40 ANNI DI ‘VOCE’ / I NOSTRI COMPAGNI DI VIAGGIO

Quarant’anni di ‘Voce’.

Di giornalismo per ‘dar voce’ ai cittadini, ai lettori e, soprattutto, agli ultimi, a tutti quelli che ‘non hanno voce’, come scrivemmo nel primo editoriale di aprile 1984.

Di giornalismo d’inchiesta, di ‘contro-informazione’, visto soprattutto l’andazzo ormai da anni, dove la vera informazione è praticamente morta e sepolta sotto valanghe di fake news quotidiane.

Un mondo in cui il diritto all’informazione è del tutto negato ai cittadini, costretti a sorbirsi minestroni super riscaldati; e dove proprio l’informazione è ormai una merce rara, rarissima, del tutto omologata, cloroformizzata, oscurata, calpestata, irregimentata.

E fin da quell’aprile 1984, ci ponevamo una domanda oggi più che mai attuale – ‘Sinistra, dove vai?’ il titolo di copertina – visto che già allora le utopie, la spasmodica ricerca di ‘giustizia sociale’ si andava man mano annacquando.

La Voce di giugno 1984

Un interrogativo ancora più pressante subito dopo, maggio ’84, con una cover senza titolo in cui campeggiava il volto di Enrico Berlinguer, appena scomparso.

E con lui la sinistra ‘politica’ di casa nostra è sparita, quella spinta per cambiare il mondo sempre più affievolita, la passione per una ‘rivoluzione’ vera progressivamente ma inesorabilmente appannata.

Così come il senso della giustizia, la voglia di giustizia, anni dopo, è ‘morta’ con i funerali di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: lo abbiamo più volte sottolineato negli ultimi tempi, in cui la Giustizia, quella autentica, è sempre più una mosca bianca, anch’essa merca rara, rarissima nelle aule dei nostri tribunali. Stragi di Stato e maxi Depistaggi (sempre di Stato), a parte.

Una cavalcata di 40 anni entusiasmante – la rifarei cento volte – appassionate come niente al mondo, perché sai di lottare, anche a volte in quasi totale solitudine, per la causa in cui credi, che dà ragione alla tua esistenza; per un ‘ideale’ come si diceva un tempo, proprio perché sei convinto, con il tuo contributo, di poter cambiare il mondo, almeno un po’. Del resto è proprio questo che ha animato il ’68, zeppo di errori, ma ricchissimo di speranze & utopie: quello spirito sepolto per decenni e che proprio ora, in queste settimane, pare ‘risorto’, grazie alle manifestazioni studentesche in tanti atenei italiani dove si protesta contro il genocidio dei palestinesi e, ovviamente, il governo sfascista (o fascistoide, come lo definisce con lucidità Luciano Canfora, appena querelato dalla premier Giorgia Meloni) che torna ai suo cari manganelli.

Entusiasmante, abbiamo appena detto, ma anche lacerante e massacrante.

Come una lunga, interminabile maratona, spesso nel deserto, e zeppa di ostacoli lungo il percorso.

Che non sono state solo le minacce, soprattutto negli anni ’80 e ’90, della camorra, dalle intimidazioni alle telefonate minatorie all’auto bruciata e via di questo passo.

Ma soprattutto attraverso la ‘via giudiziaria’, con una marea di querele penali e, soprattutto, di cause civili per risarcimento danni, un revolver puntato contro la tempia dei reporter scomodi dai ‘colletti bianchi’, da lorsignori che le attivano – pur avendo torto marcio, e sapendolo – per intimidirti, per scoraggiarti, per fiaccarti.

Antonio Di Pietro

Ne abbiamo subite tante, ma ancora ‘reggiamo’ l’urto, come vi illustreremo a breve nella ricostruzione di questi decenni. Patendo enormi danni: in soldoni, ci hanno ridotti (soprattutto con il colpo finale firmato don Antonio Di Pietro), praticamente sul lastrico.

Torniamo alla ‘Voce story’: una cavalcata, appunto, per ricordare i tanti protagonisti che ci hanno accompagnato e ci accompagnano lungo il percorso. E per rammentare le tante battaglie portate avanti, i tanti filoni di contro-inchieste dagli anni ’80 ad oggi. Ed anche le tante pubblicazioni, sia come edizioni della Voce, sia come collaborazioni per libri che hanno lasciato il segno.

 

I NOSTRI COMPAGNI DI VIAGGIO

Partiamo dai compagni di viaggio.

Luciano Scateni

Il compagno nel senso più vero del termine, anche perché si tratta di un rosso nel cuore e nel crine, è Luciano Scateni. Era già, giovanissimo, una colonna portante – è proprio il caso di dire – della ‘vecchia’ Voce, quella edita dal PCI partenopeo negli anni ’80 e nell’ultimo biennio diretta da Michele Santoro. E Luciano fu anche in sella all’edizione napoletana di ‘Paese Sera’, un mito di quegli anni; e poi imperdibile volto del Tg3 Campania per decenni, capace di raccontare ai cittadini quel che realmente succedeva, fuor di retoriche e dalle odierne orde di fake news. Unico: e quando la Rai valeva, aveva un ruolo e un peso, non il baraccone circense di oggi.

L’altro nome che ci viene subito in mente è quello di Ferdinando Imposimato, amico di una vita, fin dagli anni ’70: e proprio da lui e con lui abbiamo iniziato fin da subito la strada del giornalismo investigativo. Mitiche le sue contro-inchieste: dal caso Cirillo anni ’80 fino al giallo di Mohamed Atta e delle Torri Gemelle.

Un nome, quello di Ferdinando, che si lega ad altri che con lui e con la Voce hanno fatto lunghissimi percorsi in comune: da Sandro Provvisionato a Giulietto Chiesa fino ad Oliviero Beha ed Elio Lannutti, le cui firme hanno arricchito in modo indelebile la Voce per tantissimi anni.

Ma è impossibile non citare tanti altri straordinari compagni di viaggio, molti dei quali hanno iniziato i loro percorsi professionali proprio con la Voce.

Come Enrico Fierro, per anni la nostra voce dall’Irpinia ai tempi del dopo terremoto ’80, la ricostruzione bollente, i fasti demitiani e non solo; poi inviato dell’Unità, quindi del Fatto e poi del Domani, abbiamo firmato insieme (e con Rita Pennarola) due nostri libri, ‘Grazie Sisma- Dieci hanno di potere e terremoto’, uscito nel 1990, e ‘O Ministro’ dedicato alle imprese dell’allora titolare del Bilancio, Paolo Cirino Pomicino, dell’anno successivo, il ’91.

E ancora, Silvestro Montanaro: imperdibili i suoi profetici reportage sulle prime ‘imprese’ della camorra in Terra di Lavoro, dagli esordi con l’allora star Antonio Bardellino fino ai Casalesi e quel Sandokan che oggi torna dopo un quarto di secolo alla ribalta; poi una vita in Rai, Silvestro, come inviato che più speciale non si può in mezzo mondo per documentare sfruttamenti, vite degli ultimi, ingiustizie sotto tutte le latitudini.

Eccoci ai due grandi amici inglesi, Percy Allum e Tom Behan, ‘napoletanizzati’ al punto giusto (il secondo aveva addirittura la segreteria telefonica in dialetto partenopeo!), entrambi per anni docenti all’Orientale. Autore, Percy, di un libro che ha fatto storia sulla DC (‘Potere e Società a Napoli nel dopoguerra’) e, in particolare, sulla corrente per anni predominante nello scudocrociato, quella guidata prima da Silvio e poi da Antonio Gava. Ha invece firmato, il trozkista Tom, dei must sul fascismo e un profetico ‘Vedi Napoli e poi muori’ quando la camorra era ancora in fase di decollo.

Paolo Speranza

Amici per la pelle, poi, Amato Lamberti, un altro grande ‘anticipatore’, il sociologo che fondò l’Osservatorio sulla camorra al quale collaborava Giancarlo Siani: ha scritto per anni sulle colonne (è il caso di dire, quando era un mensile cartaceo) della Voce; così come il ‘pretore antiabusivismo’ sempre in prima linea contro mattonari, speculatori e camorristi d’ogni risma, Aldo De Chiara; ed Enzo Albano, tra i fondatori di ‘Magistratura Democratica’ e primo, autentico ‘garantista’, non come i tanti d’accatto dei decenni seguenti.

Hanno mosso i primi passi nella nostra redazione ‘sgarrupata’ di piazza Mercato anche Beniamino Daniele (poi passato alle tivvù), Nello Trocchia, un talento nato, poi via tivvù, quindi all’Espresso e adesso al Domani, Dario Ferrara, brillante giornalista di giudiziaria a Roma.

Ancora, Paolo Speranza, altra firma per anni dall’Irpinia e poi come critico cinematografico (è sua la bellissima edizione de ‘Quaderni di Cinemasud’).

Walter Di Munzio

E chiudiamo il cerchio con un grande amico ritrovato, lo psichiatra Walter Di Munzio. Un legame memorabile, quello che mi lega a lui, perché il primo libro pubblicato dalla Voce (allora l’editrice si chiamava Cinqueprint, fondata anche con un altro amico di sempre, Rino Oliviero, che ha inventato nel cuore di Napoli ‘il giardino di Babook’) fu ‘Sopra la Panca – storia senza conclusione di follia, manicomi e riforme in Campania’, scritto da Walter a quattro mani con Sergio Piro.

Altra presenza che più storica non si può, quella del fondatore, con Franco Basaglia, di ‘Psichiatria Democratica’: perché Sergio ha scritto rubriche per molti anni sulla Voce (‘la Biro di Piro’ e ‘Senzatitolo’). Del resto, anche sulla ‘vecchia’ (anni ’70) Voce firmai una sfilza di inchieste, proprio grazie a Piro, sui manicomi, le istituzioni totali in Campania ed in particolare sul Frullone, il mitico ‘manicomio aperto’ di Napoli, un ribollire, già anni prima della ‘legge Basaglia’, di iniziative culturali di grosso spessore.

Con Walter ci siamo ritrovati un anno fa. Da allora i suoi contributi sono davvero fondamentali per noi, per capire e ‘decodificare’ le tante, troppe vicende che assillano le nostre vite quotidiane.

Visto che abbiamo parlato di libri, allora completiamo il tour.

 

DA ‘O MINISTRO A SUA SANITA’

Abbiamo fatto prima cenno a ‘O MinistroLa Pomicino story, Bilancio all’italiana’. Lo coeditammo con la ‘Publiprint’ di Trento, fondata e animata dal coraggioso Eugenio Pellegrini, che aveva già, nel carniere, alcuni libri scritti dal giudice Carlo Palermo (sue le prime inchieste siciliane sulle connection politico-mafiose nonché su maxi tangenti e fondi neri che gli costarono le cariche di tritolo) e dal prete delle periferie Alex Zanotelli, a lungo in con gli ultimi in centro Africa, poi ormai da vent’anni nel cuore di Napoli.

Ebbene, ‘O Ministro scatenato ci schierò contro l’artiglieria pesante, sparando una citazione ‘risarcitoria’ da guinness dei primati, la bellezza di 11 miliardi di vecchie lire: avete letto bene, 11 miliardi tondi tondi.

E partì, lancia in resta, anche l’ICLA, ossia la sua ‘impresa del cuore’, baciata dalla fortuna con caterve di appalti miliardari per il dopo terremoto e su tutto il fronte dei lavori pubblici per un decennio.

Oggi – leggiamo sulla Verità – il direttore Maurizio Belpietro, per giustificare la Meloni anti Canfora via querela, ne vanta una, di querela, sporta anni fa contro di lui da Romano Prodi. Una sola querela eccellente per il direttore di un quotidiano? Bazzecole.

Fanno il paio con le scemenze dette da non pochi soloni del giornalismo in pantofole: mai presa una querela in vita mia! Perché ho sempre verificato i fatti.

Fessi. E/o in malafede.

Ignorano, o piuttosto fanno finta di non sapere, che le querele e le citazioni civili risarcitorie e intimidatorie non vengono azionate se il giornalista scrive il falso, se il suo articolo è destituito di fondamento: ma quasi sempre per ‘lesa maestà’, per ‘il tono’, caso mai per i titoli appena un po’ strillati.

E così allora ci successe con ‘O Ministro, dove i fatti erano certi, incontrovertibili, cresimati e santificati: ma cosa costava a un super parlamentare ‘sparare’ la citazione tanto per intimidire e lanciare il suo ‘avvertimento’? Niente.

Passiamo al volume dell’anno successivo, 1992, ‘Sua Sanità – Viaggio nella De Lorenzo spa, un’azienda che scoppia di salute’, stavolta dedicato al ministro partenopeo Francesco De Lorenzo.

Ecco l’incredibile ‘story’.

Lo presentiamo caldo caldo come una sfogliatella (non era ancora in libreria, ma appena uscito dalla tipografia trentina) a febbraio 1992 in un grande padiglione di ‘Città della Scienza’, la magnifica creatura dedita alla divulgazione scientifica voluta dal grande fisico (e altra nostra firma per un paio d’anni, con i sui magnifici racconti; altrettanto stupendi quelli firmati da Manuela Mazzi per noi) Vittorio Silvestrini. Sala gremita, per presentarlo invitiamo proprio Sergio Piro, il non ancora sindaco di Napoli Antonio Bassolino e il parlamentare della Rete Giuseppe Gambale. Ad un certo punto, dalla sala, si alza un braccio e chiede di parlare: è il legale di Sua Sanità che proclama, “abbiamo appena chiesto il sequestro del libro, ci vediamo davanti al giudice”.

Rifletto un minuto e replico: “Penso proprio che davanti al giudice ci vedremo prima per un altro motivo. Vi denuncio per ricettazione”.

Elementare, a quel punto: come avevano mai fatto ad ottenere le bozze del libro, e addirittura il tempo per leggerlo, redigere un atto legale con la richiesta di sequestro, se non trafugandolo, rubandolo proprio dalla tipografia? E così fu: passammo la notte, con il nostro legale Gennaro Lepre e con l’amico Eugenio Pellegrini, a scrivere la denuncia. Due giorni dopo, ricordo il titolo in prima pagina de ‘Il Resto del Carlino’: “Adesso De Lorenzo ruba anche le bozze dei libri”. Mitico.

Erano i mesi della ‘Farmatruffa’ che vedeva implicati fino al collo sia De Lorenzo che il suo grande amico e compare di (maxi) merende, Duilio Poggiolini, all’epoca strategico Direttore generale al ministero della Sanità: ricordate il puff del salone zeppo di banconote?

Ebbene, per quella Farmatruffa, ossia per le tangenti percepite dalle aziende farmaceutiche per far lievitare i prezzi dei medicinali, e per la figuraccia internazionale dell’Italia, i due beccarono una multa non poco salata (e rara, per la verità): 5 miliardi di lire a testa. E De Lorenzo evitò una lunga detenzione solo per la ‘sceneggiata’ del cancro simulato: barba lunga, viso pallido e smunto, un copione perfetto per impietosire i giudici.

Così come miracolosamente Sua Sanità (ma non Poggiolini, che non ha partecipato alle udienze solo per le precarie condizioni fisiche) ha schivato il banco degli imputati – che gli sarebbe spettato di diritto – per la storiaccia del ‘sangue infetto’. Un processo lungo vent’anni, iniziato a Trento, poi passato a Roma, quindi traslocato a Napoli, ammuffito per anni negli scantinati del centro direzionale e durato tre anni, dal 2016 al 2019: incredibilmente finito con un’assoluzione generale (‘il fatto non sussiste’) per tutti gli imputati, usciti come viole mammole. Si trattava, oltre che di Poggiolini, soprattutto di funzionari e dirigenti delle aziende del gruppo Marcucci che negli anni ’70 e ’80 avevano prodotto e commercializzato emoderivati, avendone l’oligopolio in Italia.

Una delle più luride storie italiane, che solo nel Belpaese non ha mai avuto lo straccio di una giustizia per le vittime (oltre 5 mila) e per i loro familiari, nel migliore dei casi risarciti con vergognose mance di Stato. Mentre in altri paesi la giustizia ha fatto il suo corso e accertato molte responsabilità: in Francia, ad esempio, è addirittura caduto il governo Juppè, mentre in Inghilterra è stata creata una Commissione parlamentare d’inchiesta ad hoc, non una come le nostre ritualmente taroccate e insabbiatrici.

Ebbene, tre anni fa siamo stati querelati dagli eredi Marcucci (i figli del patriarca Guelfo, ossia l’ex capogruppo al Senato del PD Andrea Marcucci; il Ceo della corazzata di famiglia dall’inizio 2000 Kedrion, Paolo Marcucci; e la coeditrice de l’Unità sempre ad inizio anni 2000 e oggi in sella alla Fondazione per il Canevale di Viareggio, Marilina Marcucci) e dalla stessa Kedrion, non per i tanti articoli scritti nel corso dei tre anni del processo partenopeo (che abbiamo seguito in tutte le sue udienze, due lunedì ogni mese), ma per 4 brevi pezzi pubblicati appena scoppiata la pandemia. Una vicenda processuale ai confini della realtà che abbiamo più volte dettagliato sulla ‘Voce’, e basta andare alla casella CERCA e digitare i nomi dei Marcucci per rendersene conto.

Ma riprendiamo il filo del discorso.

Eravamo al volume ‘Sua Sanità’ che ebbe un grosso successo in libreria, fu per alcune settimane in testa alle classifiche per la saggistica, ma per il quale non beccammo neanche un quattrino: visto che il povero, coraggioso Pellegrini pagò anche lui il conto (e dopo qualche anno è morto di crepacuore): la sua casa editrice, infatti, venne fatta fallire, e tutti gli incassi raccolti con le ottime vendite del libro finiti nelle mani dei ‘creditori’. Cin cin.

Passiamo alle collaborazioni e ai premi ricevuti dalla Voce.

Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola al Quirinale ricevono il Premio Saint Vincent dalle mani del capo dello Stato

Sul primo fronte, abbiamo dato (Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola) una mano a Giorgio Bocca per il suo profetico ‘Napoli Siamo Noi’ uscito a gennaio 2006.

Così come abbiamo firmato con lo storico fondatore di ‘Adusbef’ (l’associazione a tutela dei risparmiatori) Elio Lannutti ‘Bankster – Peggio di Al Capone i Vampiri di Wall Street e Piazza Affari’.

E poi, tre anni fa, abbiamo collaborato, sotto il profilo giornalistico, ad un ‘must’ in campo scientifico, ‘Covid 19 – La fine di un incubo’, firmato da uno dei pochi virologi doc in circolazione da noi, Giulio Tarro. Il quale, negli ultimi anni, è andato ad arricchire il parterre di grandi firme della Voce, con i suoi reportage scientifico-divulgativi di grosso spessore.

Eccoci ai premi per il giornalismo d’inchiesta.

1992, Sarteano, premio ‘Penne Pulite’

2007, 42° premio ‘Saint Vincent’ per le inchieste sui gialli di Adamo Bove (giallo Telecom) e Mario Scaramella (giallo Litvinenko)

2016, Premio ‘Giornalismo Senza Bavaglio’

2022, Primo ‘Premio Ferdinando Imposimato’

Terminiamo qui la prima parte. La potrete anche considerare ‘autocelebrativa’: e forse lo è, ma una volta ogni 40 anni forse ci è concesso…

E poi serve per alimentare la MEMORIA, come siamo soliti ripetere quando scriviamo di fatti & vicende che non bisogna MAI dimenticare. Per fare solo qualche esempio, Marco Pantani, David Rossi, e poi le Stragi di Stato, come quelle di Capaci, di via D’Amelio, di Mogadiscio (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin) o per il sangue infetto.

 

 

 

 

FINE PRIMA PARTE

P.S. Come al solito, per ritrovare pezzi scritti dai nostri amici o sugli amici e pubblicati in questi anni dalla Voce, vi invitiamo ad andare alla casella CERCA in alto a destra della nostra home page e digitare nome e cognome. Ne ritroverete tanti.

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