava” ai Servizi, prossimo al rientro in Italia dopo la trentennale latitanza brasiliana?

 

PRIMO SERVIZIO TARGATO CORSERA

Altro preciso segnale. Un paio di mesi fa lo stesso Corsera ha dedicato una pagina di fuoco, autentico atto d’accusa, ben lontano dall’aplomb di via Solferino, proprio al super consulente della commissione Moro, il magistrato Gianfranco Donadio, dal 2003 in servizio alla Direzione Nazionale Antimafia, e dal 2009 con un ruolo “strategico”: ossia il coordinamento – voluto dall’ex capo della Dna Pietro Grasso – di delicate indagini in grado di scoprire il perchè di tanti buchi neri, tante inchieste fallite, tanti depistaggi. Un lavoro certosino, svolto con grande impegno da Donadio, centinaia di minuziosi interrogatori per ricostruire un mosaico complessivo e caso mai capire quali “manine” possano aver contribuito a “scassare” quel mosaico, gettando all’aria le tessere, mescolandole, per “depistare meglio”.

Incredibile ma vero, ora quel magistrato, Donadio, è sotto i riflettori del Csm, che dovrebbe giudicare circa il suo comportamento. Spara a tutta pagina il Corsera, per la penna di Giovanni Bianconi: “Quei 119 colloqui all’insaputa dei colleghi. Il pm dell’antimafia faceva indagini parallele”. Un vero capovolgimento della realtà: per la serie, quando arriva qualcuno che, dopo cortine di omertà, connivenze e complicità cerca di portare aria pulita e legalità, è lui il vero colpevole, ecco il mostro da sbattere in prima o in sedicesima pagina. Colpirne uno per educarne cento, perchè quel Silenzio torni sovrano.

Atto secondo. Il saggio dell’illuminato Satta, secondo il quale tutto è chiaro, facile, puerile: gli anni di piombo sono fatti di Bierre e un po’ di neri, lo Stato è una mammoletta, i Servizi sono gigli candidi, gli Stati Uniti c’entrano come il cavolo a merenda, i nostri politici sono tutti giovani marmotte. Ma cosa vogliamo di più dalla vita?

La strage del treno di Natale

La strage del treno di Natale

Per capirci meglio, cominciamo ad addentrarci nel bosco, popolato da lupi cattivi ma anche da tante buone fatine. E con un cappuccetto rosso, al secolo Vladimiro Satta, che ci accompagna per la manina (manina?), in sella al suo “I nemici della Repubblica, Storia degli anni di piombo”, pagine 901. Trasaliamo, al cospetto dell’immensa opera del Maestro, che riporta alla mente quel rapido 904, il “treno di Natale” dove persero la vita tanti italiani: opera sicuramente della Befana cattiva, altro che neri, servizi & camorra! Quelle stupidaggini – è l’Insegnamento che scaturisce dalla monumentale Fatica Storica – lasciamole ai ragazzini, ai complottisti tanto al metro, a quelli che non vogliono mai riconoscere quanto i nostri partiti, dalla Dc d’antan al Pd d’oggi, siano umani col popolo bue, quanto i nostri Servizi siano solo al servizio dei cittadini, degli ultimi, quanto la magistratura si sia sempre sforzata di scoprire quei cattivi che hanno sparso un po’ di sangue nel Belpaese.

Eccoci al Verbo di Satta, fedelmente riportato dal super scrivano Mieli: “la scomparsa dalla scena di fenomeni del genere (stragi di stato e simili, ndr) è una controprova che essi non erano il frutto di complotti orditi in misteriose alte sfere del potere italiano o mondiale che tutto comandano, bensì di spinte che nascevano dall’interno della nostra società e della nostra (in)cultura politica in un dato momento. Spinte che, per fortuna, si sono esaurite”. Ma del tutto positive, secondo il Nostro, visto che “la democrazia italiana dalla dura prova è uscita migliore di prima”. Non tutti i mali vengono per nuocere, direbbe la massaia. E mentre alcuni fanatici hanno cercato di gettare fango sul nostro Stato immacolato che avrebbe cospirato con quei birbanti di destra o di sinistra, “non esiste prova che un solo uomo dello Stato abbia avuto responsabilità diretta o indiretta nei misfatti di quell’epoca sanguinosa”.

Satta – scrive il certosino Mieli – “smonta un centinaio di piccoli e grandi sospetti (legittimi) e ipotesi (alcune davvero cervellotiche) che nella pubblicistica e in molti libri di storia si sono depositate come verità accertate”. Si parte da Piazza Fontana e i morti della Banca dell’Agricoltura, la madre di tutte le stragi. Tutto chiaro, tutto ok, per il novello Tucidide, così come ottimo e abbondante il tanto vituperato processo di Catanzaro. “Coloro i quali – è il Vate che parla – immaginavano che il trasferimento del processo sulla strage di piazza Fontana nella remota sede meridionale preludesse all’insabbiamento si sbagliavano, e di grosso. A Catanzaro si fece sul serio”.

Dal documentarista di palazzo Madama frustate anche all’indirizzo di Pier Paolo Pasolini, colpevole di non aver chiesto la sua autorizzazione prima di scrivere “Io so ma non ho le prove”. Lui e quelli come lui “non sono dei coraggiosi eretici ma i continuatori di un intreccio tra il sospetto eretto a metodo, la presunzione e il dogmatismo”.

 

QUELLE BIERRE VESTITE DA GIOVANI MARMOTTE

Il rapimento di Aldo Moro

Il rapimento di Aldo Moro

Ma eccoci in zona rossa, vulcanica al punto giusto. Bierre e giallo Moro, una specialità della casa, visto i precedenti parti del Vate. Prime pennellate al Miele: “Passando alla Brigate Rosse, il libro dimostra come non siano provate le tesi di Alberto Franceschini, secondo il quale Mario Moretti era manovrato dall’esterno”. Siamo alle solite: Br “genuine”, infiltrate, eterodirette o che? Pensavamo ormai di essere approdati al segreto di Pulcinella: e invece c’è ancora chi racconta ai bimbi italioti la storiella dei brigatisti lupi solitari (neanche grigi, come quelli turchi), sordi ad ogni richiamo delle “servizievoli” sirene, sdegnosi ad ogni offerta di biancofiore, ritrosi davanti al corteggiamento del bell’agente americano. Al super erudito Vladimiro forse sfuggono alcuni piccoli particolari: ad esempio il ruolo giocato da uno dei vertici bierre nel caso Cirillo, ossia l’ideologo Giovanni Senzani (dal 2001 impegnato nel “Centro di Documentazione Cultura della Legalità” e dal 2010 definitivamente libero) già allora trait d’union tra i “compagni” e i Servizi; e la versione double face di Valerio Morucci, il “telefonista” che comunicò il luogo dove si trovava il corpo del leader Dc nella Renault rossa, in via Fani. Guarda caso, il nome di Morucci fa capolino, nel 2010, all’interno del comitato “scientifico” di una rivista, Theorema”, promossa dalla destra (l’allora sindaco di Roma Gianni Alemanno con l’ordinovista Loris Facchinetti) e dai Servizi, con l’ex generale del Ros e capo del Sisde Mario Mori nel motore. La Voce ha pubblicato, proprio nel 2010, un servizio dal titolo significativo: “Brigate rossonere”. Val la pena en passant di ricordare allo storiografo Satta che quel giallo della liberazione di Ciro Cirillo è popolato di camorristi, interi plotoni dei Servizi, big della Dc e in ultimo brigatisti, tutti liberi di entrare nel supercarcere di Ascoli dove era rinchiuso il capo della Nco Cutolo, per portare avanti la “trattativa”.

Passiamo a qualche dettaglio illuminante del giallo Moro. E’ sempre l’agiografo Mieli che verga: “quanto al rapimento e all’uccisione di Moro, vengono smontate tutte le ricostruzioni che attesterebbero un ruolo dei servizi segreti italiani o internazionali nell’affaire. E’ ‘insostenibile’ che ci fosse ‘un’auto dei servizi’ in via Fani dove lo statista fu sequestrato. E’ inverosimile persino che all’attacco di via Fani abbiano partecipato soggetti esterni alle Br”.

Raffaele Cutolo al tempo del delitto di Aldo Moro

Raffaele Cutolo al tempo del delitto di Aldo Moro

A parte le montagne di pagine & documenti circa “altre” presenze in via Fani, forse Maestro Satta non sa che una delle acquisizioni base da parte della commissione Moro non presieduta da un bolscevico, ma dall’ex dc-margherita Giuseppe Fioroni, riguarda proprio la presenza dei Servizi sulla scena del crimine, e addirittura con largo anticipo sul rapimento! E’ infatti documentata la presenza di un’Alfa sud beige, nonché di altre vetture tutte da scoprire. Ecco cosa viene scritto nel capitolo 9.7 del primo rapporto della commissione, titolato ‘L’Alfasud targata Roma S88162 e l’arrivo del dottor Spinella’. “In passato non era mai stato chiarito a chi appartenesse il veicolo e chi l’avesse utilizzato per giungere, dopo l’eccidio, sul luogo della strage. Sulla base delle indagini affidate dalla Commissione alla Polizia di Stato è ora possibile affermare che si tratta di un’autovettura in dotazione alla Digos della questura di Roma; l’auto era normalmente affidata al dottor Giancristofaro, ma quella mattina venne utilizzata dal dottor Domenico Spinella”. E poi, il mistero dell’orario di arrivo. “Può ritenersi probabile – è la conclusione che trae la Commissione – che l’Alfasud con a bordo il dottor Spinella sia partita dalla Questura prima dell’arrivo al centralino delle telefonate che segnalano l’agguato di via Fani tra le 9.03 e le 9.05”.

Altro nodo bollente, il ruolo della P2 nella vicenda Moro. E’ apodittico Mieli: “Fortemente ridimensionato il ruolo della P2 nell’affare Moro. Vengono spesso spacciati per ‘piduisti personaggi che non lo erano o che lo sarebbero diventati solo mesi dopo’. Un’organica mappatura degli assetti istituzionali alla vigilia del sequestro Moro, “mostra che, a parte Santovito e Grassini, i quali erano stati nominati ai vertici di Sismi e Sisde, ma non in quanto piduisti – i sodali di Gelli erano assenti dalla grande maggioranza dei posti chiave”. Fu “indubbiamente nociva al Paese, la P2 – si lascia sfuggire il Vate – ma sarebbe iniquo incolparla di ogni sventura nazionale, caso Moro e brigatismo rosso compresi”.

Siamo al mondo capovolto. Difficile ipotizzare che il foglio di nomina ai vertici dei Servizi dei generali Santovito e Grassini possa recare in calce la firma o la sponsorizzazione della P2: ma erano regolarmente affiliati alla P2. Come non è contestabile l’appartenenza alla Loggia del Venerabile Licio Gelli di ben 11 dei 12 membri del cosiddetto “Comitato di Crisi”, varato per direttiva dell’allora ministro degli Interni Francesco Cossiga. Ecco qualche nome e relativo numero di tessera d’affiliazione: il criminologo Franco Ferracuti (tessera 2137), il direttore dell’ufficio Affari Riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato (tessera 1620), il numero uno del Cesis Walter Pelosi (tessera 754), il capo di Stato maggiore della Marina Giovanni Torrisi (tessera 631), il numero due del Sismi Pietro Musumeci (tessera 487). “Un Comitato – scrivono Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato nel libro “Doveva Morire” uscito per Schermata 2016-03-02 alle 12.46.46Chiarelettere nel 2008 – che esautorò di fatto la procura di Roma durante i 55 giorni di prigionia di Aldo Moro”.

 

LE VERITA’ DELL’AGENTE USA FANTASMA

Il vero cuore pulsante del Comitato di Crisi veniva direttamente dagli States, Steve Pieczenik, braccio destro dell’allora plenipotenziario Usa Henry Kissinger. Del suo ruolo strategico nel dirigere il comitato, orientarne le decisioni e sovrintendere a tutta l’operazione “Moro Doveva Morire” era proprio lui. Che nel 2008 decide di vuotare il sacco e racconta tutta la verità su quella “trattativa” perchè venisse eliminato lo statista dc e coautore del possibile compromesso storico, al giornalista francese Emmanuel Amara che pubblica “Abbiamo ucciso Aldo Moro. Dopo 30 anni un protagonista esce dall’ombra”. Pochi mesi dopo (siamo sempre nel 2008) Imposimato e Provvisionato collocano tra i tasselli base della loro ricostruzione – insieme a cento altri elementi di grosso rilievo – proprio la testimonianza di Pieczenik. Il quale infine verrà intervistato anche da Giovanni Minoli per il suo Mixer Rai, non proprio l’ultima delle tivvù private. E ai quattro intervistatori fornirà sempre la stessa versione. “Sono stato io, lo confesso, a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Aldo Moro allo scopo di stabilizzare la situazione italiana”, scrivono Imposimato e Provvisionato in

Ciro Cirillo

Ciro Cirillo

“Doveva Morire”. E così prosegue il super agente Usa: “Le Brigate rosse avrebbero potuto rilasciare Moro e così avrebbero senza dubbio conquistato un grande successo, aumentando la loro legittimità. Al contrario, io sono riuscito con la mia strategia a creare unanime repulsione contro questo gruppo di terroristi e allo stesso tempo un rifiuto verso i comunisti. Il prezzo da pagare è stata la vita di Moro”. E ancora: “La decisione di far uccidere Moro non è stata presa alla leggera, abbiamo avuto molte discussioni anche perchè io non amo sacrificare le vite, questo non è nelle mie abitudini. Ma Cossiga ha saputo reggere questa tragedia e assieme abbiamo preso una decisione estremamente difficile. Ma la decisione finale è stata di Cossiga e, presumo, di Andreotti”. Quel Cossiga roso dai rimpianti più volte immortalato da un’altra prestigiosa penna del Corsera, Aldo Cazzullo

Ma ecco che, sul ruolo ultra chiaro giocato da Pieczenik, arrivano le parole della Cassazione. E’ Mieli a scrivere la Storia: “Altrettanto improbabile il ruolo che nella vicenda avrebbe avuto l’americano Steve Pieczenik che addirittura si autoaccusò – assieme a Francesco Cossiga – di aver contribuito all’uccisione Moro. Salvo poi smentire tale affermazione”.

Non si hanno notizie di alcun Pieczenik quater. E primi tre erano estremamente chiari e precisi. Però – sottolinea Maestro Mieli – “forse è giunto il momento che la storia d’Italia, anche quella recente, venga raccontata in modo meno suggestivo di quanto lo sia nelle parole di Pieczenik”.

Quando anche il sangue diventa una pericolosa suggestione…

 

Nel fotomontaggio di apertura Paolo Mieli e, a destra, Aldo Moro. Sullo sfondo, l’articolo del Corriere della Sera.

 

PER APPROFONDIRE LEGGI 

STRAGI DI STATO / PROCESSO A DONADIO – 13 gennaio 2016

 

e l’inchiesta BRIGATE ROSSONERE

art Brigate Rossonere

Un commento su “GIALLO MORO / PER IL CORSERA NIENTE P2 NE’ SERVIZI…”

  1. Rocco Turi ha detto:

    Salve. A proposito della “dietrologia da sfatare” di Paolo Mieli ho dato quattro risposte proprio a Mieli e a Vladimiro Satta, che invito a leggere nel seguente blog:

    http://blog.rubbettinoeditore.it/rocco-turi/tag/vladimiro-satta/

    Saluti. Rocco Turi

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