OLIVIERO BEHA E ILARIA ALPI / ECCO CHI LI HA UCCISI

Chi ha ‘ucciso’ Oliviero Beha? Cosa ha stroncato il suo cuore? Alla commemorazione del giornalista più vero e coraggioso, preferiamo il sapore di un’inchiesta, di quelle che a lui piacevano.

E – come in un vero giallo – ci poniamo una seconda domanda: chi ha ucciso per la seconda e poi per la terza volta Ilaria Alpi? Stiamo parlando di due giornalisti che per fare il loro lavoro ci hanno rimesso la pelle, in modi del tutto diversi ma con tanti punti in comune. A cominciare dal più grosso: l’aver lavorato per mamma Rai.

Oliviero per la Rai ne ha combinate davvero di tutti i colori. Programmi unici, speciali, che ti incollavano al video o in audio, per fare solo due esempi Radio Zorro e Beha a colori. Veri programmi di inchiesta quotidiana, dalla parte dei cittadini che si sentono affiancati non a parole ma con i fatti nelle loro battaglie, nelle loro denunce. Un mito. Ma quando i miti diventano travolgenti e l’audience sale per vie naturali, ecco che le cose si fanno pericolose.

 

QUEL PALLONE MUNDIAL DEGLI SCANDALI

Soprattutto se a dirigere l’orchestra c’è un direttore che non si fa passare o ripassare il copione, che non guarda in faccia nessuno, non fa sconti e tira dritto per la sua strada.

Come fece con il suo pallone bollente dei Mondiali ’80, la storia che mise in crisi le certezze italiche e la Repubblica degli Scalfari e dei Brera gliela fece pagare per lesa maestà. Se ne fregò, andò via da Repubblica e per un attimo fuggente sbarcò in quella napoletana, per partorire la sua creatura pallonara da tutti rifiutata e edita solo dal coraggioso Tullio Pironti. Un’impresa memorabile, un libro stampato e pronto, ri-copertinato e uscito in perfetta clandestinità, oscurato da tutti i media nazionali.

Ed è qui che nasce il mito Beha: il più contro dei giornalisti italiani, e per questo amato dai lettori, spesso e volentieri odiato dai colleghi, rosi dall’invidia e sovente avvolti nelle loro masturbazioni paragiornalistiche e/o paraintellettuali.

Bianca Berlinguer

Bianca Berlinguer

E detestato dai vertici Rai che, ovviamente, da perfetti maggiordomi per lorsignori, da scendiletto per le camminate diurne e notturne dei loro padroni non possono sopportare un Beha che contesta e fa di testa sua. Scrive oggi Giampiero Galeazzi: “Oliviero, un giornalista al servizio della verità… boicottato dai mediocri che lo odiavano e lo criticavano… in Rai ha trovato tanti colleghi che non lo hanno capito come accadde con Beppe Viola”.

Marco Travaglio, nel suo ricordo su il Fatto, rammenta gli scontri con il direttore generale Rai dell’epoca Flavio Cattaneo e soprattutto con il direttore di Rai Sport Fabrizio Maffei. C’è invece chi ricorda che la sua testa venne chiesta dalla ‘progressista’ Bianca Berlinguer. Carta Bianca anche per quello?

Fatto sta che Oliviero viene prima emarginato e poi cacciato da viale Mazzini. Una epurazione in perfetto stile brezneviano o berlusconiano. Anche se per mano, forse, sinistra.

A questo punto sarebbe il caso di mettere un punto alla questione e capire una volta per tutte: chi ha firmato il provvedimento che escludeva Beha dai ranghi Rai? Quali le motivazioni ufficiali? Chi è stato, o chi sono stati, se più d’uno, i mandanti? Si tratta di nomi, cognomi con tanto di indirizzi e recapiti, non di illazioni o congetture.

Che i nomi escano. E che quei signori – tutti – abbiamo almeno il coraggio di alzarsi una mattina e guardarsi allo specchio: per verificare l’effetto che fa.

E qui comincia il Calvario di Oliviero. Dai la tua vita, sgobbi, immagini uno due tre dieci programmi, vanno da Dio, la gente ti segue e vieni mandato affanculo.

Marco Travaglio

Marco Travaglio

Ma Beha non ci sta. Con il suo solito piglio toscano non si dà per vinto, sa di avere tonnellate di ragione dalla sua, fa causa alla Rai. Vuole tornare, vuole che la giustizia lo rientegri nel suo posto di lavoro perchè è sacrosanto sia così. Perchè ha tutte le ragioni del mondo da vendere. Ha fiducia nella giustizia che invece – incredibile ma vero – gli sbatte la porta in faccia.

Cornuto e mazziato, non solo non vengono riconosciuti i suoi diritti che anche un cieco sarebbe capace di vedere, non viene colta quella verità che chiunque al buio sarebbe capace di individuare, ma al danno si uniscono anche le beffe: condannato anche alle spese legali. La bellezza di ventimila euro e passa, secondo gli esperti del diritto una cifra del tutto fuori dal mondo.

Ed è così che Oliviero, l’anno scorso, si vede recapitare la sentenza ben infiocchettata, con tanto di ingiunzione al pagamento. Lui fa appello ma si sa, i tempi della giustizia sono rapidissimi quando si tratta di toglierti i diritti, lentissimi quando si tratta – nel miracoloso caso – di restituirteli.

Ed è così che, a questo punto, scatta la tagliola. E arriva l’esattore, come un perfetto mafioso in guanti bianchi o gialli se preferite, per scroccarti mille euro al mese, 22 o 24 comode rate fino al raggiungimento del totale.

Come pensate che possa sentirsi un cristiano, già massacrato, torturato e inchiodato, poi costretto anche a pagare i suoi carnefici?

 

FUORI I NOMI, DAI MAGISTRATI ALLA RAI

A questo punto vogliamo altri nomi, per completare il mosaico. I nomi dei magistrati che hanno firmato la sentenza che dà torto a Oliviero e lo costringe a pagare il pizzo alla Rai, mille euro al mese. Fuori i nomi. E anche quelli, tanto per gradire, dei legali che hanno eseguito gli ordini di scuderia Rai, e hanno emesso la pingue fattura.

Dice, la depressione. Non lavori più e sei depresso. Destino cinico e baro. No, stavolta non è così: c’è un preciso percorso che chiamare stalking è un perfetto eufemismo, come dire di un mafioso che sta sgozzando la sua vittima che le sta facendo un prelievo di sangue.

Ho sentito, nel corso degli ultimi mesi, molte volte per telefono Oliviero. Il suo cruccio era quello: la storia Rai. Il sentirsi calpestato come giornalista e come uomo. Messo da parte come un appestato, lui che lottava per i diritti, a fianco dei cittadini, dei suoi lettori.

Oliviero Beha

Oliviero Beha

E il sentirsi preso in giro da quella giustizia nella quale ancora continuava a credere l’ha devastato. Lo sentivi nelle sue parole, il dolore allo stato puro. E intuivi, soprattutto a fine anno, inizio 2017, che le forze gli stavano venendo meno. Come se non il tumore che ti mangia in un anno o più ma un altro male, ancor più subdolo, ti stesse rodendo giorno per giorno: con pervicacia, pezzo pezzo, morso morso.

L’ho sentito a gennaio, era in treno per Milano, andava ad una puntata della Gabbia: la voce fioca, ‘non mi sento granchè’ e poi lo vedo su la 7, pallido, gli occhi un po’ annebbiati ma in cui leggi una sofferenza.

L’ho sentito tre giorni prima di quel maledetto sabato. ‘Ieri ho avuto un collasso, mi sento molto debole. Appena mi riprendo un po’ ti chiamo’. Le sue ultime parole, quelle di un guerriero stanco, al termine della salita, come il suo Bartali, sulla cui vicenda umana – il toscanaccio aveva salvato centinaia e centinaia di ebrei durante la guerra – ci aveva scritto due anni fa un romanzo stupendo. Come stupendo è l’ultimo ‘Mio nipote nella giungla‘, dedicato al figlio della sua Germana, che negli ultimi giorni ne raccoglieva e metteva su carta i pensieri. Affidati alle rubriche sul Fatto (“Il Badante” e “Maledetta Domenica”) e soprattutto al suo blog, vera miniera di rarità giornalistiche e ancor più un parlare continuo con i suoi lettori. Erano infatti centinaia al giorno i commenti che inondavano il suo blog, li senti ancora parlare, scrivere, notare, commentare, proprio quel filo rosso continuo che Oliviero in modo magico sapeva tessere con Radio Zorro o via Beha a Colori.

Tra i primi numeri della Voce, metà ’85, pubblicammo una sua intervista a proposito del primo calcio scommesse, partorito a Napoli. Un numero monografico in cui spiccavano le parole di Oliviero, al solito di una chiarezza che sconcertava, nella pesantezza dei suoi j’accuse e nella efficacia della ricostruzione giornalistica. Un vero maestro. E per questo la Voce, una Voce contro, come è stato fin da quegli anni, ha cercato di modellarsi al suo tipo di giornalismo di inchiesta, forte, documentato, limpido. Fregandocene – come aveva fatto lui – di toccare palazzi e santuari, e soprattutto gli interessi forti dei loro inquilini. Per questo lo scorso dicembre, in una nostra auto-inchiesta, ci siamo definiti “Voce a Colori”, proprio per ricordare quel giornalismo che lui, unico, era capace di mettere nero su bianco. Con il suo stile inconfondibile, la passione civile che trasudava da ogni parola.

ILARIA E MIRAN, UCCISI TRE VOLTE

La stessa passione civile che ha sempre animato Ilaria Alpi, l’altra giornalista Rai caduta sul lavoro con il collega Miran Hrovatin. E l’altra storia che grida inutilmente, da quasi un quarto di secolo, giustizia.

Ilaria Alpi

Ilaria Alpi

Per questo – abbiamo sottolineato all’inizio – le due storie viaggiano parallele. Anche Ilaria è stata uccisa due, tre volte.

Una prima volta da uomini dei Servizi somali in combutta con i nostri, perchè non doveva venir fuori quel marciume sul quale stava indagando, a base di maxi tangenti e traffici di armi & monnezze supertossiche.

Una seconda volta da tutti quei magistrati che si sono incredibilmente succeduti per far finta di portare avanti l’inchiesta. Con un processo farsa che alla fine ha condannato un poveraccio il quale ha passato 16 anni di galera da innocente.

E quando pochi mesi fa il tribunale di Perugia ha assolto in via definitiva il poveraccio, che però i 16 anni se li è fatti tutti in gattabuia, qualcuno ha detto qualcosa? Qualcuno s’è alzato per chiedere giustizia?

Neanche una mosca. E la madre di Ilaria, Luciana Riccardi, alla fine, ha deciso di alzare bandiera bianca: “sono disgustata da questa giustizia in Italia. Me la hanno uccisa una seconda volta”.

E una terza volta, guarda casa, l’ha uccisa la Rai, che a sua volta fa finta di voler perseguire la verità su quell’omicidio di Stato. Perchè di omicidio di Stato di tratta, con tanto di depistaggi al più alto livello, la complicità dell’allora ambasciatore italiano in Somalia Giuseppe Cassini e il ruolo attivo svolto dalle forze di polizia – come la Voce ha dettagliato in un’inchiesta da leggere nel link in basso – che hanno in modo palese favorito la latitanza e la fuga del superteste, Alì Rage, alias Gelle, fatto scappare in Germania e poi in Inghilterra. Non ha mai verbalizzato in dibattimento, Rage, perchè era tranquillamente fuggito: e solo davanti ai microfoni di Chiara Cazzaniga per Chi l’ha visto ha potuto raccontare che Omar Hashi non c’entrava niente con il duplice omicidio, che ben altri erano gli assassini e i mandanti.

Luciana Riccardi, madre di Ilaria Alpi

Luciana Riccardi, madre di Ilaria Alpi

Ma i magistrati cosa hanno fatto? Depistato e coperto. Tutti tranne Giuseppe Pititto, la prima toga che si è occupata del caso, ma solo per pochi mesi, perchè vista la volontà di arrivare alla verità è stato trasferito dai vertici del Palazzo di Giustizia di Roma, all’epoca dei fatti, per incompatibilità ambientale. E’ poi uscito dai ranghi della magistratura e ora lavora all’ATER, l’Agenzia per i beni immobili della Provincia di Roma, un ricco cimitero degli elefanti.

Ben compatibili con l’ambiente romano, invece, tutte quelle toghe che poi hanno affossato e depistato. E di depistaggio parla a chiare lettere la sentenza di Perugia, un vero e proprio j’accuse contro lo stesso sistema giustizia che in Italia continua a mietere vittime in modo indisturbato. Figurarsi chi non è neanche un Beha o una Alpi, triturati nel dimenticatoio delle cronache.

Dopo quella sentenza, il caso almeno sulla carta è stato riaperto. E il fascicolo affidato al pm Elisabetta Cenniccola. Che adesso, in pratica, dovrebbe cominciare il lavoro da zero: potendo comunque contare su una sentenza, appunto quella di Perugia. Praticamente un super assist, anche se con grande ritardo su quei crimini.

 

FRANCAMENTE E’ TROPPO TARDI…

Ma esiste una reale volontà della procura di Roma di andare a fondo? Quando il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatore, ha incontrato la signora Alpi, non è stato perfettamente convincente. Ha detto: “signora, siamo a disposizione. Chi vuole che le interroghiamo?”. Non il massimo.

Giuseppe Pignatone

Giuseppe Pignatone

Basilari, a questo punto, le indagini sui depistaggi, che possono permettere di risalire alla catena delle responsabilità. C’è una nuova normativa, in vigore da un paio d’anni, proprio in tema di depistaggi. Ma verrà fatta valere? Il depistaggio, in sostanza, non è stato solo allora, all’epoca dei fatti e poi con la clamorosa fuga del super teste Gelle: ma è evidentemente continuato nel tempo, negli anni.

Vorranno gli inquirenti indagare su ciò? Avranno la volontà di andare, dopo quasi un quarto di secolo, a cercare la verità che sulla carta è ormai vicina?

E chiudiamo il cerchio con la Rai. Farà qualcosa mamma Rai per la sua inviata speciale che ha bruciato la sua vita a Mogadiscio? Farà almeno il minimo dovuto, spingendo perchè finalmente si abbia una svolta?

Fino ad oggi a viale Mazzini il silenzio più assoluto, né del resto i vertici sindacali stanno sgomitando, parate a parte.

Abbiamo incontrato l’avvocato della Rai, Alfonso Stile, a Napoli, in occasione del processo per la strage del sangue infetto, dove difende alcuni dirigenti del gruppo Marcucci accusati (tra l’altro è difensore dei vertici della Ferrovie condannati in primo grado per il rogo di Viareggio) appunto di strage.

Stile è stato molto chiaro: “E’ già un miracolo che ci sia stata la sentenza di Perugia. Adesso che cosa volete di più? Un altro processo dovrebbe cominciare da capo. E dopo tanti anni, francamente…”.

Grazie, mamma Rai.

 

LEGGI ANCHE

VOCE A COLORI –  29 dicembre 2016

 

Ilaria Alpi, televisione pubblica e morti “private” –  25 gennaio 2017

GIALLO ALPI / TRA DEPISTATORI E RESPONSABILI CE NE CORRE, SECONDO IL LEGALE DELLA RAI – 23 gennaio 2017

ILARIA ALPI E MIRAN HROVATIN / GIUSTIZIA NEGATA, E’ DEPISTAGGIO DI STATO – 22 gennaio 2017

 

3 pensieri riguardo “OLIVIERO BEHA E ILARIA ALPI / ECCO CHI LI HA UCCISI”

  1. Francesco Russo ha detto:

    Caro Cinquegrani, lei scrive da Dio !! Un vero giornalista. Articoli così mi rimettono in pace con me stesso.
    Seguivo Beha. Sono medico. Il tumore viene a chi è depresso e lui poveraccio lo era.
    Dovremmo incontrarci prima o poi io e lei. Io faccio il medico al Policlinico Tor Vergata a Roma e per hobby faccio volontariato con la mia Onlus Medicina Solidale http://www.medicinasolidale.org lo visiti per favore. Grazie la seguo sempre Francesco Russo

  2. michele ha detto:

    non potreste mettere un pulsante Twitter per la condivisione degli articoli?

Lascia un commento