Hai commesso reati e avuto condanne ma vuoi che non se ne parli, non se ne scriva più e che tutto finisca nel dimenticatoio? Secondo la normativa europea ne hai tutto il diritto, e lo puoi esercitare nei confronti dei media, di quella rete che – altrimenti – ti ricorda per sempre le malefatte della tua vita.
Rispetto della privacy? O comunque di un diritto della persona che prevale sull’informazione? E’ così, secondo quanto ha deciso la Corte europea a metà 2014, sentenziando sul caso di un imprenditore spagnolo che aveva chiesto – e poi ottenuto – calasse il sipario sui suoi trascorsi giudiziari. Detto fatto, per la Ue tutto ciò si è trasformato in legge.
E così adesso chiunque, privato cittadino e signor nessuno, oppure personaggio di spicco, può invocare quel “diritto all’oblio”. Un autentico obbrobrio, perchè lede alla radice il dovere fondamentale ad informare da parte dei giornalisti e di chi opera nei media, e soprattutto il diritto ad essere informati da parte dei cittadini. Un diritto/dovere che, in questo modo, viene del tutto calpestato.
Incredibile ma vero: secondo i legislatori europei, anche se il fatto denunciato è vero, stradocumentato, corrisponde in pieno alla realtà, deve prevalere – ovviamente dopo un certo numero di anni – il diritto soggettivo a ‘dimenticare’, a seppellire tutto. Per la serie, “scordammoce ‘o passato”. E vaffanculo, quindi, alla cronaca e alla storia.
Per cui a questo punto sorge spontanea la domanda: libri e manuali di storia, anche per i ragazzi, vanno emendati? Seguendo il ragionamento, come mai – per fare un solo esempio – Alessandra Mussolini non chiede che il nome del nonno venga depennato dalle enciclopedie?
In quasi tre anni, a livello europeo, hanno fatto espressa richiesta di essere dimenticati – e quindi in sostanza deindicizzati in rete via google – la bellezza di 2 milioni e mezzo di cittadini. E oltre 1 milione è stato accontentato nella sua richiesta. L’Italia è quinta nella special hit, preceduta da Francia, Inghilterra, Germania e Spagna. Da noi oltre 190 mila richieste, di cui il 35 per cento ha avuto buon esito.
Un altro strumento, dunque, nelle mani di chi detesta quella verità che, molto spesso, fa male.
Ma resta sempre in pole position, ormai da tempo, l’arma più affilata, il vero revolver impugnato da coloro i quali si lamentano per ciò che è stato scritto su di loro: la citazione civile, che ormai ha superato di gran lunga la vetusta querela penale.
In questo modo anche il peggior camorrista o il più attrezzato corruttore può sparare una botta da 30 mila o 300 mila euro contro il cronista che ha osato scrivere di lui, spesso e volentieri non negando i fatti, ma solo rimproverando il tono, la lesa maestà. E se – come spessissimo accade – c’è di mezzo un giudice ignorante o incapace, addomesticato o amico, ecco il bingo: la sentenza diventa immediatamente esecutiva fin dal primo grado. E quindi in tempo quasi reale l’ufficiale giudiziario può bussare alla porta per pignorarti anche l’anima. Alla faccia della giustizia lumaca. E chissenefrega se poi vinci in appello. Intanto ti hanno mandato all’inferno.
Ma tutto questo mammola Europa non lo sa…
Scopri di più da La voce Delle Voci
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.