Usa de-trampizzati

Alla domanda di attualità sull’etica e la professionalità del giornalismo universale le risposte divergono clamorosamente. Il dilemma è: prezioso, indispensabile strumento di conoscenza, di controllo sull’operato delle società; è il subdolo armamentario al servizio di poteri, è coercizione delle libertà individuali e collettive imposta con strategie di persuasione occulta. Il caso del voto per la guida degli Stati Uniti, che non pochi si ostinano a catalogare come fulgido esempio di democrazia, agevola almeno una risposta. Nel giorno che consegna a poco più della metà degli americani il loro nuovo presidente, giornalisti con gli attributi e rispetto per la dignità della professione, hanno imbavagliato il presidente ancora in carica, gli hanno imposto di tacere, perché bugiardo ed eversore. Di contro, oggi, l’intero pacchetto di quotidiani italiani destrofili (incluso il Sole 24Ore della Confindustria, che ha sterzato a destra con il nuovo presidente)  ha ridotto l’evento di Biden, nuovo inquilino della Casa Bianca, a notizia di scarto, l’ha privata dell’obiettiva importanza ben oltre il futuro degli Usa, l’ha relegata in spazi poco visibili, ha enfatizzato la protervia del Trump che aizza i suoi supporter armati e rifiuta vigliaccamente di riconoscere la vittoria del rivale, incoraggiato a gran voce dal figlio, che lo incita alla violenza.

Fuori uno. Con la ‘decapitazione’ di Trump, il mondo si libera non solo di un pericoloso portatore insano della patologia sociale e politica della disumanità, ovvero di razzismo, xenofobia, populismo, suprematismo, di un fanatico guerrafondaio, di un prepotente egocentrico, ma anche di un riferimento letale per altri despoti: gli Erdogan, Orban, Bolzonaro, Netanjau, e per guardare in casa nostra l’inverosimile Salvini. Il quale, dichiarato il fervore di tifoso di Trump, dal microcosmo di via Bellerio, dove ha sede la Lega, si associa senza averne titolo, privo dell’indispensabile conoscenza, alle minacce trumpiane di negare la vittoria dei Dem. Invoca il reato di “brogli e furto di voti”.

Non è un bel momento per il valpadano del Carroccio. Dopo aver perso i favori e i dollari degli integralisti destrofili americani (decisivo l’arresto del suo tutor Bannon), deve rispondere alla magistratura dei 49 milioni truffati allo Stato, dei reati di cui sono accusati i suoi commercialisti e, per non farsi mancare nulla, deve mandar giù l’arresto di Verdini, padre della compagna, nonché il voltafaccia opportunistico di Forza Italia e della Meloni, che si discostano dalle sue ‘disperate’ esternazioni pro Trump. La capintesta di Fratelli d’Italia commenta che non è il caso di fare il funerale alla destra. Consiglierei di aspettare a darci per morti. Premesso che i risultati finali ancora non ci sono, se davvero vincerà Joe Biden penso che dovrà ringraziare il Covid. Se si fosse votato a febbraio, Donald Trump avrebbe vinto senza problemi”. Sic dixit la borgatara.

Di nuovo in evidenza la funzione essenziale dei media (anche internazionali), che collocano Salvini sul banco degli imputati con l’accusa di diffondere le falsità di Trump. C’è invece conferma della furbizia della borgatara Meloni, che miscela, a dosaggi politicamente remunerativi, la contiguità con la destra estrema e ‘buonismo’, per attrarre il ceto moderato.

Torniamo a Trump. Si può immaginare una ‘figura da millantatore seriale più becera di quella rimediata dal tycoon, ‘silenziato dai network televisivi’, accusato di menzogne eversive nel Paese che fa della libertà di espressione un dogma inviolato? Fra tanti crocifissori del tycoon anche il sindaco di Philadelphia, città tirata in ballo da Trump come esempio di brogli. Jim Kenney: “Smetta di fare il bambino e riconosca la sconfitta. Deve congratularsi con il vincitore. Qualcuno, compreso il presidente, continua a sputare accuse senza fondamento di frode e disconosce che Philadelphia è un esempio di come si svolgono elezioni corrette”. Gli fanno eco dichiarazioni al vetriolo di repubblicani, nauseati dal mancato rispetto del loro candidato per la correttezza istituzionale.

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