DI PIETRO – LO STATO PERDE, MESSINA INCASSA

L’intero settore dei trasporti a rischio crac per un arbitrato perso da 1 miliardo e mezzo. Fanno festa invece una vecchia conoscenza, Edoardo Longarini, e i superfortunati arbitri, due di Italia dei Valori, il partito di Antonio Di Pietro che all’epoca era ministro.

Un arbitrato perso dal ministero delle Infrastrutture per la stratosferica cifra di 1 miliardo e mezzo di euro rischia di portare al collasso il sistema dei trasporti, con pesantissime conseguenze su una dozzina di opere pubbliche in fase di realizzazione, con un blocco pressochè totale dei fondi per il trasporto locale che – già penalizzato dal preminente interesse di spesa per la solita alta velocità mangiasoldi – rischia il crac, e con evidenti, nefaste conseguenze per l’occupazione. Un cocktail micidiale per un’economia e una situazione sociale già in stato comatoso, nonostante le sirene di una ripresa da sempre dietro l’angolo. Eppure, di una simile situazione esplosiva nessuno praticamente parla. Il silenzio più assordante.
Una vicenda ‘italiana’, invece, tutta da raccontare, proprio quando vanno avanti le inchieste fiorentine e napoletane sui grandi appalti e sulle solite cricche all’assalto dei vagoni di danari pubblici. Anche stavolta si parla di lavori pubblici, addirittura delle opere di ricostruzione post bellica in centri come Ancona, Macerata e Ariano Irpino. Le opere, forse, più care al mondo: assegnate, mai eseguite, subito entrate in contenzioso, contestate, impugnate. Alla fine il vincitore è una vecchia conoscenza della prima tangentopoli, Edoardo Longarini, re di strade, di appalti pubblici, che addirittura nel ’90, la bellezza di 25 anni fa, vince davanti al pretore di Roma, e poi rivince davanti alla Corte d’Appello di Roma. La controparte è il ministero delle Infrastrutture: all’epoca del secondo governo Prodi retto da Antonio Di Pietro, decide di ricorrere all’arbitrato, strumento che in più occasioni – vedremo più avanti – Di Pietro contesterà a tutta forza. E strumento – secondo gli addetti ai lavori – che vede soccombere lo Stato nel 90 per cento dei casi.
Ma facciamo parlare le carte, le interrogazioni parlamentari, le sentenze, alcune dichiarazioni dei protagonisti.
3 aprile 2013, interrogazione parlamentare rivolta dal pd Marco Filippi al presidente del consiglio e al ministro delle infrastrutture. “In contrasto con quanto dichiarato nel corso di un’intervista pubblicata sul Sole 24 ore in data 7 settembre 2007 e con quanto previsto dalla legge finanziaria per il 2008, il Ministro (Antonio Di Pietro, ndr) ha messo in atto procedure per la definizione di controversie interessanti i contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi mediante il collegio arbitrale. Inoltre, non ha atteso che l’organo in difesa dello stato potesse, nei 20 giorni previsti dalla legge, declinare la competenza arbitrale. L’Avvocatura generale dello stato, infatti, in data 2 luglio 2007, ha declinato la competenza arbitrale e invitato la controparte a proporre le proprie domande e istanze avanti al giudice ordinario, secondo le vigenti norme di rito”. I riferimenti di Filippi riguardano l’arbitrato di Macerata, ma la stessa procedura verrà seguita anche negli altri due casi. Filippi punta i riflettori anche sui nomi degli arbitri. “All’epoca dei fatti, il professor Carlo Malinconico esercitava le funzioni di segretario generale del consiglio dei ministri; l’ingegner Vito Gamberale (scelto da Longarini come arbitro!, ndr) era amministratore di Fondo 2 infrastrutture, di natura pubblica, costituito a cura del ministero dell’economia e delle finanze; l’avvocato Domenico Condello era appartenente ad Italia dei Valori e, tra gli altri incarichi, era docente presso le università di Urbino e di Roma La Sapienza e Roma 3”. In seguito Malinconico rinuncia all’incarico e “la controversia veniva trasferita, in data 27 giugno 2008, al medesimo collegio arbitrale, presieduto dall’avvocato Vincenzo Nunziata, con arbitri Gamberale e l’avvocato Ignazio Messina, già costituito per la risoluzione della vertenza relativa al comune di Ariano Irpino”. Dunque – porte girevoli – esce un esponente di Italia dei Valori, Condello, e ne entra un altro, Messina: sì, il segretario di Idv dopo il clamoroso abbandono di Di Pietro in seguito alla trasmissione di Report. Sul fronte di Ancona, invece, l’arbitro da novanta è Pasquale De Lise, presidente aggiunto del consiglio di stato e cavaliere dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio.
Ma Filippi, nella sua interrogazione, chiedeva di sapere “quali siano le ragioni che hanno indotto il ministro pro tempore (Di Pietro, ndr) a non rispettare e a non far rispettare il disposto dell’articolo 44 della legge 144 del ’99 che, a parere dell’interrogante, avrebbe messo fine ad ogni pretesa risarcitoria da parte della società Adriatica costruzioni del signor Longarini; se intenda rendere note le motivazioni per le quali il Ministro, che si era pubblicamente proclamato contrario all’istituto dell’arbitrato, tanto da fari promotore della corrispondente norma esistente nella legge finanziaria per il 2008, abbia nella fattispecie espressamente devoluto la soluzione della controversia agli arbitri, senza nemmeno dare la possibilità all’Avvocatura dello stato di esercitare pienamente la propria funzione”.
Ancor più duri i 5 Stelle, che in un’interrogazione del 12 luglio 2013 (firmatari Donatela Agostinelli, Andrea Cecconi e Paola Terzoni) sull’affare Longarini, chiedono di fare chiarezza “sull’indecorosa vicenda degli arbitrati concessi dai ministri Antonio Di Pietro e Altero Matteoli (successore sulla poltrona ministeriale nel successivo governo Berlusconi, ndr) a Longarini”. E anche loro sottolineano la palese contradditorietà di un “Di Pietro che ha costituito il collegio arbitrale e un Di Pietro che ha dichiarato di non volere gli arbitrati”. Occorre individuare – sottolineano i grillini – tutte “le responsabilità personali di burocrati e politici”. Durissimi, poi, sul caso Ancona. “Per Ancona – denunciano – è stata superata ogni immaginazione: il collegio presieduto dal presidente del Consiglio di stato ha condannato lo stato a pagare 1,5 miliardi a Longarini; e con separata ordinanza il collegio si è autoliquidato un compenso da 12 milioni di euro per i tre arbitri, ognuno più alto della paga di un Direttore Generale per una vita di lavoro. Anche per i due, tre segretari compensi da nababbi, 1,2 milioni di euro; non male per il CTU che becca 620 milioni di euro. Tanto li pagano gli italiani”.
Da una cifra all’altra, eccoci ai compensi arbitrali per i lodi di Ariano Irpino e Macerata (lo ricordiamo, prima il trio Malinconico-Gamberale-Condello, poi Nunziata-Gamberale-Messina): 1 milione 187 mila euro per Ariano, 1 milione 346 mila per Macerata: un totale, quindi, che supera i 2 milioni e mezzo di euro: una bella cifra in tempi di crisi e, soprattutto, quando poi si tagliano posti di lavoro, investimenti primari e si mandano al macello i pendolari!
Ma ecco il Di Pietro versione anti-arbitrati. Così all’Adn Kronos il 31 maggio 2012: “La previsione di arbitrati nella pubblica amministrazione è uno strumento per raggiungere fini illeciti attraverso strumenti leciti. Affidare gli arbitrati alla pubblica amministrazione significa non avere la certezza di un giudice terzo. Per le controversie della pubblica amministrazione deve decidere il giudice naturale previsto dalla legge”. L’esatto contrario di quanto ha fatto il Di Pietro-ministro nel caso Longarini. E ancora, sempre all’Adn Kronos e proprio sulle norme anticorruzione ecco le sue parole: “Il ddl anticorruzione è un provvedimento sulla falsariga di quello che Berlusconi varò nel 1994 per fermare Mani pulite. E’ pieno di chiacchiere, certo non di strumenti per combattere realmente la corruzione. Hanno imposto l’arbitrato di nomina delle parti per i contenziosi tra pubblica amministrazione e privati, sottraendoli all’autorità giudiziaria”.
Ma c’è anche un Di Pietro ter, né a favore né contro gli arbitrati, ma attendista. Succede quando, a fine 2007 e quindi da ministro in carica, decide per una ‘moratoria’. Ecco come ricostruisce i fatti Valeria Uva per il Sole 24 ore: “Nel decreto milleproroghe del 28/12/2007 c’è la sospensione fino al 1/7/2008 del divieto di ricorrere ai giudici privati per liti negli appalti. Un decreto che sarebbe scattato dal 1 gennaio. La moratoria è stata proposta dal ministro Antonio Di Pietro direttamente in Consiglio dei ministri ed è passata senza resistenze. Anzi – sottolinea Di Pietro – con il pieno appoggio del ministro di Grazia e giustizia Clemente Mastella”. Cin cin.
Passiamo ai nostri giorni. E’ fresca – 16 marzo 2016 – la sentenza della terza sezione civile della Corte d’Appello di Roma (firmata dal presidente Giovanni Buonomo e dai consiglieri Laura Avvisati e Mauro Di Marzio) che condanna il ministero al maxi risarcimento a favore di Longarini. Il provvedimento si riferisce alla sola vicenda di Ancona. Così ricostruiscono: “Passata in giudicato la sentenza di condanna generica, il Ministero delle Infrastrutture ha ritenuto di deferire la quantificazione del risarcimento ad un collegio arbitrale, stipulando con atto approvato il 6 settembre 2006, una convenzione di arbitrato in materia non contrattuale. All’esito della procedura, con lodo parziale del 26 marzo 2012, cui ha fatto seguito un lodo definitivo sottoscritto il 21 giugno 2012, gli arbitri hanno liquidato i danni nella misura di euro 1.201.105.077, comprensivi del danno da ritardato pagamento e al netto degli interessi legali decorrenti dalla pronuncia sino al saldo e della metà delle spese occorrenti per il giudizio arbitrale”, spese che – come visto – non sono proprio bazzecole…
La Corte passa quindi in rassegna i gravi pericoli manifestati dal ministero per le conseguenze economiche della sentenza. “Dall’esecuzione del lodo e della sentenza deriverebbe per l’amministrazione dello Stato un danno grave e irreparabile ‘in quanto l’enorme importo della pronuncia di condanna, da valutare anche alla luce dell’attuale contingenza economica, caratterizzata dalla drastica riduzione delle disponibilità finanziarie di pertinenza del ministero, rischierebbe di paralizzare l’esecuzione di opere pubbliche di rilevante interesse strategico nazionale’. Il Ministero ha quindi prodotto in giudizio una nota del 26 gennaio 2015, con cui il direttore generale del Dipartimento delle infrastrutture evidenzia la possibilità che siano tagliate le disponibilità di cassa per l’anno 2015 in relazione a 12 progetti relativi ad importanti opere pubbliche (con conseguente perdita di occupazione per mancata apertura dei cantieri o interruzione dei cantieri già aperti) ed ha inoltre prodotto, nel corso della discussione tenutasi all’udienza dell’11 marzo 2015, una relazione del medesimo dirigente amministrativo che lamenta il rischio di un blocco dei finanziamenti destinati al settore del trasporto pubblico locale a seguito del pignoramento di tutte le somme disponibili presso la Banca d’Italia (pari ad euro 821 milioni 530.424) e non ancora idonee a coprire l’intero ammontare le debito”.
Durissima la conclusione dei giudici. L’istanza – viene precisato – è inammissibile per tutta una serie di motivi ma c’è di più: “essa sarebbe in ogni caso infondata nel merito perchè il danno grave e irreparabile, invocato dalla difesa erariale in relazione alla mancata copertura finanziaria dell’ingentissimo debito, è da porre in relazione non certo all’ingiustizia della sentenza impugnata, quanto alla mancata previsione di un accantonamento in bilancio, secondo le regole della buona amministrazione, per far fronte alle conseguenze di una decisione nota da dieci anni (quanto all’obbligo risarcitorio) e da tre anni, quanto al suo preciso ammontare. E questo a prescindere dalla decisione, pure assunta autonomamente dall’Amministrazione istante (ed eventualmente sindacabile dal giudice contabile, al quale vengono pertanto trasmessi gli atti), di attribuire ad un collegio arbitrale il compito di liquidare un così rilevante danno, nonostante la sostanziale incensurabilità della decisione in sede giurisdizionale”.
Due precise sferzate, quindi, all’attuale ministero che non sa farsi neanche due conti; e a quel vertice ministeriale che, all’epoca, scelse la via del “suicidio” via lodo arbitrale.
E l’incredibile esito, in soldoni, è che in un colpo solo l’arbitrato Longarini azzera tutti i fondi disponibili per il trasporto locale che – secondo alcune stime – necessitava di somme urgenti pari ad almeno 600 milioni di euro. A rischio alcune opere ‘strategiche’ come la Torino-Lione: a questo punto, i no tav possono tirare un sospiro di sollievo e ringraziare il ministero… Scherzi a parte, si tratta di cifre da autentico brivido, una su tutte: i posti di lavoro in pericolo sono un vero esercito, fra i 35 e i 40 mila. Una parola dal ministro Lupi prima di togliere il disturbo? Niente. Qualche commento dal neo ministro per le infrastrutture Graziano Del Rio? Silenzio. E resta muto come un pesce anche Di Pietro che rintracciato dall’inviato di Libero Giacomo Amadori, unico a raccontare questa storia, risponde a monosillabi: “non so nulla, sono in campagna a Montenero di Bisaccia” Si ricorda di quei tre arbitrati? “Non mi ricordo proprio niente”. Longarini, non ricorda? “Non so di cosa sta parlando, mi ha beccato in campagna. Buonasera”. La parola ritorna, d’incanto, nel salotto di Michele Santoro a discutere di legalità e trasparenza negli appalti.
Abbiamo chiesto lumi ad un esperto in materia di reati contro la pubblica amministrazione. “Una storia davvero incredibile. Anomalie a non finire. Ci sarebbe da capire molto in questa vicenda che presenta troppi lati oscuri. Gli importi, poi, mi sembrano assolutamente stratosferici, e anche qui andrebbe effettuata una verifica ad hoc”. Circa l’importo, a quanto pare, è una cifra assolutamente record. Tale da superare lodi arbitrali tra colossi nazionali. Un esempio, leggiamo dal Corriere della Sera del 24 marzo: “Arbitrato tra Edison ed Eni – Vale almeno 800 milioni il rimborso chiesto dalla Edison all’Eni sulla revisione dei prezzi del contratto per le forniture di gas dalla Libia. Una richiesta rispedita al mittente attivando un arbitrato internazionale, che si sta avviando alla conclusione. La procedura è stata avviata nell’autunno 2012, contestualmente all’annuncio con cui è stata notificata alle parti la vittoria di Edison nel primo arbitrato, quello del 2010”.
Quanto al resto, leggiamo cosa scriveva il Messaggero, edizione delle Marche, il 24 maggio 2013: “Le incompiute di Ancona, Macerata, Ariano Irpino hanno fruttato a Longarini 1,5 miliardi di euro. Soldi concessi attraverso una serie di arbitrati. Ma la Guardia di Finanza ha deciso di vederci chiaro e ha sequestrato gli atti di quei lodi voluti dall’allora ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro”.
Che esiti hanno avuto quelle indagini delle Fiamme gialle? C’è una procura che sta indagando? Forse ai senza lavoro (o a chi sta per perderlo) oppure ai pendolari la notizia può interessare.

Nella foto, Antonio Di Pietro e Ignazio Messina

Un commento su “DI PIETRO – LO STATO PERDE, MESSINA INCASSA”

Lascia un commento