DI PIETRO – POMICINO / LA SINGOLAR TENZONE AL PROCESSO STATO-MAFIA

Bomba Pomicino al processo di Palermo per la Trattativa Stato-Mafia, che all’udienza dell’11 novembre dovrebbe vedere la testimonianza di Silvio Berlusconi.

Antonio Di Pietro, citato come teste, a scoppio molto ritardato – oltre un quarto di secolo – rivela un particolare da novanta sulla famigerata super mazzetta Enimont, la madre di tutte le tangenti. Fu Paolo Cirino Pomicino a consegnare 150 milioni di lire a Salvo Lima, ammazzato dalla mafia pochi mesi dopo.

Una circostanza fino ad oggi mai venuta a galla. E subito contestata da ‘O Ministro che attacca Di Pietro come un ignorante, ossia uno che non sa distinguere tra corruzione e finanziamento ai partiti. E, a sua volta, spara a zero sullo stesso fondatore di Italia dei Valori.

Nel corso del processo palermitano, comunque, il tema centrale ha ruotato intorno al nodo “Mafia-Appalti”, di certo il movente per la strage di Capaci e per quella di via D’Amelio, come del resto da anni sostiene con forza – voce quasi nel deserto – Fiammetta Borsellino, la coraggiosa figlia di Paolo.

Ma recapitoliamo quanto è successo nel corso dell’udienza palermitana.

 

QUEI CCT BOLLENTI DA POMICINO A LIMA

Partiamo subito dalle bollenti parole pronunciate dal pm di punta del pool di Mani Pulite che abbandonò la toga senza apparenti motivi.

Di Pietro sul banco dei testimoni al processo sulla Trattativa Stato mafia

“Anche Salvo Lima incassò una tangente Enimont da Raul Gardini, attraverso i CCT che gli girò Paolo Cirino Pomicino”, il quale “aveva incassato 5,2 miliardi di lire (della tangente Enimont, ndr) e poi diede i cct a Lima”.

Quasi in tempo reale la replica di ‘O Ministro. “Macchè tangente Enimont. Di Pietro, come è noto, non sa l’italiano. Non si tratta di una tangente ma di un finanziamento politico alla corrente andreottiana. Ricordo al signor Di Pietro che io sono stato assolto dall’ipotesi di corruzione nel processo. Fu un finanziamento per tutta la corrente andreottiana. Ricordo che venne a casa mia Ferruzzi, e non Gardini, come dice Di Pietro. Anche perché i rapporti con Gardini erano pessimi. Ferruzzi finanziò l’intera campagna elettorale del 1992. Non solo, girai quelle somme a tutti i deputati della corrente”. Tra cui, appunto, Salvo Lima.

Sorgono subito spontanee alcune domande. Come mai a Di Pietro adesso salta in mente di attaccare Pomicino, tirando fuori un elemento importante, ma a tale distanza di tempo? Cosa bolle in pentola, in quella che a molti pare una sceneggiata alla napoletana?

 

LA LUNGA STORY TRA DI PIETRO & POMICINO

Val la pena di ricostruire la turbolenta story nei rapporti tra ‘O Ministro e ‘O Pm.

Il primo finisce nel mirino del secondo proprio in occasione di Mani Pulite e della maxi tangente Enimont. Pomicino parlerà sempre di persecuzione giudiziaria, l’ennesima inchiesta – anche se la più importante – a suo carico. E rammenterà come un gingle per tutti gli anni seguenti: “33 processi e 32 assoluzioni”, da ottimo medico. Unica condanna, quella griffata Enimont: ma solo per finanziamento ai partiti, nessuna corruzione o altro, come rinfaccia oggi al suo pm di allora.

Quello stesso pm senza macchia e senza paura il quale aveva nello stesso periodo, tra gli inquisiti eccellenti, il numero uno, l’Uomo a un passo da Dio, Francesco Pacini Battaglia, detto Chicchi, il banchiere italo elvetico che ha messo il naso in tutti i maxi appalti del nostro Paese, a cominciare dall’Alta Velocità, allora appena agli esordi.

Pier Francesco Pacini Battaglia

Il solito inflessibile pm – che oggi ricorda commosso il tragico “suicidio” di Raul Gardini – allora usò un del tutto inconsueto guanto di velluto nei confronti di Pacini Battaglia. Una vicenda mai chiarita, “sbiancamento” o “sbancamento” compresi. Tutta la story è stata ricostruita, esattamente venti anni fa, nel j’accuse firmato da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato, “Corruzione ad Alta Velocità”, dove Di Pietro viene tirato pesantemente in ballo.

A questo punto assumono i connotati di un vero e proprio “avvertimento” le parole pronunciate da Pomicino come replica a Di Pietro: “Il signor Di Pietro – precisa tagliente – dovrebbe spiegarci che fine hanno fatto le centinaia di miliardi di vecchie lire dei fondi neri dell’Eni, quando la politica ha ricevuto 15-20 miliardi in tutto come finanziamento ai partiti. Ecco, Di Pietro dovrebbe dire che fine hanno fatto quei fondi, lui che ha indagato…”.

O meglio, lui che “non ha indagato” su Pacini Battaglia, come invece avrebbe dovuto e potuto fare. Così come sullo strategico filone milanese dell’Alta Velocità, affossato senza pensarci su.

Un chiaro “messaggio” quello di ‘O Ministro a ‘O Pm.

 

ERAVAMO TANTO AMICI

Peccato. Perché la storia, dopo la brevissima stagione di Mani Pulite, volge al sereno e tra i due comincia a correre buon sangue. Ottimo.

Soprattutto quando ‘O Pm getta la toga sul banco e si tuffa in politica, fondando la sua Italia dei Valori.

Raul Gardini

Ma per la prima tornata elettorale d’esordio non è affatto facile. Sa di non potercela fare perfino nel suo Molise. Ed ecco l’ideona: chiedere aiuto all’ormai amico Pomicino. Il quale non fa altro che alzare il telefono e chiamare un altro amico, il molisano Aldo Patriciello, re del movimento terra, degli appalti edili e appena entrato nel grande mondo della sanità e delle cliniche.

E’ così che Patriciello – il quale poi a sua volta diventerà europarlamentare berlusconiano a vele spiegate – si trasforma nel Grande Elettore per il nuovo amico Tonino. Una mano lava l’altra, e così magicamente anche le rogne giudiziarie da novanta che affliggono Patriciello cambiano pelle in assoluzioni o archiviazioni.

E quando Pomicino sarà per l’ennesima volta alle prese col suo cuore matto e un altro by pass, al suo capezzale chi chiama mai? Ma l’amico del “cuore”, don Tonino. Le cronache racconteranno poi che l’ex pm e il suo ex inquisito dialogheranno fitto fitto per una decina di minuti: quasi un “testamento” da affidare in mani sicure.

E oggi ‘O Ministro ha appena spento la sua ottantesima candelina.

 

LA VERA PISTA “MAFIA-APPALTI”

Ma torniamo al filone “Mafia Appalti” come vero movente per le stragi di Capaci e via D’Amelio.

Racconta Di Pietro davanti alle toghe palermitane al processo per la Trattativa. “Nel 1992, da febbraio a maggio e fino all’omicidio di Falcone, l’inchiesta Mani pulite si allargò e assunse una rilevanza nazionale. Io mi confrontai con Falcone che mi disse che le rogatorie erano l’unico strumento per individuare le provviste e mi accennò che da lì si arrivava anche in Sicilia. Ecco perché bisognava controllare gli appalti anche in Sicilia”.

E ancora: “Davanti alla bara di Falcone, Paolo Borsellino mi disse: dobbiamo fare presto, dobbiamo vederci o sentirci nei prossimi giorni. Dobbiamo trovare il sistema. Capii allora che Borsellino si stava occupando di questo. Cosa di cui ebbi conferma dopo tempo, quando su imput del Ros andai a sentire Giuseppe Li Pera, geometra della De Eccher che mi spiegò il sistema degli appalti in Sicilia e mi fece i nomi di Siino e Salamone”.

Il boss Angelo Siino.

Vediamo di decodificare qualcosa. Angelo Siino era il “ministro dei Lavori pubblici” di Cosa nostra, che ha in non poche verbalizzazioni ricostruito i rapporti tra mondo politico, imprenditoriale e mafia nella gestione degli appalti in Sicilia. E non solo, parlando anche di Alta Velocità e grosse commesse a livello nazionale.

Filippo Salamone era all’epoca un imprenditore siciliano in rapporti border line con imprese in forte odore mafioso. E fratello del giudice Fabio, per anni a Brescia, il quale si è occupato del “caso Di Pietro” quando il pm del pool venne indagato per i rapporti più che chiacchierati con i legali dei suoi imputati (come nel caso, già citato, di Chicchi Pacini Battaglia). Poi assolto con un’assoluzione “pesante”, Di Pietro: comportamenti penalmente “non rilevanti”, ma fortemente censurabili sotto il profilo deontologico, professionale, morale.

 

PERCHE’ ‘O PM NON USO’ QUELLA FONTE?

Mentre il geometra Li Pera è stata la vera fonte del Ros dei carabinieri per la preparazione del famoso dossier “Mafia Appalti”, finito sulla scrivania di Falcone (e Borsellino) a febbraio ’92, il vero detonatore per il tritolo di Capaci e via D’Amelio.

Salvo Lima

Li Pera, infatti, ha ricostruito per filo e per segno tutto il Sistema degli Appalti, soprattutto in Sicilia, of course, ma anche in tutta Italia. Era il responsabile tecnico di una delle imprese più importanti impegnate negli appalti siciliani, la friulana Rizzani de Eccher, finita appunta nel mirino degli investigatori del Ros. Tra le altre imprese, per fare un solo esempio, la napoletana Fondedile-Icla, nelle grazie di ‘O Ministro Pomicino.

Lo stesso Li Pera aveva più volte chiesto agli allora pm palermitani di essere ascoltato, proprio sul filone Mafia-Appalti. Ma senza grossi risultati.

Gli unici a sentirlo Di Pietro e Felice Lima, all’epoca pm a Catania. Quest’ultimo lo fece verbalizzare più volte. Ma senza “apparenti” grandi esiti. Lo stesso pm è stato poi spostato da quella sede, forse troppo bollente. O perché – come si suol dire – “ambientalmente incompatibile”.

Ma Di Pietro cosa fece? Come mai non proseguì lungo quel filone che, lungo l’asse Milano-Palermo – come del resto insegnavano Falcone e Borsellino – avrebbe certo corroborato la pista Mafia-Appalti, il vero movente delle stragi?

Perché insabbiò tutto, così come fece con l’Uomo a un passo da Dio, Chicchi Pacini Battaglia?

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