SUB-SAHARA / LE NOSTRE SCUOLE DI GUERRA & DI AFFARI

Italia in prima fila sul fronte militare nei paesi dell’africa sub-sahariana. Fornitura di armi ed equipaggiamenti, attività di formazione, lotta ai migranti e saccheggio delle risorse naturali nel gran cesto degli interventi.

Ecco come dettaglia la situazione Antonio Mazzeo, blogger pacifista ed esperto di contesti militari.

“Il Sistema Italia prova a conquistarsi un posto al sole nell’Africa sub-sahariana. L’8 ottobre scorso il Comando Operativo Interforze della Difesa ha firmato a Niamey una convenzione quadro con il Segretariato Permanente del ‘G5 Sahel’, l’organizzazione che dal 2014 vede gli Stati africani di Mauritania, Niger, Burkina Faso, Mali e Ciad cooperare congiuntamente in ambito strategico-militare nella regione del Sahel”.

Continua Mazzeo: “Grazie al nuovo accordo l’Italia sosterrà le attività formative promosse dal ‘College de Defense du 5G Sahel’, la scuola di guerra con sede in Mauritania che ha il compito di formare i quadri militari delle forze armate saheliane. Primo step della partnership è l’assegnazione al College di due ufficiali-docenti inquadrati nella MISIN, la Missione Bilaterale di Supporto in Niger che ha preso il via il 15 settembre 2018 e che, nelle dichiarazioni del Ministro della difesa, è ‘finalizzata a supportare l’apparato militare nigeriano, concorrere alla sorveglianza delle frontiere e rafforzare le capacità di controllo dei Paesi del G5 Sahel’”.

Prosegue il reportage. “Alla missione in terra africana sono assegnati attualmente 470 militari, 130 mezzi terrestri e due aerei. MISIN opera in stretto collegamento operativo e strategico con le unità da guerra degli Stati Uniti d’America dislocate in Niger e poste sotto il controllo di US Africom, il comando per le Operazioni USA nel continente africano. I team addestrativi MISIN, costituiti con personale specializzato proveniente dall’Arma dei Carabinieri, Esercito, Aeronautica militare e Reparti Speciali Interforze, hanno già addestrato circa 1.800 militari delle forze di sicurezza del Niger”.

L’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta

C’è poi tutto il versante anti-migrazione dell’operazione. Spiega Mazzeo. “Il crescente impegno italiano nel Sahel è stato più volte giustificato dalle autorità di governo in chiave anti- migrazione illegale. A spiegare come proprio la guerra ai migranti e alle migrazioni sia uno degli obiettivi prioritari della Missione militare italiana in Niger era stata proprio l’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta. ‘Lo scopo di MISIN è quello di incrementare le capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area del Sahel’”.

Last but non least, anzi uno dei punti caldi è rappresentato dai ricchi affari che le imprese di casa nostra possono veder maturare in quei paesi poverissimi ma ricchi di materie prime tra le più ricercate al mondo.

Dettaglia Mazzeo: “Se guerra globale al terrorismo e alle migrazioni è il leit motiv di tutte le dichiarazioni ufficiali del governo, è un dato di fatto che la penetrazione militare-civile italiana nel Sahel risponde agli interessi delle grandi aziende a capitale pubblico e privato impegnate nella ricerca-sfruttamento degli idrocarburi e dei minerali strategici. Tra gli ultimi paesi al mondo nella classifica dell’Indice di sviluppo umano, il Niger possiede un immenso patrimonio di risorse naturali e materie prime: oro, diamanti, petrolio, gas naturale ma soprattutto uranio, minerale fondamentale nella produzione di testate atomiche ed energia nucleare. Il Niger è il terzo produttore al mondo di uranio dopo Canada e Australia, ma la sua estrazione è meno costosa e dunque più remunerativa di quanto accade nei due paesi concorrenti”.

Sottolinea ancora Mazzeo: “Per l’accaparramento di uranio, gas e idrocarburi è in atto in Niger una dura competizione politico-militare-economica tra le superpotenze mondiali (Stati Uniti, Cina, India) e i paesi leader dell’Unione europea: innanzitutto la Francia che importa dal Niger buona parte dell’uranio utilizzato per alimentare le sue numerosissime centrali nucleari; e da qualche tempo anche la Germania. L’ENI e le aziende partner non intendono replicare la figuraccia fatta in Libia a partire dal 2011: ecco allora in nome del Sistema paese, sempre più militari e fondi allo sviluppo vengono destinati dall’Italia agli autoritari governi dei poverissimi paesi del Sahel e dell’Africa occidentale”.

E forse l’ENI non intende neanche replicare la figuraccia internazionale per via dello scandalo tangenti con il governo nigeriano e l’inchiesta della procura di Milano (cui si sono poi aggiunte anche quelle per le mazzette algerine e brasiliane) per un capo di imputazione non da poco: corruzione internazionale.

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