FICTION E CRISI DELL’UMANITA’

In Italia si è registrato uno straordinario successo di spettatori per alcune serie televisive. Dalla “La casa di carta” al “Il trono di spade” fino alla nostra “Gomorra”. Tutte storie scritte e recitate molto bene da attori professionisti e tratte da libri di grande successo opportunamente adattati per cinema e TV. Il contenuto risponde alla vecchia logica di un mondo diviso in bianco e nero o, meglio, di uomini suddivisi in buoni e cattivi. Queste serie, e tante altre – meno blasonate – utilizzano in genere come protagonisti medici e ospedali per risolvere casi clinici, avvocati d’assalto per crimini da affrontare o, infine, supereroi verosimili o di fantasia che agiscono in mondi della fantascienza. Ma tutte disegnano regolarmente una società che non c’è e fanno emergere nello spettatore “passivo” quella parte inespressa di voyeurismo, che li porta a voler sbirciare dal buco della serratura, rappresentato da uno schermo tv, la vita dei protagonisti. Il “Grande Fratello” docet.

Queste serie televisive hanno prodotto una forma di teledipendenza acritica, arrivando a far partecipare emotivamente alle vicissitudini dei protagonisti, solidarizzandone con una alcuni di loro o ad avversarne altri. È la stessa logica schematica che porta a dividere il mondo in bianco e nero o gli uomini in buoni e cattivi. E finché tutto ciò si limita alle fiction televisive … nessun problema. Il dramma invece inizia quando entrano in gioco altri fattori, come gli orientamenti sessuali o i convincimenti ideologici, morali e politici. Ci siamo ritrovati a sentirci filoamericani ad oltranza o, al contrario, convintamente antiamericani. Proprio come siamo stati, da giovani, a favore o contro gli indiani d’America a seconda della ideologia di riferimento, vedendoli come vittime sacrificali o come spietati selvaggi. Si è prodotta così una sorta di teledipendenza acritica, ma questo non si è stato certamente un evento nuovo. Il fenomeno è cominciato in Italia fin dagli anni ’80, da quando è comparsa sugli schermi la prima e più nota soap americana, la celeberrima “Dynasty”. A quella fiction ne sono seguite molte altre, più rozze e approssimative, e ci riferiamo alle telenovelas sudamericane. Erano seguite proprio da tutti, ma quasi clandestinamente a causa dello stigma di “casalinghità” che le circondavano. Ma è stato proprio grazie a quelle storie che si sono spalancate le porte del successo alle attuali fiction. Queste sono seguite con crescente interesse e indipendentemente dal ruolo sociale dei fans, dal loro sesso e dal lavoro che fanno.

La differenza sta nella qualità degli sceneggiatori. Le storie sono raccontate bene e rivelano spesso grande capacità narrativa, tutta cinematografica, e una notevole attitudine a caratterizzare psicologicamente i personaggi.

Ma quando non è bastata la bravura degli attori, e la professionalità degli autori dei testi, sono intervenuti anche altri fattori. È stato così per la nota serie “Suits”, che ha aggiunto il pepe della curiosità e una forte componente di gossip. Dovute alla presenza tra gli attori dell’attrice americana Meghan Markle, nel frattempo diventata duchessa di Sussex per aver sposato il principe ribelle di casa Windsor, Henry. Dopo quella serie la Meghan è diventata anche madre di Archie Harrison e Lilibet Diana, i suoi due rampolli reali.

Oggi le serie TV si affermano incontrastate occupando gran parte della programmazione sulle piattaforme televisive e catturando ancor più l’attenzione degli italiani. Forse perché sono concepite e recitate bene, quando affidate a professionisti del mondo del cinema in grado di renderle accattivanti. O almeno lo sono state finché i testi sono stati scritti da veri sceneggiatori. Ma ora che per ridurre i costi, gli editori hanno cominciato a delegare gran parte del lavoro di scrittura alla più veloce ed economica Intelligenza Artificiale, i testi sono diventati prevedibili e, qualche volta, sovrapponibili a quelli di altre serie.

Il fenomeno è stato evidenziato dallo sciopero degli sceneggiatori americani, quando la WGA, che ne rappresenta oltre 11mila, ha proclamato uno sciopero facendogli incrociare le braccia, cosa durata oltre cinque mesi. Ma le serie in questo frattempo non si sono fermate. Hanno continuato ad andare in onda anche senza i loro sceneggiatori. L’Intelligenza Artificiale ha pienamente sostituito la componente umana, ma ha lavorato come sa, affidandosi ai suoi algoritmi notoriamente privi di creatività e dell’originalità propria degli scritti umani. Allora le puntate hanno iniziato a fluire tutte secondo lo stesso schema narrativo. Ogni puntata racconta un episodio completo, già annunciato alla fine della puntata precedente. La narrazione inizia e finisce nell’ambito dello stesso episodio. Certo, tutto avviene nell’ambito della trama generale e questa continua a rispettare i tradizionali canoni della narrazione. E regolarmente, per attivare la necessaria curiosità e innescare l’attesa, si concludono rilanciando a loro volta la storia successiva.

Manca, come dicevamo, la capacità di caratterizzare i sentimenti e la psicologia dei personaggi, manca insomma quella particolare creatività capace di introdurre sequenze non prevedibili e situazioni “fuori schema”. Tutte cose non delegabili a una macchina, che deve seguire algoritmi precisi, attingendo la sua esperienza solo da quanto ha raccolto in rete, e per questo motivo non può inventare nuove sequenze nelle storie che si appresta a raccontare e non può caratterizzare introspettivamente i personaggi. Quindi assistiamo al susseguirsi di sequenze già viste, quelle più diffuse e banali, quelle fondate per esempio su duelli, violenza e su tutto ciò che una macchina può trovare nel mare magnum di una memoria artificiale collettiva.

È un po’ quanto sta accadendo nelle nostre scuole, con la pericolosissima abitudine di farsi scrivere dalla intelligenza artificiale temi e ricerche assegnati a scuola. È per questo motivo che i nostri giovani diventano sempre più ignoranti e incapaci di sviluppare intelligenza e creatività. Esattamente come è accaduto nel secolo scorso con la introduzione delle calcolatrici elettroniche, il cui uso ha prodotto intere generazioni di giovani (ora adulti) incapaci di fare una divisione con la virgola o di ricavare una radice quadrata. Sono i rischi di delegare l’intelligenza collettiva a una macchina. È quanto di più pericoloso l’umanità possa concepire e prelude alla sua estinzione e all’affermarsi di quelle profezie nefaste che raccontano un mondo governato dalle macchine.

Per questa strada un giorno le macchine cominceranno a provare anche emozioni e ad elaborare pensieri autonomi, si emanciperanno dagli umani e non ne avranno più bisogno anzi potranno persino percepirli come un pericolo.

Sarebbe il preludio di una possibile estinzione dell’umanità così come la conosciamo e l’inizio di una sorta di dittatura delle macchine.

Senza sentimenti, senza futuro, senza nulla del mondo che abbiamo vissuto.

 

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