SILVIO BERLUSCONI / LE STRATEGIE DEL ‘PICCONATORE’

Berlusconi Zelig.

Berlusconi Houdini. Il camaleontismo, la ‘doppiezza’ del Mago Silvio sta uscendo in questi giorni allo scoperto. E l’anima dell’attore, dell’intrattenitore delle ‘crociere’ d’un tempo, si sta manifestando in mondo prorompente.

Ignazio La Russa

Berlusconi 1 e Silvio 2. Atlantista fino al midollo, oppure putiniano convinto?

Cerchiamo di radiografare le due anime del Cavaliere, che stanno letteralmente occupando la scena nel teatro dove si sta celebrando la nascita del primo esecutivo di Destra in Italia dopo la caduta del Duce. Che – l’ha rammentato a tutti gli italiani il neo presidente del Senato, Ignazio Benito La Russa – è dentro al nostro DNA, è nella ‘Storia’ del nostro Paese e vi rimarrà, indelebile, per sempre.

 

 

 

 

QUEL COSSIGA SU USTICA

Ma prima di entrare nel vivo della vicenda, vogliamo riportare alla memoria (ricordiamolo sempre, la ‘Memoria storica’ è l’unica chiave per capire il presente e intuire il futuro possibile, come insegnava Tucidide e rammentava sempre il nostro grande Ferdinando Imposimato) l’esempio di un altro ‘Picconatore’. Quello dell’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga. Il quale cominciò ad ‘esternare’ anche negli ultimi tempi della sua presidenza, e continuò negli anni successivi, fino a pochi mesi prima di morire.

E l’ultima ‘esternazione’ riuscì a illuminare uno dei Misteri d’Italia più tragici, uno dei grandi Buchi Neri della nostra storia: la strage di Ustica, la morte di 81 innocenti passeggeri che viaggiavano su quel DC9 Itavia. Le inchieste della magistratura – condotte in particolare da Rosario Priore – non hanno mai cavato un ragno dal buco. Perché bisognava ‘coprire’, ‘insabbiare’ e ‘depistare’: il primo grande depistaggio di Stato, al quale poi hanno fatto seguito decine di altri depistaggi istituzionali, i più gravi e clamorosi quelli per la strage di via D’Amelio in cui persero la vita Paolo Borsellino e la sua scorta, e il duplice omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

il relitto del DC9 di Ustica

Ma torniamo a bomba. O meglio, al missile che colpì, in quella tragica notte, il DC9 Itavia. Poco prima di passare a miglior vita, Cossiga, che conosceva bene tutti i misteri di casa nostra (prima di diventare capo dello Stato, aveva ricoperto la strategica carica di ministro dell’Interno negli anni del terrorismo e, soprattutto, dell’omicidio Moro, voluto dagli Usa e orchestrato dalla CIA, sotto   la supervisione del titolare del Viminale Kossiga) raccontò cosa era realmente successo quella notte: un missile partito dalla portaerei francese ‘Clemanceau’ aveva colpito l’Itavia. Il tutto per addossare la colpa a Gheddafi, che infatti verrà poi detronizzato dal tandem Usa-Francia.

‘Canal Plus’, in quegli stessi mesi della clamorosa rivelazione di Cossiga, realizzò un docufilm nel quale venivano ricostruiti, per filo e per segno, i dettagli dell’operazione orchestrata dai servizi segreti francesi, con la copertura della CIA.

Guarda caso moltissimi anni prima, nel 1992, il sottosegretario alla Difesa, Franco Piro, rilasciò alla ‘Voce’ un’intervista in cui forniva la stessa versione: e faceva un esplicito riferimento alla ‘Clemanceau’.

E pensate che la magistratura di casa nostra, dopo la clamorosa rivelazione di Cossiga, abbia mosso un dito? Zero. Vite, Memoria  e Giustizia totalmente calpestaste.

Tutto questo per dire. Nel corso dei frequenti ‘intervalla insaniae’ di lucreziana memoria, il picconator Cossiga raccontava verità   indicibili, mai raccontate, alzava sipari su scenari spesso intravisti, ma mai acquisiti come verità processuali: perché appunto la magistratura – dopo l’eliminazione degli ormai troppo scomodi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – era stata del tutto ‘normalizzata’, ‘cloroformizzata’, resa inoffensiva. Ammazzane due per educarne cento: funzionò proprio così.

 

IL BERLUSCONI 1

Veniamo ai nostri giorni. E, seguendo le tracce di questo copione, abbiamo un protagonista, Berlusconi, che ‘spariglia’, racconta verità impronunciabili: proprio nel momento topico, bollente, del varo del nuovo esecutivo, quello che sancisce la presa del potere da parte della Destra, la quale subito si mostra col volto truce del fascista La Russa e – per il vertice della Camera – del ‘troglodita’ (così l’ha coloritamente definito il governatore della Campania Vincenzo De Luca) Lorenzo Fontana, il fervente seguace del Verbo di Marcel Lefebvre(certo non di Papa Francesco, che è agli antipodi).

Racconta – il Cavaliere pallido che ha appena fatto il suo trionfale ingresso in quel Senato che lo aveva espulso – le sue ‘verità’: che sono verità ‘storiche’, come illustra Antonio Perillo nel suo intervento sull’Antidiplomatico che potete leggere più in basso.

E come ottimamente contestualizza un lungo articolo pubblicato su ‘Il Sussidiario’ che potete ugualmente leggere a seguire e significativamente intitolato: “Spy Finanza / Se Francia e Germania sono già oltre Berlusconi sulla Russia”.

Ne esce fuori la figura di un Cavaliere se non proprio salvatore della patria, quasi.

Capace di una lungimiranza sconosciuta all’attuale pattume politico di casa nostra, che non sa veder più in là del proprio naso, solo teso a genuflettersi davanti ai diktat in costante arrivo dalla Casa Bianca e che hanno reso negli anni e continuano a rendere l’Italia il servo sciocco di mamma NATO.

 

L’ALTRO COPIONE, Il BERLUSCA 2

Ma c’è un altro copione che va comunque tenuto presente e vede il Cavaliere in campo come la vera, autentica, eterna longa manus degli Usa, nei decenni fedele. Mentre quella recitata con Vladimir Putin, a base di bottiglie di vodka, sarebbe solo una ‘sceneggiata’ para-partenopea.

Ecco cosa racconta un analista politico che, ovviamente, preferisce l’anonimato.

Licio Gelli

“La mia disamina parte da lontano. Per la precisione da una vecchia inchiesta condotta dalla procura di Torre Annunziata e denominata ‘Cheque to Cheque’, che per certi versi si ricollegava ad un’inchiesta portata avanti dall’allora pm di Aosta David Monti e chiamata ‘Phoney Money’. Entrambe le inchieste vedevano in campo faccendieri, piduisti, affaristi d’ogni sorta e portavano anche in Russia. Tirando in ballo un politico russo allora in grande ascesa e che dava fastidio non solo ai vertici del suo paese, ma anche agli americani, si chiamava Vladimir  Zirinoskij e i suoi consensi erano in continuo aumento. Bene, quelle due inchieste in pratica ne stopparono la carriera politica e finirono per cristallizzare lo status quo. In quelle inchieste faceva anche capolino il nome di Licio Gelli e di un faccendiere degli ambienti piduisti e filo-americani, Enzo De Chiara”.

“Vengo ad oggi. Non dimentichiamo che il nome del Cavaliere figurava negli elenchi degli affiliati alla P2 di Castiglion Fibocchi. E che tutti i presidenti americani, tranne un paio (Carter e Obama, ndr) sono stati regolarmente affiliati alla super loggia a stelle e strisce ‘Skull and Bones’. I vertici Usa, fino a ieri, non si fidavano di Giorgia Meloni e ancora non si fidano, nonostante tutte le rassicurazioni che la numero uno di Fratelli d’Italia ha voluto fornire negli ultimi mesi. C’è da fidarsi di una sovranista che inneggia all’Ungheria di Orban e alla Polonia, tralasciando i super franchisti spagnoli di Vox? Quindi è ovvio che agli americani vada molto più a genio l’idea di un governo azzoppato, più condizionabile, da ‘draghizzare’ sempre più e quindi da poter controllare in modo sempre più incisivo. Il cavallo di Troia per curare gli interessi americani, quindi, paradossalmente può essere proprio Berlusconi”.

E infine: “E’ in scena un grande copione, per la regia, ancora una volta, americana, del resto le grandi spy stories sono quasi tutte di matrice anglosassone. Come leggere, altrimenti, il famoso documento contenuto nella cartellina di Berlusconi e facilmente captato dalle telecamere? Sia quello con i nomi dei papabili per i ministeri sia quello, dopo un paio di giorni, con gli epiteti per la Meloni? E adesso la conversazione filo Putin e anti Zelensky con i colleghi di partito captata in modo ‘misterioso’? Cimici o ‘esternazioni’ volontarie? Fate voi: ma il pallino è nelle mani degli americani. Che ancora una volta ci stanno usando come una loro colonia”.

 

LEGGI 

 

SPY FINANZA/ Se Francia e Germania sono già oltre Berlusconi sulla Russia

DI Mauro Bottarelli

SU IL SUSSIDIARIO

La scorsa settimana, l’agenzia Ansa riportava una notizia che nessuno ha ripreso. Enel ha definitivamente abbandonato la Russia, vendendo i propri assets a Lukoil e Gazprom in seno a un’operazione da 137 milioni di euro. Apparentemente, una mossa coerente con il regime sanzionatorio e con il nuovo corso di affrancamento energetico del nostro Paese da Mosca. Ma con un particolare. La chiusura dell’accordo è stata resa possibile da una deroga al decreto che vieta la vendita di qualsiasi asset russo da parte di soggetti stranieri. Di più. La deroga in questione sarebbe stata decisa da Vladimir Putin in persona. Attenzione alle date: era il 12 ottobre.

Bene, veniamo ora all’altro giorno. Ovvero, al 18 ottobre. Stando a quanto riportato da Bloomberg e da Il Messaggero, infatti, sempre Enel sarebbe in trattativa con alcune banche – fra cui Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm e Bper Banca, oltre a Cassa depositi e prestiti – per una nuova linea di credito revolving fino a 16 miliardi di euro con garanzia Sace al 70% per coprire rischi derivati da aumento prezzi. Sempre stando ai rumors, Unicredit e Intesa farebbero capo a 5 miliardi l’una, mentre 2 a testa arriverebbero dagli altri due istituti coinvolti e da Cdp. E se il fatto che tutte le parti in causa abbiano opposto un eloquente no comment a ogni richiesta di conferma o smentita, a far drizzare le antenne sarebbe la ragione di tanta urgenza e di una somma così ragguardevole: serve collaterale a garanzia per i contratti futures. Tradotto, margin calls. Inutile negarlo: in assenza di chiarimenti da parte degli interessati, immediatamente le modalità e la cifra messe sul piatto rimandano alla recente vicenda che ha visto coinvolta la utility tedesca Uniper, travolta dall’aumento esponenziale dei costi legati al prezzo del gas e giunta al fine a una nazionalizzazione costata circa 15 miliardi di euro allo Stato.

 

Apparentemente, la cessione di assets russi sarebbe quindi stata detta dalla necessità di fare cassa. E questo apre qualche interrogativo non solo sul perché Vladimir Putin abbia acconsentito alla deroga, ma anche su quali eventuali canali diplomatici e di moral suasion la abbiano resa possibile. Casualmente, nel giorno in cui emergeva la necessità di capitale di Enel e il diretto coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti e dei principali istituti bancari del Paese per una somma tutt’altro che ordinaria, Silvio Berlusconi pare colto da incontinenza verbale nel corso della riunione con i gruppi parlamentari. E conferma un suo riavvicinamento nei rapporti personali con Vladimir Putin, condendo il tutto con particolari sui regali di compleanno. Ma, soprattutto, tratteggiando uno scenario tutto politico: a detta del Cavaliere, i ministri russi ritengono l’Italia – come il resto d’Europa – già formalmente in guerra contro Mosca, stante il sostegno militare a Kiev. Un qualcosa che Silvio Berlusconi definisce molto preoccupante.

 

Al netto delle smentite di rito, rese più ridicole che inutili da un audio che lascia poco spazio all’interpretazione, dobbiamo davvero archiviare la strana coincidenza fra le disavventure di Enel e l’outing di politica estera del Cavaliere alla categoria della casualità fortuita? Oppure l’orgoglio ferito del vecchio leone lo ha spinto ad andare oltre, svelando quello che è ormai un segreto di Pulcinella. Cioè che i principali Governi europei – Germania e Francia in testa – hanno riallacciato un segreto, silenzioso e informale filo diretto con le controparti russe da settimane? E che nel caso dell’Italia, questa diplomazia parallela graviti magari attorno al Cavaliere?

A Berlino nessuno lo ammette, ma dietro alla decisione di riattivare fino alla prossima primavera le centrali nucleari, ottenendo il via libera convinto dei Verdi, non c’è stata la benedizione dell’atomo di ultima generazione di Greta Thunberg, ma il ritorno in campo, chiaramente dietro le quinte, di Angela Merkel. La quale starebbe dando vita a una sorta di moral suasion silenziosa e discreta con Mosca, potendo godere di una sponda bipartisan di primissimo livello come Gerard Schroeder, suo predecessore e poi nel Consiglio di amministrazione di Rosneft. E non pensiate che la cosa piaccia a tutti nel Governo, così come nel sottogoverno tedesco. Non a caso, il 18 ottobre è giunta la notizia del licenziamento per sospetti legami con l’intelligence russa nientemeno che del responsabile della cyber-security federale, Arne Schoenbohm. Perché non pensiate che Mosca sia l’unica capitale straniera a poter contare su potenti contatti in Germania: non fosse altro per il ruolo nel Secondo dopoguerra e nel contrasto al ruolo geostrategico della DDR, il Dipartimento di Stato e la CIA a Berlino sono di casa. E non devono aver preso bene certi cedimenti.

Il tutto, giova ricordarlo, sullo sfondo del misterioso sabotaggio a Nord Stream, caso sempre più oscuro dopo la decisione della Svezia di sfilarsi dalla Commissione d’inchiesta congiunta con appunto Germania e Danimarca, poiché nella fase preliminare di indagine interna sull’accaduto, a Stoccolma sarebbero emerse informazioni talmente sensibili per la sicurezza nazionale da vietarne la condivisione. Un’affermazione forte da parte di un Paese che, proprio sull’onda del conflitto ucraino e del contrasto a Mosca, ha abbandonato lo storico ruolo di neutralità e fatto domanda di adesione in fretta e furia alla Nato. Non ci si fida forse di due Stati membri dell’Alleanza, fra cui uno appartenente al gruppo dei fondatori nel 1949?

E vogliamo parlare della Francia? Non contenta dell’accusa frontale senza precedenti di Brune Le Maire contro l’atteggiamento speculativo di Washington nei confronti degli alleati, a cui vende il gas LNG a un prezzo quadruplo rispetto a quello pagato dalle aziende statunitensi, l’altro giorno Emmanuel Macron ha stupito tutti affermando che, se anche la Russia utilizzasse ordigni atomici nel conflitto con l’Ucraina, Parigi non reagirebbe in base alla dottrina della deterrenza. Infine, ecco che questa notizia pare aprire un ulteriore scenario di disallineamento transalpino rispetto ai diktat geopolitici di Usa, Nato e Commissione Ue. Bnp Paribas starebbe infatti per ottenere l’autorizzazione dalle autorità cinesi per entrare ufficialmente nel mercato del wealth management del Dragone attraverso una joint venture, divenendo primo soggetto europeo a fare diretta concorrenza proprio a grandi player a stelle e strisce come BlackRock. Casualmente, la notizia dell’application per la nuova autorizzazione per l’unità di asset management AgBank è giunta subito dopo il discorso inaugurale di Xi Jinping al Congresso del PCC.

Insomma, la realpolitik sta tornando in grande stile. Ancorché in modalità sotterranea. Sicuramente saranno tutte coincidenza, ma attenzione a derubricare troppo in fretta le parole di Silvio Berlusconi su Vladimir Putin a pura mitomania senile. Il Cavaliere ha infatti un unico modo per rubare la scena ai due ex delfini divenuti squali del nascente Governo: una nuova Pratica di Mare, sotterranea e informale, che porti alla pace fra Russia e Ucraina. O, quantomeno, alla tregua e a un negoziato. Di fatto, un lasciapassare per i libri di Storia. E il suo ego sta fremendo.

 

 

 LEGGI 

 

Audio Berlusconi. Quale scandalo, sono verità storiche

Di Antonio Perillo

 

SU L’ANTIDIPLOMATICO

 

Ho ascoltato l’audio di Berlusconi diffuso oggi pomeriggio. Al netto dei toni e di qualche definizione, come quelle personali su Zelensky o sulle “persone perbene” con le quali Putin avrebbe voluto sostituirlo (parliamo sempre di Silvio Berlusconi!), dice tutte cose vere.

 

Per punti:

– “gli accordi tregua di Minsk del 2014 saltano dopo un anno”. Vero, ci sono i report quasi quotidiani dell’OCSE a dimostrarlo. L’esercito regolare ucraino e le repubbliche separatiste fin dal 2015 si sparano lungo tutta la linea del fronte con le armi pesanti proibite dagli accordi (l’artiglieria) e le vittime sono state diverse migliaia fra militari e civili.

– con l’arrivo di Zelensky (2019), pur eletto con un programma che prevedeva la pace, la situazione non migliora, anzi. Il “triplicano” di Berlusconi è probabilmente un’esagerazione, ma aumentano sia il numero degli attacchi sia le truppe ucraine schierate al fronte.

– i rappresentanti delle repubbliche di Donetsk e Lugansk si recano a Mosca chiedendo l’aiuto di Putin. Verissimo, lo fanno da anni. Lo dissero anche a noi quando ci recammo in Donbass nel 2017. Chiedevano già allora il riconoscimento delle repubbliche e l’intervento della Russia. Putin ha atteso 8 anni nei quali non si è fatto sostanzialmente nulla per risolvere una questione incandescente.

– la cosiddetta “operazione speciale” di Putin intendeva rovesciare in una settimana il governo di Zelensky. Verissimo, è stata la prima fase della guerra con l’accerchiamento anche di Kiev.

– il piano russo fallì per l’inaspettata resistenza ucraina, sostenuta fin dal primo giorno dall’Occidente con l’invio di armi e soldi. Anche qui, semplici fatti.

– “non vedo come Putin e Zelensky possano negoziare”. Anche questo mi sembra evidente, il negoziato vero sarebbe quello tra Nato e Russia. Gli ucraini, giustamente dal loro punto di vista, fin quando sono sostenuti resistono e combattono.

– “non ci sono veri leader in Occidente”. Anche qui, Berlusconi dice una cosa verissima e sotto gli occhi di tutti. Non si scorgono in Europa o negli USA autorità politiche e morali lontanamente degne di figure del passato. Qualcuno potrebbe mai paragonare Biden, Macron e Scholz con Churchill, De Gaulle o Kennedy? E aggiungo che anche l’assenza della Merkel, per me non certo un gigante, sembra pesare moltissimo.

Queste ore i nostri media sono pieni di grida dello scandalo perché qualcuno che conta ha osato dire (parte del)la verità. E la verità, come non la si può dire in Russia, non può trapelare nemmeno nella colonia italiana dell’impero a stelle e strisce.
Faranno passare le esternazioni di Berlusconi come demenza senile e le useranno per blindare ancora più duramente la fedeltà atlantista del nuovo governo, che si annuncia allineato e coperto tanto e di più di quello di Draghi.

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